giovedì 8 agosto 2019

Modernità sotto il treno 
La Tav e il culto del cargo



La  bocciatura della mozione anti-Tav (semplificando) di Cinque Stelle e l’approvazione dell’ammucchiata delle mozioni  pro-Tav (risemplificando)  indicano  solo una cosa: che in Italia sono trent’anni che si discute di niente. O se si preferisce, si contende fuori tempo massimo sulla natura piatta o meno della  Terra.

Il problemi   non sono  il governo che può cadere,  le  elezioni che potrebbero far vincere la destra incivile di Salvini e sodali,  i rapporti con  la Francia e con l’Europa. L’unico colossale problema, e da sempre, rimane l'incomprensione italica della modernità. All'italiano  tout court piacciono i gadget moderni, dagli audiovisivi alla chirurgia a distanza, ma rifiuta il collegamento tra mercato, scienza e tecnica, il fiore all’occhiello della modernità.  E soprattutto pretende che sia lo stato a regolare e regalare di tutto: una specie di dio che affanna e consola. 

Non dimentichiamo che l’Italia, prima di nicchiare per trent'anni sulla Tav,  abrogò le centrali nucleari via referendum. Insomma, a furor di popolo. Inoltre, negli anni Sessanta,  in pieno sviluppo capitalistico, cattolici e comunisti storcevano il naso, rimpiangevano il mondo contadino (i primi) e la presa del Palazzo d'Inverno ( i secondi) .  
In seguito, la propaganda pauperista riuscì  addirittura a dipingere l' eccellente modernizzazione degli anni Ottanta come un periodo buio. Del resto gli  italiani - naturalmente con la casa piena di gadget elettronici,   rimpiangono tuttora Berlinguer e Almirante per la visione austera dell’economia e della società. Dimenticando però che Berlinguer sognava Lenin e Almirante Mussolini.  Roba da pazzi.

Si dirà, però intanto  la Tav ieri  è passata…  Al tempo,  i No Tav,  coccolati  a cicli alterni da destra e sinistra,  sono sul piede di guerra. E nell' Italia  sovranista giallo-verde  la Tav con grande raffinatezza è  liquidata come un piacere che faremmo  a Macron. Capito?  Parlateci della Francia...  

E poi il vero nodo, ripetiamo, è rappresentato dall’arcaismo italiano, che ricorda il culto del cargo, delle tribù melanesiane: che, abituatesi a ricevere  aiuti via  cielo e via terra dagli occidentali, pur di proseguire a riceverli introdussero riti propiziatori, simili alla danza per la pioggia. Senza minimamente interrogarsi,  proprio  come   il popolo italiano degli smartphone,  su  come  fosse prodotta tutta quella ricchezza.
I melanesiani però non avevano gli strumenti per capire, gli italiani, sì.  E allora perché  continuano a danzare per far piovere? 


Carlo Gambescia