lunedì 24 giugno 2019

Monteverde Vecchio
Il declino  del  riflessivo


Monteverde Vecchio,  elegante agglomerato novecentesco  romano,   fitto di alberi,  palazzine e villette, venne espugnato,  probabilmente   negli anni  Settanta,  dalla sinistra borghese e riflessiva.  O forse prima, nel decennio "neocapitalista", per dirla con Volponi, quello della carta moschicida letteraria.
Tra Villa Sciarra e Villa Pamphili finì il secolo breve. All' "ammirazione", sempre dei secoli, per citare Ferdinando Martini,  i primi a offrirsi furono Pasolini e il primo sindaco gramsciano del Pci, Giulio Carlo  Argan, lo storico dell’arte.  Poi giunsero, colpiti dalle post-garibaldine sciabolate di luce del colle Gianicolo,  tutti gli altri.   Emulazione immobiliare. Per chi poteva.  
Probabilmente, un tempo le case costavano poco,  e Monteverde Vecchio  stretto fra  Trastevere e i casermoni  popolari di via  Donna Olimpia, rappresentava  una via d' uscita, a prezzo ragionevole, per chiunque nutrisse  ambizioni da ceto medio,   non ancora riflessivo. Ma in pattine e "pastarelle"  domenicali alla crema.
Poi, ripetiamo, negli anni Settanta,  meglio  Ottanta,  con le metastasi lottizzatrici  della Rai-Tv e  la terziarizzazione  galoppante,  attoriale   e  giornalistica,  del generone,  il quartierino si gentrificò. Arrivarono i riflessivi di sinistra,  i prezzi poi lievitarono, e alla dittatura del proletariato si sostituì quella degli immobiliaristi.  Riflessivi, che però, dopo trent’anni, si sono invecchiati.  E come dice il saggio  si può invecchiare bene o male.
Aggirarsi oggi per  Monteverde Vecchio, all’ombra dei suoi vialetti alberati, che salgono e scendono, significa incontrare giornalisti, scrittori, attori, tanto per omaggiare la banalità, sul viale del tramonto. Distinti pensionati dorati col fiatone, perché perseguitati dall'orografia e sembra inseguiti,  nottetempo, da bande armate di grillini provenienti da Palmarola e Lunghezza. Tuttavia,  piccolo inciso, Raggi o non Raggi, la striscia blu a Monteverde non passò... 
Chi desideri verificare il nostro dire,  può cliccare su YouTube e dare un’occhiata a Teledurruti (ora Pack) “la televisione  monolocale” di  Fulvio Abbate,  scrittore e giornalista che come ogni  buon post-comunista rimpiange ciò che non è mai stato, per difendere quel che non sarà mai.
Abbate, al quale cultura e verve non mancano,   intervista  però delle ombre.   Qui un Mughini, lì un Bassignano, più  sotto uno Spadaccia,  di lato una Pitagora, in alto una Boccardo. Manca Ambra, forse perché  in quota  Boncompagni.   Comunque sia,  lamenti e ricordi, ricordi e lamenti.   
Immancabili gli accenni a Pasolini, assurto a mito fondativo, senza però esagerare sul versante decrescista e populista, oggi occupato militarmente dai  grillini.  Abbate, in fin dei conti, come Pareto, detesta il  virtuismo.  E fa bene.     
Naturalmente Teledurruti (ora Pack)  è anche altro,  soprattutto altro, all’insegna di quell' épater le bourgeois che deve aver tramutato la vita , soprattutto pubblica, di Abbate  nel Gran premio della Montagna.  
A dire il vero, la  gentrificazione,  come dicono gli urbanisti di sinistra,  sembra risalire,  per la parte  che assedia Villa Sciarra,  al Ventennio fascista, forse anche prima:  ultimi palpiti giolittiani e nathaniani. Piano Regolatore del 1909.
In  uno  dei  film  meno incisivi del pur bravo Ferzan Özpetek,  poco lontano domiciliato,  si  celebra ufficialmente  la gentrificazione riflessiva del quartiere: una compagnia teatrale  di  fantasmi, dell'epoca  fascista,  si aggira per le antiche scale,  colpita  da  ingiusta maledizione  gay. Hobsbawm parlerebbe di “invenzione della tradizione”...  Ma va bene così.
Del resto il destino  del  vecchio  cinema Vascello,  via Giacinto Carini 78,  è sociologicamente esemplare: modesta sala di zona, abbandonata dai  proprietari  borghesi e rilanciata  dai  borghesi riflessivi. Insomma, un bel salto: da Edwige Fenech e Barbara Bouchet  a  Flavia Mastrella e Antonio Rezza.  Ai posteri l'ardua sentenza. Noi, inguaribili borghesi in pattine, saremmo invece tentati di morire per Pippo Franco...            
I nativi monteverdini,  talvolta   intervistati da Abbate, sono laconici e  riluttanti.  Che si sentano traditi dalle élite?  Il che ne potrebbe spiegare il comportamento,   che ricorda quello degli ultimi aborigeni australiani:   parlare  poco o punto con gli stranieri,  tacere e aspettare, sotto la Luna,  l' onda gigantesca  che, dal mare,  finalmente spazzerà  via gli invasori  bianchi.   
Sarà difficile però.   Sembra che ultimamene abbia comprato casa  anche Verdone. 

Carlo Gambescia                                             


                                                        

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