Monteverde Vecchio
Il declino del riflessivo
Il declino del riflessivo
Monteverde Vecchio, elegante agglomerato novecentesco romano, fitto di alberi, palazzine e villette, venne espugnato, probabilmente negli anni Settanta, dalla sinistra borghese e riflessiva. O forse prima, nel decennio "neocapitalista", per dirla con Volponi, quello della carta moschicida letteraria.
Tra Villa Sciarra e
Villa Pamphili finì il secolo breve. All' "ammirazione", sempre dei secoli, per citare Ferdinando Martini, i primi a offrirsi furono Pasolini e il primo sindaco gramsciano del Pci, Giulio Carlo Argan, lo storico dell’arte. Poi
giunsero, colpiti dalle post-garibaldine sciabolate di luce del colle Gianicolo, tutti gli altri. Emulazione immobiliare. Per chi poteva.
Probabilmente,
un tempo le case costavano poco, e
Monteverde Vecchio stretto fra Trastevere e i casermoni popolari di via Donna Olimpia, rappresentava una via
d' uscita, a prezzo ragionevole, per chiunque nutrisse
ambizioni da ceto medio, non
ancora riflessivo. Ma in pattine e "pastarelle" domenicali alla crema.
Poi, ripetiamo, negli anni Settanta, meglio Ottanta, con le metastasi lottizzatrici della Rai-Tv e la terziarizzazione galoppante, attoriale e giornalistica, del generone, il quartierino si gentrificò. Arrivarono i riflessivi di sinistra, i prezzi poi lievitarono, e alla dittatura del proletariato si sostituì quella degli immobiliaristi. Riflessivi, che però, dopo trent’anni, si sono invecchiati. E come dice il saggio si può invecchiare bene o male.
Poi, ripetiamo, negli anni Settanta, meglio Ottanta, con le metastasi lottizzatrici della Rai-Tv e la terziarizzazione galoppante, attoriale e giornalistica, del generone, il quartierino si gentrificò. Arrivarono i riflessivi di sinistra, i prezzi poi lievitarono, e alla dittatura del proletariato si sostituì quella degli immobiliaristi. Riflessivi, che però, dopo trent’anni, si sono invecchiati. E come dice il saggio si può invecchiare bene o male.
Aggirarsi
oggi per Monteverde Vecchio, all’ombra
dei suoi vialetti alberati, che salgono e scendono, significa incontrare giornalisti, scrittori,
attori, tanto per omaggiare la banalità, sul viale del tramonto. Distinti pensionati dorati col fiatone, perché perseguitati dall'orografia e sembra inseguiti, nottetempo, da bande armate di grillini provenienti da Palmarola e Lunghezza. Tuttavia, piccolo inciso, Raggi o non Raggi, la striscia blu a Monteverde non passò...
Chi
desideri verificare il nostro dire, può cliccare su YouTube e dare
un’occhiata a Teledurruti (ora Pack) “la televisione monolocale” di Fulvio Abbate, scrittore e giornalista che
come ogni buon post-comunista rimpiange
ciò che non è mai stato, per difendere quel che non sarà mai.
Abbate,
al quale cultura e verve non mancano, intervista però delle ombre. Qui un
Mughini, lì un Bassignano, più sotto uno
Spadaccia, di lato una Pitagora, in alto una Boccardo. Manca Ambra, forse perché in quota Boncompagni. Comunque sia, lamenti e ricordi, ricordi e lamenti.
Immancabili gli accenni a Pasolini, assurto a mito fondativo, senza però esagerare sul versante
decrescista e populista, oggi occupato militarmente dai grillini. Abbate, in fin dei conti, come Pareto, detesta il virtuismo. E fa bene.
Naturalmente
Teledurruti (ora Pack) è anche
altro, soprattutto altro, all’insegna di
quell' épater le bourgeois che deve aver tramutato la vita , soprattutto pubblica, di Abbate nel Gran premio della
Montagna.
A dire il vero, la gentrificazione, come dicono gli urbanisti di sinistra, sembra risalire, per la parte che assedia Villa Sciarra, al Ventennio
fascista, forse anche prima: ultimi
palpiti giolittiani e nathaniani. Piano Regolatore del 1909.
In
uno dei film meno incisivi del pur bravo Ferzan Özpetek, poco lontano
domiciliato, si celebra ufficialmente la gentrificazione riflessiva del quartiere: una compagnia teatrale di fantasmi, dell'epoca fascista, si aggira per le antiche scale, colpita da ingiusta maledizione
gay. Hobsbawm parlerebbe di “invenzione della tradizione”... Ma va bene così.
Del resto il
destino del vecchio
cinema Vascello, via Giacinto Carini 78, è sociologicamente esemplare: modesta sala di zona, abbandonata dai proprietari borghesi e rilanciata dai borghesi riflessivi. Insomma, un bel salto: da Edwige Fenech e Barbara Bouchet a Flavia Mastrella e Antonio Rezza. Ai posteri l'ardua sentenza. Noi, inguaribili borghesi in pattine, saremmo invece tentati di morire per Pippo Franco...
I nativi monteverdini, talvolta intervistati da Abbate, sono laconici e riluttanti. Che si sentano traditi dalle élite? Il che ne potrebbe spiegare il comportamento, che ricorda quello degli ultimi aborigeni
australiani: parlare poco o punto con gli stranieri, tacere e aspettare, sotto la Luna, l' onda gigantesca che, dal mare, finalmente spazzerà via gli invasori bianchi.
Sarà
difficile però. Sembra che ultimamene abbia
comprato casa anche Verdone.
Carlo Gambescia
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