martedì 4 giugno 2019

Memorie di un rinnegato”  
Mughini e Accame:
neorealisti delle idee 


Non crediamo che nell’Italia populista l’ultimo libro di Giampiero Mughini, Memorie di un rinnegato (Bompiani),  farà molto rumore. Piuttosto, ne saranno date interpretazioni di comodo, politicamente di comodo. Come del resto già sta accadendo, dietro il sipario  sdrucito di un  mezza cultura ammuffita che si affanna a litigare sul  nuovo  fascismo vincente  e sul  nuovo antifascismo perdente o quasi. Due etichette appiccicate in fretta su scatoloni vuoti che maleodorano di cantina.  
Mughini, prima che intellettuale, per larga parte della sua vita,  ha rappresentato se stesso come personaggio mediatico. Recitando benino e scrivendo molto meglio,  spogliandosi” ogni volta   in sull’uscio” e mettendo  “ i panni reali e  curiali”  di Machiavelli.  Altro, quattro gerundi, non consentono di dire...  
Mughini, all’inizio degli anni  Ottanta del secolo scorso,  aprì alla destra, quella neofascista,  aprì televisivamente  con un’inchiesta che fece, quella sì, rumore vero.  Perché  tratteggiava  in chiave neorealistica  fascisti  presi dalla strada: una generazione  non di bruti  ma ricca  di ragazzi che leggevano, studiavano,  si confrontavano,  eccetera. Paisà  postcamicia nera.   
Perché Mughini “sdoganò”?   Probabilmente, da testimone del mattatoio ideologico degli Anni di Piombo,  si augurava  che annusandosi  i ladri di biciclette  ideologiche,  a destra e sinistra,  iniziassero a  conoscersi  meglio  per  fare della necessità (cognitiva) virtù (liberale).  
Diciamo che la  mission  mughiniana  fu di tipo  socio-etnologico: da osservatore partecipante, come si legge nei manuali.  Una  versione italiana  della riscoperta di una  cultura della povertà,  ma solo in fatto di  idee politiche, come nel  celebre saggio di  Oscar Lewis:  lo studioso statunitense, una specie di  Rossellini-De Sica dell’antropologia,  che studiò con giusto rispetto  la povertà,  per andare oltre la povertà.  Tradotto:  studiare il neofascismo per andare oltre il fascismo. 

Il che spiega l’ amicizia neorealista  di Mughini, nata proprio allora, con Giano Accame, altro intellettuale, in partibus infidelium.  Al quale la destra stava stretta:  stessa curiosità,   stessa cultura storica, stessa carica antropologica,  stessa retorica della transigenza. 
Sarebbe interessante, qualora esistesse, leggere il carteggio tra  i due registi neorealisti delle idee, come ci piace definirli. 
Del resto anche Giano Accame, quasi per grazia ricevuta,  poté concedere  finalmente la parola  ai fascisti, quelli morti, e importanti.  Dedicando una serie televisiva alle grande intelligenze scomode del Novecento, scomode perché non avevano  rifiutato la carne, la morte e diavolo del fascismo.
Dietro  la sottile regia, in senso simbolico, di  Mughini e  Accame  c’era e c’è  un’antropologia probabilmente liberale.  O comunque di accettazione dei valori della società aperta.  Forse più sofferta in Accame, che comunque non era  meno consapevole di Mughini del vicolo cieco totalitario,  nascosto dietro le opzioni ideologiche assolute, di tipo fascista o comunista.

Il dialogo, aperto da Mughini e ripreso da Accame, rinviava dunque al recupero di un comune sentire liberale,  aperto alla democrazia rappresentativa e al mercato:  più  progressista, per Mughini, più conservatore,  di destra sociale, per Accame, ma senza esagerazioni: al punto di consigliare  agli sciagurati  fratellastri in camicia nera di guardarsi bene dal “ tirare il collo alla gallina dalle uova d’oro capitalista”. Capitalismo, con juicio. Ecco la ricetta di Accame.        
Siamo quindi ben lontani dall’idea dell’alleanza schizoide tra destra e sinistra  contro il godzilla mondialista,  di cui oggi -  scherzi della storia - il governo  giallo-verde rappresenta la realizzazione  in chiave  populista,  una specie di versione HBO dei Protocolli dei Savi di Sion...  O se si preferisce,  il governo giallo-verde, per ora,  sta al fascismo come un film di Totò a uno di Visconti.  E di conseguenza  è molto criticato da fascisti e  comunisti  duri e puri. Quelli  dell'occhiuto cineforum.  I primi, sempre in attesa della nuova ondata, quella buona, con gli occhi lucidi  alla Blasetti di “Vecchia Guardia”.  I secondi al grido  di un antifascismo  da non vogliamo i colonnelli. Tarda commedia all’italiana.
Mughini e Accame  rimandano invece  a  Rossellini e De Sica. Grande cinema.   

Carlo Gambescia