Come argomenta Salvini
Le parole del Capitano
Salvini, il Capitano, come lo chiamano i suoi, si fa capire dalla gente comune. Altro che i vecchi politici...
Ecco il ritornello ripetuto da analisti e commentatori di tutte
le tendenze.
Esisterebbe,insomma, un
populismo argomentativo, che può
riassumersi nel fatto di dire le cose pane al
pane vino al vino . Espressione, quest’ultima, veteropopulista, che, evidenzia il
comportamento, di chi in ogni circostanza si esprima con franchezza e senza
timore reverenziale per nessuno.
Il "panepanevinismo", per capirsi, rimanda sociologicamente, alla semplicità di
parole e costumi, del catonismo, del
pauperismo cristiano, del moralismo operaio, dell'antiberlusconismo azionista.
Ha un fondo manicheo, perché oppone il principio cognitivo dell’indifferenziato a quello della diversità. Bene contro Male: da un
lato i semplici dall’altro i difficili; da un lato il popolo dall’altro le
élite, per dirla in chiave populista.
La
ricerca della semplicità implica inevitabilmente sotto il profilo retorico l’uso dell’ argumentum ad hominem e
dell’argumentum ad judicium. Due formule
argomentative, ovviamente fallaci, ma semplici e comprensibile da tutti.
Facciamo
due esempi.
Nel
corso di un dibattito televisivo sul ruolo dei
professori, alla contestazione di una
professoressa che gli rimproverava di essere intollerante verso un valore importante come la diversità, il Vice Presidente
del Consiglio ha risposto riconducendo le critiche della docente sotto la categoria "docente di sinistra". L’argumentum ad hominem è
il seguente: è una docente di sinistra, dunque
una dottrinaria (che indottrina),
ergo non può fare bene il suo lavoro. Salvini si comporta come certi avvocati mediocri che per difendere o attaccare una testimonianza sfavorevole aggrediscono la credibilità morale del testimone,
Un’
altra formula tipica del discorso salviniano è ripetere che a lui piace quel che piace agli italiani. Qui
siamo davanti all’argumentum ad
judicium, o argumentum ad populum, cioè
alla pretesa che una tesi sia corretta
perché difesa da un gran numero di persone. Anche qui, si prescinde volutamente dai contenuti e dal rigore logico, dalla
qualità insomma, per privilegiare la forza
illogica del numero, la quantità.
Riassumendo,
nel primo caso, argumentum ad hominem, si contesta non l’affermazione ma
l’interlocutore stesso. Nel secondo caso, argumentum ad judicium, si attribuisce la validità, o l' autorità, di un' affermazione in base al
numero degli interlocutori che la condivide.
Naturalmente
a queste due principali forme di fallacia
argomentativa, Salvini affianca l’uso
diffuso di alcune figure retoriche: l’apostrofe (l’appello agli italiani traditi dai politici); la
personificazione (l’Italia che lo avrebbe chiamato - lui Salvini - a più alti compiti); la preterizione (il
sottolineare senza ammettere di sottolineare: “Non sto qui a dire quanti italiani
erano presenti al mio comizio”).
A
ciò vanno sommati, altri aspetti etnometodologici interessanti: la gestualità salviniana (tipica del “capo”,
sicuro di sé), il modo di abbigliarsi (paramilitare o comunque semplice e
ugualitario), il ricorso al basso continuo della superstizione popolare (come
l’uso politico del santo rosario). Aspetti che qui comunque non
tratteremo.
Concludendo, come
si può vedere il repertorio argomentativo e retorico di Salvini è piuttosto ridotto. Ma la sua forza è proprio in questo. È ridotto
come quello della stragrande maggioranza della gente. Il che spiega il suo
successo. Povertà culturale che abbraccia altra povertà culturale.
Questa retorica dell'intransigenza, per giunta fallace, non ha nulla a che vedere con il
dibattito pubblico liberale fondato sulle forme della transigenza e sul rapporto causa-effetto tra conoscenza e
deliberazione. Del resto, a Salvini di tutto ciò non importa un fico secco. Per dirla, anche noi, per una volta, pane al pane vino al vino.
Carlo Gambescia