La morte di Francesco Ginese
L’illegalità e i suoi amici
Che
cos’è illegalità? La risposta a prima vista
è semplice, il contrario della
legalità. E che cos’è la legalità? È agire
come prescrive la legge. Di riflesso, chiunque violi la legge è fuori della
legalità.
Certo,
le leggi possono essere ingiuste sotto il profilo del senso comune, ad esempio
di un’idea, nobile e condivisa, di solidarietà. Si pensi al sindaco di Riace,
che perseguendo una logica umanitaria ha derogato alla legge in nome dei più alti principi di giustizia. L'intera storia della filosofia del diritto è ricca di esempi del genere. Tutti elevatissimi.
Tuttavia
la società, per quanto entità dinamica, come struttura istituzionale, proprio per essere tale, impone
il rispetto delle leggi. I comportamenti stabili, produttivi di fiducia, facilitano le relazioni sociali e la
certezza collettiva. Fattori che consentono al singolo di ritenere - semplificando -
che quel che accade oggi, accadrà anche domani. La legalità è una forma di stabilità sociale. Ma, prima di tutto, una forma mentis, come ora vedremo.
A
questo pensavamo a proposito della tragedia della Sapienza, dove un giovane di
ventisei anni, Francesco Ginese (nella foto), ha perso la vita nel tentativo di scavalcare
il muro di cinta per partecipare a una festa - sembra un rave - non autorizzata dal Rettore.
Il
fatto che un brillante neolaureato in
economia, di buona famiglia, con un posto
di lavoro che lo attende - insomma, non un disadattato - penetri nottetempo nella città universitaria, violando la legge, dovrebbe
far riflettere.
E
su cosa in particolare? Su come il concetto di legalità abbia ormai toccato
il fondo. Ovviamente, la responsabilità di questo processo degenerativo non è del giovane che materialmente ha
scavalcato il muro, e neppure degli organizzatori della festa e dei vertici
dell’università e della polizia che avrebbero dovuto per tempo
intervenire. Sono tutti, utilizzatori finali, sociologicamente parlando. Allora di chi è la
responsabilità, in primis, sociale?
Del
sistema due pesi due misure. Ovvero di
una mentalità culturale, oggi assai diffusa, che
consiste nel giudicare legale o meno
quel che più giova politicamente. Per
essere più precisi, alla base del gesto del giovane, punto terminale di una
catena micro-macro dell’illegalità costituita, c’è la
politicizzazione della legalità. O se si
preferisce, la mancata neutralizzazione sociale del diritto.
Parliamo di un processo
che discende dalla crisi del concetto di potere come autorità neutrale. Una crisi che ha le sue origini, non solo nel Sessantotto, ma nell'attacco al liberalismo
giuridico che risale all'ascesa dei totalitarismi
fascisti e comunisti.
L’effetto
di ricaduta di questa crisi è rappresentato, come forma di mentalità culturale,
dalla diffusione della presunzione sociale e politica che la legge sia al servizio dei potenti, e
che dunque violarla sia una forma di giustizia sociale.
Ora,
esistono casi, come dicevamo a proposito di Riace, in cui la violazione della legalità impone (quanto meno) problemi di coscienza, perché sono in gioco più alti di principi di giustizia.
Ma, quando nella quotidianità, si scavalcano
muri, si organizzano feste nella
certezza che nessuno interverrà, significa che ormai si vive in un micro-clima di illegalità, diffusa e condivisa.
Ora,
la magistratura dovrà accertare le responsabilità giuridiche e penali della morte del giovane. Parliamo però della stessa magistratura che
sta dando spettacolo, sempre in questi giorni, di inaudità faziosità e divisioni un tempo
impensabili? Per non parlare dell'uso a singhiozzo politico delle "intercettazioni ambientali" che invece di restare chiuse nei cassetti escono dalle Procure per finire sui giornali.
E
la politica? Salvini ha subito condannato i centri sociali e le autorità
accademiche. Ma, se la serata fosse stata organizzata da
qualche gruppo di estrema destra, il
Vice Presidente del Consiglio, di sicuro, si sarebbe
ben guardato dal condannare. Per contro, la sinistra, che si mostra garantista, ben altro atteggiamento avrebbe
assunto se la festa non autorizzata fosse stata gestita dai neofascisti. Salendo in cattedra, avrebbe subito chiesto misure esemplari nel nome della Resistenza.
Insomma, magistratura e politica da anni ormai danno il cattivo esempio. E le
istituzioni pubbliche e sociali seguono a ruota. Si chiamano processi emulativi, nel bene come nel male. In definitiva, gli amici dell’illegalità sono tanti, forse troppi.
Se
le cose in Italia vanno così, che mai può succedere se si scavalca, nottetempo, un muro? Ecco ciò che avrà pensato Francesco Ginese
prima di arrampicarsi. E morire.
Carlo Gambescia