sabato 15 giugno 2019

Campi & Dugin
Perché non invitare l’ideologo russo all’Università di Perugia?



Sulla pagina Fb  dell’ ineffabile Alessandro Campi  si è discusso della tournée  (posso usare questo termine?) di Dugin in Italia, promossa  dal  mondo neofascista (*).  Campi  parla  di  contestazioni, anatemi  e censure  progressiste che però, di fatto,  non si sono concretizzate in nulla di incisivo. Dugin ha potuto girare in  lungo e in largo l’Italia senza veti di nessun genere e controlli polizieschi.  Non è stato invitato dalle università italiane?  Campi, che mi dicono abbia a Perugia  un certo  potere accademico,  può rimediare, invitandolo.  Visto anche il  viavai di professori polacchi…



Campi, al di là della lezioncina di filosofia del prossimo e dell'accenno in stile Blade Runner ai "movimenti reali della storia" (Ho visto cose, eccetera),  asserisce che si dovrebbe ascoltare Dugin,  a prescindere dal valore delle sue idee e dalla vicinanza o meno a Putin,  solo  per curiosità (come dire?)  geopolitica  verso  un ideologo che comunque parla  per  e della  Russia.  Una potenza  tornata a giocare  un ruolo mondiale.  
Una curiosità scientifica, che i contestatori progressisti  non  nutrirebbero.
Sarà  pure come dice Campi, per carità.   Però in Italia  e in Russia,  qualcosa   sembra essere cambiato dal 1994,  quando Dugin  venne a Roma per un convegno su Evola, anche allora organizzato in ambienti vicini al Movimento Sociale appena “sdoganato” da  Berlusconi. Ricordo Sgarbi, Borghezio e alcuni politici di An tra i relatori, nonché  un Campi che sfarfalleggiava tra il pubblico.  Probabilmente non era ancora divampato il grande amore per il suo Aron.  

Allora si sussurrava che Dugin  fosse vicino all’estrema destra russa, nazional-populista di  Vladimir Zhirinovsky, che all’epoca annoverava tra i suoi amici europei Le Pen padre.         
Dugin non impressionò i presenti  più di tanto. Ricordo il tagliente giudizio del compianto Gian Franco Lami.  Insomma,   banalità su Evola in ordine sparso.   E la cosa finì lì. 
Quali sono le differenze tra  il 1994 e il 2019?Due.  
La prima, che oggi  in Italia i populisti  sono al potere, mentre all’epoca Alleanza Nazionale a breve si sarebbe ritrovata all’opposizione. 
La seconda, che  Putin  ce l’ha fatta, Zhirinovsky no.  Oggi Putin  è una specie di zar di tutte le Russie e Zhirinovsky fa solo folclore politico. Una specie di D'Annunzio nell'Italia di Mussolini (si parva licet, eccetera):  il potere vero è nelle mani  dell’ex funzionario del KGB.   
E, a torto a ragione, Dugin, ora  viene considerato, non più il consigliere di un politico in possibile ascesa, ma di uno statista saldamente al comando.   In qualche  misura  anche  Dugin ha fatto carriera.    

Il che spiega l’invito in pompa magna in Italia, ovviamente auspici gli stessi ambienti neofascisti di allora, da sempre appassionati  cultori  di uomini forti  e  idee antiliberali.   Solo che oggi  i  neofascisti sono molto più influenti e decisi di allora.  Anche perché  -  ecco  l’aspetto che dovrebbe preoccupare ogni sincero liberale - mentre Alleanza Nazionale, pur in modo passivo, tentò di integrarsi nel sistema liberale, Salvini continua a  tenere i piedi in due staffe, assumendo atteggiamenti a dir poco duceschi.  Di recente, lo stesso Campi, in un momento di lucidità finiana,   ha  accusato Salvini  di civettare  con l’estrema destra.
Pertanto  è giusto essere curiosi,  geopoliticamente curiosi, ma è altrettanto giusto essere politicamente sospettosi verso un pensiero da sempre arcinemico della civiltà liberale.
E poi, ripeto, se Campi  è così curioso,  perché non invita Dugin a Perugia?

Carlo Gambescia