giovedì 31 gennaio 2019

D’Annunzio, Céline, Houellebecq
Il fascino pericoloso del  decadentismo



Editori,  librai e lettori  stanno festeggiando l’uscita dell’ultimo romanzo di Houellebecq.  Non è un autore che apprezzo. E anche  Serotonina conferma la mia impressione.  Un romanzo filosoficamente mediocre.  Estetica della decadenza  per la decadenza, meglio D’Annunzio,  che nei suoi romanzi,  già più di un  più di  un secolo fa,  aveva individuato, e celebrato, il giro di boa,  verso la distruzione,   dell’individualismo umanitarista,  attenzione, non liberale.

Perché diciamo questo?  Per la semplice ragione che per la letteratura, a sfondo socialmente nichilista, sostanzialmente fondata sul risentimento,  si coniò a suo tempo il termine decadentismo. Che rinviava al crogiolarsi della letteratura   nel piacere intenso per la  dissoluzione di ogni ordine sociale. Al letterato decadente  non interessava se l’ordine sociale fosse o meno in crisi, oppure le possibili cause, interessava, tra vino, marmi e prelibatezze,  massacrare il borghese, che, a sua volta, ubriaco di umanitarismo   si lasciava massacrare con il sorriso stampato in faccia.
Una letteratura, che al di là dei destini personali dei singoli scrittori, andrà  a confluire  nelle torbide acque della  tentazione fascista. Con le disastrose conseguenze del caso.  Addirittura,  una volta  fatte, le debite osservazioni sugli stili diversi,  si potrebbe individuare il filo conduttore  che dal nostro  D’Annunzio, attraverso Céline, giunge fino a Houellebecq.   E non è necessario andare leggere Croce e Bobbio, ma basta sfogliare  La tentazione fascista  di Tarmo Kunnas.  Opera di uno storico serio, che la destra neofascista, nella sua ignoranza,  ha  trasformato in un libro cult. Ma questa è un'altra storia.    
Cambiano i nomi, gli scenari, le professioni dei personaggi,  ma il senso fondante dell’approccio decadente -   come odioso risentimento verso tutto ciò che sia borghese  -   è quello dell’autodistruzione individuale,  perché  -  si legge o intuisce -   la felicità non è di questo mondo. E quella borghese, così volgarmente a portata di mano,  è solo una ingiallita cartolina a colori.  
Attenzione, il decadentismo è l’alter ego dell’umanitarismo.  L’uno sottrae l’altro aggiunge. Ma  ambedue hanno indebolito  e indeboliscono  l’ordine sociale liberale.  Perché vanno a colpire le fonti vive dell’azione umana: il protagonista del libro di Houellebecq è un borghese di campagna, impasticcato ed erotomane, che non crede  più in nulla.  Andrea Sperelli, è un aristocratico annoiato, Ferdinand Bardamu,  un medico che ha visto tutto e sentito tutto. E Florent-Claude Labrouste, ripetiamo,  un agronomo disincantato. Tutti e tre odiano la borghesia e le conquiste della civiltà liberale. Un atteggiamento -  ecco il problema di fondo del decadentismo -  che attraversa il Novecento,  giungendo fino ai nostri giorni. E che scambia, e volutamente,  il liberalismo con l’umanitarismo, l’orgoglio delle conquiste liberali con  i singhiozzi  del liberale pentito senza motivo  e venduto alla causa del socialismo.
Del resto  i veri liberali tacciono. O magari,  si sforzano di trovare - colmo dell’autolesionismo intellettuale - qualcosa di positivo nelle pagine di Houellebecq … Alcuni professori invece,  solo per invidia da box office, provano timidamente  a criticarne lo stile…  I giornali si cimentano in strampalati collegamenti con l’attualità,  a colpi di gilet colorati…  Infine,  il lettore  medio, compra e legge avidamente, un romanzo che può indurre solo all’acquisto di  anti-depressivi. Proprio come fa il suo  protagonista. Chiamala se vuoi autodistruzione… O fascino pericoloso del  decadentismo.
Ora,  D’Annunzio e Céline, facilitarono e poi plaudirono l’ascesa del fascismo al potere.   E Houellebecq, piaccia o meno, si è incamminato sulla stessa strada, dove si scorgono, anche abbastanza vicine,  le stesse cupe ombre…   

Carlo Gambescia