sabato 5 gennaio 2019

Machiavelli populista o realista?
Due imperdibili interviste al celeberrimo Segretario fiorentino. Quale sarà il vero Machiavelli?  Quello intervistato da Teodoro Klitsche de la Grange o quello interrogato da Carlo Gambescia? Buona lettura a tutti.  



Machiavelli populista?
Intervista a cura di Teodoro Klitsche de la Grange

L’Italia è tornata ad essere laboratorio politico. Media, giornalisti, insegnanti d’università e di liceo, blogger, filosofi, banchieri, scienziati ed altri s’interrogano sul populismo e sul perché il nostro sia il primo paese europeo occidentale ad essere governato da un bicolore popul-sovran-identitario. Certezze scosse e novità impreviste rendono inutili strumenti (ed autori) usuali fino a pochi anni fa. Dato il carattere di svolta e novità epocale, abbiamo provato a chiedere lumi a Niccolò Machiavelli. Il quale ci ha gentilmente concesso questo colloquio.
Qual è la principale causa del successo populista?

Gli è che tutti i reggimenti politici sono come gli uomini: nascono, crescono, decadono e muoiono.
Il vostro reggimento, nato da una sconfitta militare, e con una classe divenuta dirigente “per grazia di chi lo concede” (il potere) è durato tanto: segno che quei governanti, divenuti tali per fortuna, non erano scarsi d’ “ingegno e virtù”. Ma col passare dei decenni l’uno e l’altro si sono consunti. I nipoti di quei vecchi, ossia i governanti di quella che chiamate la seconda repubblica, non potevano ereditare “ingegno e virtù” né comprarli al mercato.

Quindi i populisti vincono per demerito degli altri?

Non so se quanto per demerito o per il decorso del ciclo politico (nascita, crescita, decadenza, fine). Sicuramente un po’ per assenza di ingegno e virtù, un po’ per tale “regolarità” politica.

E perché nessuno ne parla?

Non sia ingenuo. Parlare della propria assenza di virtù è come ammettere di essere inadatto a governare da una parte; dall’altra sminuire i propri meriti di vincitori. Quanto al ciclo politico, tale idea è contraria a quella di progresso sulla quale le vecchie elite avevano costruito la propria fortuna. Ammettere che non avevano la ricetta per realizzarle le “magnifiche sorti e progressive”, è confessarsi dei Dulcamara, ricchi di parole e poveri d’ingegno. Per gli altri vale sempre il discorso sui loro meriti; che non sono gli stessi se dipendono da quella regolarità. Seneca scriveva volentem ducunt fata, nolentem trahunt: ma se è il fato a decidere, loro di che possono vantarsi?

Gli sfrattati dal governo dicono che quello populista durerà poco. Che ci può dire?

Che questi ragazzi (Salvini, Di Maio) non sono grulli! Forse non mi hanno letto ma hanno capito. Come ho scritto, quando qualcuno conquista il potere “con il favore degli altri suoi cittadini” e questi quel favore ce l’hanno perché hanno vinto le elezioni, l’essenziale è non inimicarsi il popolo: non hanno ottenuto il potere col “favore dei grandi” ma con quello del popolo e “debbe pertanto uno che diventi principe”, “mantenerselo amico”.
Ciò è facile, perché gli basta non opprimerlo. E così sarà sostenuto dal popolo anche nelle avversità, come quelle in cui vi trovate. Avendolo i loro predecessori oppresso, caricato di tasse e privato di risorse, non gli è difficile, con poco, far capire che la musica è cambiata.

Che ne pensa a proposito delle tasse degli italiani?

I predecessori non avevano capito che i cittadini possono perdonare o meglio sopportare governanti che gli hanno ammazzato il padre o il fratello, ma non perdonano né dimenticano chi gli ha tolto la roba. Quelli credevano di imbrogliarli con discorsi commoventi, ma alla lunga non hanno retto.

Ma i vecchi governanti distribuivano quanto prelevato. Non è così?

Se anche lo fosse – e non lo è o non lo è del tutto – hanno trascurato che un principe può essere liberale quando spende denaro d’altri, ma non quando distribuisce quello proprio o dei propri sudditi. Chi lo vota non lo dimentica. E c’è altro.

Che cosa?

I vecchi governanti contavano troppo di tenersi su col favore dei grandi più che del popolo. Grandi che sono alemani, francesi ed altro. Hanno persino dato la fiducia – loro eletti dal popolo – ad un governo di persone mai elette neanche in un condominio, ma graditi ai grandi. I quali hanno governato di guisa da non scontentare quelli (dal cui favore dipendevano), ma dispiacendo il popolo. Hanno dimenticato che quando si governa con i grandi, che sono – almeno – pari a loro, questi non si possono “comandare né maneggiare a suo modo”. E infatti, i grandi li hanno aiutati poco o punto, quando ne avevano necessità.

Non è che i vecchi pensavano di poter persuadere il popolo della bontà della loro politica?

Si può governare con due mezzi: la forza del leone o l’astuzia della volpe. Ma non si può credere che, ripetendo le stesse cose per anni, e con risultati coì modesti tutti potessero essere abbindolati per sempre credendo a quei ritornelli. A volte capita, come a Messer Nicia “Quanto felice sia ciascun sel vede/chi nasce sciocco ed ogni cosa crede”. Ma si trattava di uno e non di tutti. E lo stesso Messer Nicia era vittima dei raggiri di Ligurio in quell’occasione specifica. Questi pretendevano di andare avanti per sempre e con tutti, con le loro azioni buoniste.
E se le cose fossero andate bene, forse queste astuzie sarebbero state utili. Orazioni e cerimonie lo sono, quando c’è tempo buono “ma non sia alcun dì sì poco cervello/ che creda, se la cosa sua ruina che Dio lo salvi senz’altro puntello/ perché morrà sotto quella ruina”. Cosa, per l’appunto, loro capitato con la crisi.

In definitiva cosa consiglia ai nuovi governanti?

Di tenersi stretto il popolo, perché non possono contare – o possono poco – sul favore dei grandi.

Non pensa che alemani ed altri possono profittare della divisione degli italiani? E far cadere il governo?

Di sicuro: e dividere i nemici è la prima regola per il successo della lotta. Ma attenzione: “la cagione della disunione delle repubbliche … è l’ozio o la pace, la cagione della unione è la paura e la guerra”. A minacciare sempre spread, sanzioni ed altro, il consenso del popolo al governo viene ad essere rafforzato. Come capitato nella guerra tra Roma e Veio.

La ringrazio. Mi concederà un’altra intervista?

Certo. Sa qui sto bene come a S. Casciano tra una briscola e una scopetta con i beati. Ma son tutti così buoni! E io mi annoio un po’. Meglio così tornare di quando in quando con i viventi, tutti intenti a sporcarsi le mani con la politica.
Teodoro Klitsche de la Grange

*** 

Machiavelli realista?  
Intervista a cura di Carlo Gambescia

Il nostro Paese è al centro dell’attenzione internazionale. Ci si  interroga sul populismo, ora al governo. Chi meglio di Machiavelli  può  aiutarci a capire dove stiamo andando.  
Che ne pensa Segretario  dei populisti al governo?  Se non sbaglio  lei  ha  scritto nel Principe che il favore del popolo è importante.  E più di quello dei grandi...

 Non di manco, il principe,  debbe essere grave al credere et al muoversi, né si fare paura da sé stesso, e procedere in modo temperato con prudenza et umanità, che la troppa confidenzia non lo facci incauto e la troppa diffidenzia non lo renda intollerabile.

Cioè?  Cosa vuol dire, mi scusi?

Nasce da questo una disputa: s’elli -  il principe -   è meglio essere amato che temuto, o e converso. Rispondesi che si vorrebbe essere l’uno e l’altro; ma perché elli è difficile accozzarli insieme, è molto più sicuro essere temuto che amato, quando si abbia a mancare dell’uno de’ dua….

Quindi Di Maio e Salvini cosa dovrebbero fare?   

Perché delli uomini si può dire questo generalmente: che sieno ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, fuggitori de’ pericoli, cupidi di guadagno; e mentre fai loro bene, sono tutti tua, ófferonti el sangue, la roba, la vitae’ figliuoli, come di sopra dissi, quando il bisogno è discosto; ma, quando ti si appressa, e’ si rivoltano. E quel  principe… 

Ossia Salvini e Di Maio...

 … Che si è tutto fondato in sulle parole loro, trovandosi nudo di altre preparazioni, rovina; perché le amicizie che si acquistano col prezzo, e non con grandezza e nobiltà di animo, si meritano, ma elle non si hanno, et a’ tempi non si possano spendere.   E li uomini hanno meno respetto a offendere uno che si facci amare, che uno che si facci temere; perché l’amore è tenuto da uno vinculo di obligo, il quale, per essere li uomini tristi, da ogni occasione di propria utilità è rotto; ma il timore è tenuto da una paura di pena che non abbandona mai. Debbe non di manco el principe… 

Quindi, mi scusi se la interrompo,  se capisco bene il suo discorso,  Salvini e Di Maio dovrebbero prendere a calci quelli che li hanno votati... Magari, senza dare troppo nell'occhio...

El  principe debbe  farsi temere in modo, che, se non acquista lo amore, che fugga l’odio; perché può molto bene stare insieme esser temuto e non odiato; il che farà sempre, quando si astenga dalla roba de’ sua cittadini e de’ sua sudditi, e dalle donne loro: e quando pure li bisognasse procedere contro al sangue di alcuno, farlo quando vi sia iustificazione conveniente e causa manifesta; ma, sopra tutto, astenersi dalla roba d’altri; perché li uomini sdimenticano più presto la morte del padre che la perdita del patrimonio. Di poi, le cagioni del tòrre la roba non mancono mai; e, sempre, colui che comincia a vivere con rapina, truova cagione di occupare quel d’altri; e, per avverso, contro al sangue sono più rare e mancono più presto.  

 Capisco, ma Salvini e Di Maio hanno fatto  promesse. E che promesse… Importanti.  Quota Cento per le pensioni, Reddito di Cittadinanza. Proprio per farsi amare dal popolo… Come potranno "astenersi dalla roba d’altri"? Dove troveranno i soldi? 

Sendo adunque, uno principe…

Salvini e Di Maio, ovviamente…

...Sendo adunque uno  principe necessitato sapere bene usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe e il lione; perché il lione non si defende da’ lacci, la golpe non si difende da’ lupi. Bisogna, adunque, essere golpe a conoscere e’ lacci, e lione a sbigottire e’ lupi. Coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano. Non può per tanto uno signore prudente, né debbe, osservare la fede, quando tale osservanzia li torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere. E, se li uomini fussino tutti buoni, questo precetto non sarebbe buono; ma perché sono tristi, e non la osservarebbano a te, tu etiam non l’hai ad osservare a loro. Né mai a uno principe mancorono cagioni legittime di colorare la inosservanzia. Di questo se ne potrebbe dare infiniti esempli moderni e monstrare quante pace, quante promesse sono state fatte irrite e vane per la infedelità de’ principi: e quello che ha saputo meglio usare la golpe, è meglio capitato. Ma è necessario questa natura saperla bene colorire, et essere gran simulatore e dissimulatore: e sono tanto semplici li uomini, e tanto obediscano alle necessità presenti, che colui che inganna troverrà sempre chi si lascerà ingannare.

 Se capisco bene, Salvini e Di Maio, usano e devono usare il popolo solo per ragioni di potere.  Mi scusi, ma non è onesto questo comportamento... Ma che spiegazioni e consigli dà!  Salvini si dice  uno di noi, uno del popolo.  Di Maio assume atteggiamenti, anzi è  un  bravissimo ragazzo… Allora, secondo lei sarebbero solo falsi e bugiardi? E se non lo fossero  dovrebbero comportarsi  come tutti gli altri?  Il suo realismo politico non fa sconti a nessuno. 

Debbe, adunque, avere uno principe gran cura che non li esca mai di bocca una cosa che non sia piena delle soprascritte cinque qualità, e paia, a vederlo et udirlo, tutto pietà, tutto fede, tutto integrità, tutto relligione.  

Se le cose stanno come dice lei, i giallo-verdi sono fritti… Salvini e Di Maio, parlano troppo... Ne dicono una al giorno...

Poveri e dispersi.  Così, consentiranno alla ruina loro.  Al contrario, li uomini in universali iudicano più alli occhi che alle mani; perché tocca a vedere a ognuno, a sentire a pochi. Ognuno vede quello che tu pari, pochi sentono quello che tu se’; e quelli pochi non ardiscano opporsi alla opinione di molti che abbino la maestà dello stato che li difenda: e nelle azioni di tutti li uomini, e massime de’ principi, dove non è iudizio da reclamare, si guarda al fine. Facci dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato: e’ mezzi saranno sempre iudicati onorevoli, e da ciascuno laudati; perché el vulgo ne va preso con quello che pare e con lo evento della cosa; e nel mondo non è se non vulgo; e li pochi ci hanno luogo quando li assai hanno dove appoggiarsi. Alcuno principe de’ presenti tempi, quale non è bene nominare, non predica mai altro che pace e fede, e dell’una e dell’altra è inimicissimo; e l’una e l’altra, quando e’ l’avessi osservata, li arebbe più volte tolto o la reputazione o lo stato.

Quindi "vulgo"  anche il popolo...  Insomma i populisti,  alla fine fine,  non sono migliori di altri.  E se vogliono governare devono pesare le parole, ingannare e “menare”  come tutti gli altri… Certo che i suoi consigli… 

Uno principe…  

Salvini e Di Maio…

...Uno principe il quale non sia savio per sé stesso, non può essere consigliato bene, se già a sorte non si rimettessi in uno solo che al tutto lo governassi, che fussi uomo prudentissimo. In questo caso, potria bene essere, ma durerebbe poco, perché quello governatore in breve tempo li torrebbe lo stato; ma, consigliandosi con più d’uno, uno principe che non sia savio non arà mai e’ consigli uniti, non saprà per sé stesso unirli: de’ consiglieri, ciascuno penserà alla proprietà sua; lui non li saprà correggere, né conoscere. E non si possono trovare altrimenti; perché li uomini sempre ti riusciranno tristi, se da una necessità non sono fatti buoni. Però si conclude che li buoni consigli, da qualunque venghino, conviene naschino dalla prudenzia del principe, e non la prudenzia del principe da’ buoni consigli.  

Prudenzia… Una parola… Salvini e Di Maio  dicono sempre  la prima cosa che passa loro per la testa… E più che coraggiosi, sembrano temerari... Se preferisce,  sconsiderati davanti ai pericoli della politica.  
Comunque sia, grazie Segretario per l’intervista.

Vobis plurimas gratias ago,  pe’ volgere li occhi in questi luoghi bassi… Pigli, adunque, la illustre casa vostra questo assunto con quello animo e con quella speranza che si pigliano le imprese iuste; acciò che, sotto la sua insegna, e questa patria ne sia nobilitata, e, sotto li sua auspizi, si verifichi quel detto del Petrarca: Virtù contro a furore/Prenderà l’arme, e fia el combatter corto;  Ché l’antico valore/ Nell’italici cor non è ancor morto.

Vabbè, ma che  c’entra?

Il cor  loro non è   sovranista?   Adunque,  hanno obligo del combatter corto...  

Tradotto: tirare fuori le palle...  O no? 

I  profeti armati vinsono, e li disarmati ruinorono. Perché, oltre alle cose dette, la natura de’ populi è varia; et è facile a persuadere loro una cosa, ma è difficile fermarli in quella persuasione. E però conviene essere ordinato in modo, che, quando non credono più, si possa fare loro credere per forza. Moisè, Ciro, Teseo e Romulo non arebbono possuto fare osservare loro lungamente le loro constituzioni, se fussino stati disarmati; come ne’ nostri tempi  [quelli del Machiavelli, Ndr] intervenne a fra’ Girolamo Savonerola; il quale ruinò ne’ sua ordini nuovi, come la moltitudine cominciò a non crederli; e lui non aveva modo a tenere fermi quelli che avevano creduto, né a far credere e’ discredenti.

Ma allora la democrazia liberale? Come la mettiamo con la democrazia liberale?  

Pericliterà.   

Carlo Gambescia
      


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