sabato 26 gennaio 2019

La riflessione
Che cos’è la guerra?




La guerra, tra forma e contenuti
Innanzitutto va respinta la visione romantica della guerra, quella ad esempio dei fascismi tra le due guerre. Ma anche quella demonizzante dei pacifismi novecenteschi. Ovviamente, il culto degli eroi, attraversa la letteratura dell’Occidente, fin dai tempi di Omero. E, sebbene con sfumature diverse,  quelle di altre civiltà.  Del resto anche  la pace è idealizzata fin dall'antichità.    
In realtà, la guerra, sociologicamente parlando, dal punto di vista delle forme è uno dei modi di declinazione del conflitto. Di conseguenza,   va distinta da altre  modalità (o forme) di conflitto,  come la competizione politica, la concorrenza economica,  l’opposizione o contesa tra le idee.
Rispetto alle altre modalità o forme del conflitto,  la guerra implica la possibilità dell’eliminazione fisica dell’avversario, che sotto questo punto di vista, è rappresentato come nemico  dalle parti in conflitto,  dal momento  che la possibilità di soppressione  fisica, che ha valore di minaccia, risponde a un criterio di  reciprocità.
Dal punto di vista della sostanza, ossia dei suoi contenuti,  la guerra può scatenarsi  per differenti motivi che si possono riassumere in motivazioni di tipo materiale e/o ideale: dalla conquista di territori allo zelo religioso, da una pozza d’acqua alla conversione dei non credenti. 

La lezione della storia universale
Chiunque studi la storia universale, non può non notare come la guerra sia un fenomeno ricorrente, inspiegabile dal  punto di vista  di una logica  umanistica, ossia di preservazione della vita umana. Di qui,  secondo alcuni studiosi,  la sua irrazionalità.
Però, altrettanto poco convincenti   sono  le spiegazioni  di tipo strutturalistico, che studiano la guerra dal punto di vista, non più dell’individuo, ma, secondo altri osservatori, della preservazione del sistema, quindi di una super-razionalità, che sfuggirebbe ai singoli.
Se la spiegazione umanistica privilegia l’individuo, quella strutturalistica, predilige fattori impersonali e funzionali come la demografia, la potenza politica ed economica, la creatività culturale. 
Esistono infine spiegazioni tautologiche, che tentano di ricondurre la guerra  a misteriosi istinti bellicosi insiti nell’uomo.

Metapolitica della guerra
Il punto è che non c’è alcuna spiegazione esaustiva. Dobbiamo accontentarci di spiegazioni parziali, come ad esempio quella  metapolitica,  che scorge nella  ricorrenza storica e sociologica della guerra, il manifestarsi  di una  forma-conflitto, che,  di volta in volta, assume contenuti-storici diversi, ma sempre di natura materiale  e/o ideale.
Sotto questi ultimi  aspetti, sociologicamente parlando, vanno ricordate le tipologie ricorrenti di giustificazione delle guerre da parte degli attori politici direttamente coinvolti (e ovviamente anche della pace). Esercizi retorici  che magnificano il sacrifico dei singoli: dal favore degli dei a quello del dio monoteista;  dal merito di appartenere  a un ordine  sociale alla  deificazione riconoscente  dello stato-nazione,   della  razza e  del  proletariato.    
La  guerra  può essere studiata razionalmente in due modi: interno, che rinvia alla strategia e alla tattica militari;  esterno, come  fin qui illustrato,  che rimanda alla metapolitica e allo studio delle forme e della loro ricorrenza.  
Al di fuori di queste linee guida euristiche, l'osservatore  rischia di  tramutare  ogni discorso sulla guerra   in  puro e semplice romanzo sulla guerra.

Forze centrifughe e centripete
Torniamo all'approccio metapolitico. La ricorrenza può essere spiegata attraverso il metaconflitto, che rinvia a due precise costanti metapolitiche: i processi centripeti e centrifughi,  ossia  di unificazione  e divisione delle istituzioni politiche.  L'unificazione e  divisione implicano sempre  la forma conflitto, sia nelle fasi di costruzione, mantenimento e decostruzione di  un ordine politico. Non esistono  "paci imperiali"  a livello macro-politico o   "paci  autarchiche"  a livello  micro-politico.  Nessuno può fare a meno di nessun altro, sia quando si confligge, sia quando si coopera.  La realtà sociale è dinamica, mai statica. E la guerra è solo una  delle forme di quella potremmo chiamare dinamica del conflitto (e di riflesso, della cooperazione: perché, ad esempio, anche il conflitto implica la cooperazione interna).
Cambia solo la forma  "del non  fare a meno" che può essere  dettata dalla concorrenza economica, dalla competizione politica, dal contrasto ideale e dal conflitto  polemico (della guerra vera e propria).
Negli ultimi due secoli, semplificando al massimo,  hanno dominato, non solo in Occidente, le costanti centripete dello stato-nazione, come in passato quelle della città-stato e dello stato regionale.  Sullo scenario  mondiale degli ultimi duecento anni si sono  alternate  concorrenza economica (1815-1914 e  1945- ...) e  conflitto polemico (1914-1945).    

Mano invisibile e guerra
Non  esiste un ordine preciso, ossia la possibilità di poter  prevedere, in chiave quantitativa,  la periodicità delle guerre (e di riflesso dei periodi di pace: di cooperazione non a fini bellici). Il motivo è semplice, le categorie sociologiche, qui impiegate, sono sempre ex post, seguono i fatti non le precedono.   Per fare alcuni esempi: prima si è esplicitato storicamente  il feudalesimo, poi la sua teorizzazione; prima si è esplicitato storicamente  il capitalismo, poi la sua teorizzazione. E lo stesso ragionamento si potrebbe estendere ad altre  forme istituzionali.  Gli antichi Romani non sapevano che stavano costruendo un Impero.  Lo stesso i cristiani, per la loro religione. E così via. Non bisogna commettere l'errore costruttivista  di  rappresentare il capitalismo, il feudalesimo,  l'idea di impero, eccetera, come istituzioni costruite a tavolino, magari dando pugni sulla scrivania, e  poi calate nelle realtà.    
Che cosa vogliamo sostenere? Che al di sotto dei processi sociali, ma vitalizzandoli senza un preciso perché, si muovono le micro-azioni individuali di miliardi di uomini che perseguono i propri interessi, in senso lato (materiali e ideali),  senza alcuna finalità di tipo collettivo o generale. La logica di base della mano invisibile -  una logica a posteriori, impiegata da chi osservi l'agire umano ex post  -   si fonda sull'imprevidibilità  delle azioni individuali. Di qui, spesso l'eterogenesi dei fini che invece colpisce il costruttivismo politico  che si rifiuta di fare in conti con  l'insondabilità delle azioni umane a livello individuale. Ad esempio, si vuole imporre dall'alto, ex ante,  la pace,  e invece si causa la guerra.  E viceversa, ovviamente.    

L'Europa e la guerra
Lo studio della forma-conflitto  insegna a distinguere il conflitto polemico  dalle  altre forme di conflitto. Mentre l’analisi della periodicità spiega  che la caratteristica principale della guerra è la sua ricorrenza. La dinamica tra forze centrifughe e centripete  spiega invece il perché della guerra, senza però poter individuare il quando,  dal momento che il sociale, in ultima  istanza,  dipende  dalla mano invisibile. Tuttavia l’esistenza di varie forme di conflitto e  il fenomeno della ricorrenza  indicano che sia le tesi belliciste che quelle pacifiste non sono nel vero, perché esistono altre forme di conflitto meno  onerose umanamente,  che si alternano alla guerra, e  periodi di pace e progresso civile tra una guerra  e l’altra.
Storicamente parlando, e per venire ai nostri giorni, l’Europa, grazie alle liberal-democrazie, uscite vincitrici da un gigantesco conflitto,  ha goduto di un lungo periodo di pace e benessere. Ora però sembra che il vento stia girando. Tutti gridano, di nuovo,  nazione, nazione, nazione... Che  la mano invisibile si  vendichi?   Si voleva  l'Europa unita, attraverso un processo di unificazione economica e politica, pacifico perché basato sul contratto, e si è ottenuto l'esatto contrario: la rinascita dei nazionalismi e il rischio di nuove guerre.
E questo perché, azzardiamo un'ipotesi,  milioni di europei probabilmente ritengono che lo stato- nazione soddisfi meglio  i loro interessi individuali.  Già è accaduto una volta nel Novecento.
Che dio, se esiste, li protegga.
     
Carlo Gambescia