La riflessione
Che cos’è la guerra?
La guerra, tra forma e contenuti
Innanzitutto
va respinta la visione romantica della guerra, quella ad esempio dei fascismi
tra le due guerre. Ma anche quella demonizzante dei pacifismi novecenteschi. Ovviamente, il culto
degli eroi, attraversa la letteratura dell’Occidente, fin dai tempi di Omero.
E, sebbene con sfumature diverse, quelle
di altre civiltà. Del resto anche la pace è idealizzata fin dall'antichità.
In realtà, la
guerra, sociologicamente parlando, dal punto di vista delle forme è uno dei
modi di declinazione del conflitto. Di conseguenza, va distinta da altre modalità (o forme) di conflitto, come la competizione politica, la concorrenza
economica, l’opposizione o contesa tra le idee.
Rispetto
alle altre modalità o forme del conflitto,
la guerra implica la possibilità dell’eliminazione fisica
dell’avversario, che sotto questo punto di vista, è rappresentato come nemico dalle parti in conflitto, dal momento che la possibilità di soppressione fisica, che ha valore di minaccia, risponde a un criterio di reciprocità.
Dal
punto di vista della sostanza, ossia dei suoi contenuti, la guerra può scatenarsi per differenti motivi
che si possono riassumere in motivazioni di tipo materiale e/o ideale: dalla
conquista di territori allo zelo religioso, da una pozza d’acqua alla
conversione dei non credenti.
La
lezione della storia universale
Chiunque
studi la storia universale, non può non notare come la guerra sia un fenomeno
ricorrente, inspiegabile dal punto di
vista di una logica umanistica, ossia di preservazione della vita
umana. Di qui, secondo alcuni studiosi, la sua irrazionalità.
Però, altrettanto poco convincenti sono le
spiegazioni di tipo strutturalistico,
che studiano la guerra dal punto di vista, non più dell’individuo, ma, secondo altri osservatori, della
preservazione del sistema, quindi di una super-razionalità, che sfuggirebbe ai
singoli.
Se
la spiegazione umanistica privilegia l’individuo, quella strutturalistica,
predilige fattori impersonali e funzionali come la demografia, la potenza politica ed economica, la
creatività culturale.
Esistono infine spiegazioni tautologiche, che tentano di ricondurre la guerra a misteriosi istinti bellicosi insiti
nell’uomo.
Metapolitica
della guerra
Il
punto è che non c’è alcuna spiegazione esaustiva. Dobbiamo accontentarci di spiegazioni parziali, come ad esempio quella metapolitica, che scorge nella ricorrenza storica e sociologica della guerra, il manifestarsi di una forma-conflitto, che, di volta in volta, assume contenuti-storici diversi, ma sempre di natura materiale e/o ideale.
Sotto
questi ultimi aspetti, sociologicamente parlando, vanno ricordate le tipologie ricorrenti di giustificazione delle guerre da parte degli
attori politici direttamente coinvolti (e ovviamente anche della pace). Esercizi retorici che magnificano il sacrifico dei singoli: dal favore
degli dei a quello del dio monoteista; dal merito di appartenere a un ordine
sociale alla deificazione riconoscente dello stato-nazione,
della razza e del proletariato.
La guerra può essere studiata razionalmente in due modi: interno, che rinvia alla strategia e alla tattica militari; esterno, come fin qui illustrato, che rimanda alla metapolitica e allo studio delle forme e della loro ricorrenza.
Al di fuori di queste linee guida euristiche, l'osservatore rischia di tramutare ogni discorso sulla guerra in puro e semplice romanzo sulla guerra.
La guerra può essere studiata razionalmente in due modi: interno, che rinvia alla strategia e alla tattica militari; esterno, come fin qui illustrato, che rimanda alla metapolitica e allo studio delle forme e della loro ricorrenza.
Al di fuori di queste linee guida euristiche, l'osservatore rischia di tramutare ogni discorso sulla guerra in puro e semplice romanzo sulla guerra.
Forze centrifughe e centripete
Torniamo all'approccio metapolitico. La ricorrenza può essere spiegata attraverso il metaconflitto, che rinvia a due precise costanti metapolitiche: i processi centripeti e centrifughi, ossia di unificazione e divisione delle istituzioni politiche. L'unificazione e divisione implicano sempre la forma conflitto, sia nelle fasi di costruzione, mantenimento e decostruzione di un ordine politico. Non esistono "paci imperiali" a livello macro-politico o "paci autarchiche" a livello micro-politico. Nessuno può fare a meno di nessun altro, sia quando si confligge, sia quando si coopera. La realtà sociale è dinamica, mai statica. E la guerra è solo una delle forme di quella potremmo chiamare dinamica del conflitto (e di riflesso, della cooperazione: perché, ad esempio, anche il conflitto implica la cooperazione interna).
Cambia solo la forma "del non fare a meno" che può essere dettata dalla concorrenza economica, dalla competizione politica, dal contrasto ideale e dal conflitto polemico (della guerra vera e propria).
Negli ultimi due secoli, semplificando al massimo, hanno dominato, non solo in Occidente, le costanti centripete dello stato-nazione, come in passato quelle della città-stato e dello stato regionale. Sullo scenario mondiale degli ultimi duecento anni si sono alternate concorrenza economica (1815-1914 e 1945- ...) e conflitto polemico (1914-1945).
Mano invisibile e guerra
Non esiste un ordine preciso, ossia la possibilità di poter prevedere, in chiave quantitativa, la periodicità delle guerre (e di riflesso dei periodi di pace: di cooperazione non a fini bellici). Il motivo è semplice, le categorie sociologiche, qui impiegate, sono sempre ex post, seguono i fatti non le precedono. Per fare alcuni esempi: prima si è esplicitato storicamente il feudalesimo, poi la sua teorizzazione; prima si è esplicitato storicamente il capitalismo, poi la sua teorizzazione. E lo stesso ragionamento si potrebbe estendere ad altre forme istituzionali. Gli antichi Romani non sapevano che stavano costruendo un Impero. Lo stesso i cristiani, per la loro religione. E così via. Non bisogna commettere l'errore costruttivista di rappresentare il capitalismo, il feudalesimo, l'idea di impero, eccetera, come istituzioni costruite a tavolino, magari dando pugni sulla scrivania, e poi calate nelle realtà.
Che cosa vogliamo sostenere? Che al di sotto dei processi sociali, ma vitalizzandoli senza un preciso perché, si muovono le micro-azioni individuali di miliardi di uomini che perseguono i propri interessi, in senso lato (materiali e ideali), senza alcuna finalità di tipo collettivo o generale. La logica di base della mano invisibile - una logica a posteriori, impiegata da chi osservi l'agire umano ex post - si fonda sull'imprevidibilità delle azioni individuali. Di qui, spesso l'eterogenesi dei fini che invece colpisce il costruttivismo politico che si rifiuta di fare in conti con l'insondabilità delle azioni umane a livello individuale. Ad esempio, si vuole imporre dall'alto, ex ante, la pace, e invece si causa la guerra. E viceversa, ovviamente.
L'Europa e la guerra
Torniamo all'approccio metapolitico. La ricorrenza può essere spiegata attraverso il metaconflitto, che rinvia a due precise costanti metapolitiche: i processi centripeti e centrifughi, ossia di unificazione e divisione delle istituzioni politiche. L'unificazione e divisione implicano sempre la forma conflitto, sia nelle fasi di costruzione, mantenimento e decostruzione di un ordine politico. Non esistono "paci imperiali" a livello macro-politico o "paci autarchiche" a livello micro-politico. Nessuno può fare a meno di nessun altro, sia quando si confligge, sia quando si coopera. La realtà sociale è dinamica, mai statica. E la guerra è solo una delle forme di quella potremmo chiamare dinamica del conflitto (e di riflesso, della cooperazione: perché, ad esempio, anche il conflitto implica la cooperazione interna).
Cambia solo la forma "del non fare a meno" che può essere dettata dalla concorrenza economica, dalla competizione politica, dal contrasto ideale e dal conflitto polemico (della guerra vera e propria).
Negli ultimi due secoli, semplificando al massimo, hanno dominato, non solo in Occidente, le costanti centripete dello stato-nazione, come in passato quelle della città-stato e dello stato regionale. Sullo scenario mondiale degli ultimi duecento anni si sono alternate concorrenza economica (1815-1914 e 1945- ...) e conflitto polemico (1914-1945).
Mano invisibile e guerra
Non esiste un ordine preciso, ossia la possibilità di poter prevedere, in chiave quantitativa, la periodicità delle guerre (e di riflesso dei periodi di pace: di cooperazione non a fini bellici). Il motivo è semplice, le categorie sociologiche, qui impiegate, sono sempre ex post, seguono i fatti non le precedono. Per fare alcuni esempi: prima si è esplicitato storicamente il feudalesimo, poi la sua teorizzazione; prima si è esplicitato storicamente il capitalismo, poi la sua teorizzazione. E lo stesso ragionamento si potrebbe estendere ad altre forme istituzionali. Gli antichi Romani non sapevano che stavano costruendo un Impero. Lo stesso i cristiani, per la loro religione. E così via. Non bisogna commettere l'errore costruttivista di rappresentare il capitalismo, il feudalesimo, l'idea di impero, eccetera, come istituzioni costruite a tavolino, magari dando pugni sulla scrivania, e poi calate nelle realtà.
Che cosa vogliamo sostenere? Che al di sotto dei processi sociali, ma vitalizzandoli senza un preciso perché, si muovono le micro-azioni individuali di miliardi di uomini che perseguono i propri interessi, in senso lato (materiali e ideali), senza alcuna finalità di tipo collettivo o generale. La logica di base della mano invisibile - una logica a posteriori, impiegata da chi osservi l'agire umano ex post - si fonda sull'imprevidibilità delle azioni individuali. Di qui, spesso l'eterogenesi dei fini che invece colpisce il costruttivismo politico che si rifiuta di fare in conti con l'insondabilità delle azioni umane a livello individuale. Ad esempio, si vuole imporre dall'alto, ex ante, la pace, e invece si causa la guerra. E viceversa, ovviamente.
L'Europa e la guerra
Lo
studio della forma-conflitto insegna a distinguere il conflitto polemico dalle altre forme di
conflitto. Mentre l’analisi della periodicità spiega che la caratteristica principale della guerra è la sua ricorrenza. La dinamica tra forze centrifughe e centripete spiega invece il perché della guerra, senza però poter individuare il quando, dal momento che il sociale, in ultima istanza, dipende dalla mano invisibile. Tuttavia l’esistenza di varie forme di
conflitto e il fenomeno della ricorrenza indicano che sia le tesi belliciste che quelle pacifiste non sono nel vero,
perché esistono altre forme di conflitto meno onerose umanamente, che si alternano alla guerra, e periodi di pace e progresso civile tra una guerra e l’altra.
Storicamente
parlando, e per venire ai nostri giorni, l’Europa, grazie alle liberal-democrazie, uscite vincitrici da un gigantesco conflitto, ha goduto di un lungo periodo di pace
e benessere. Ora però sembra che il vento stia girando. Tutti
gridano, di nuovo, nazione, nazione, nazione... Che la mano invisibile si vendichi? Si voleva l'Europa unita, attraverso un processo di unificazione economica e politica, pacifico perché basato sul contratto, e si è ottenuto l'esatto contrario: la rinascita dei nazionalismi e il rischio di nuove guerre.
E questo perché, azzardiamo un'ipotesi, milioni di europei probabilmente ritengono che lo stato- nazione soddisfi meglio i loro interessi individuali. Già è accaduto una volta nel Novecento.
Che dio, se esiste, li protegga.
E questo perché, azzardiamo un'ipotesi, milioni di europei probabilmente ritengono che lo stato- nazione soddisfi meglio i loro interessi individuali. Già è accaduto una volta nel Novecento.
Che dio, se esiste, li protegga.
Carlo Gambescia