Salvini, Battisti e l’insostenibile
pesantezza del costruttivismo
Solo calci in culo
Che
tristezza. In quanti siamo rimasti in Italia a usare la
testa? Oddio, non è che in passato… Parlo delle teste pensanti, di noi intellettuali,
di coloro che in qualche misura, dovrebbero partire da fatti, per andare oltre i fatti,
ricercando modelli, costanti, insomma strumenti che consentano, nei limiti del
possibile, di offrire analisi originali e approfondite. Diciamo di lunga
durata. Per inciso, la metapolitica, serve proprio a questo.
Si
prenda come esempio la vicenda del ritorno in manette di Battisti. Destra e sinistra, in
particolare i giornali, si scagliano in
faccia accuse controaccuse, del tipo:
“Salvini uguale Battisti”, “Battisti uguale Battisti”, "Salvini uguale Salvini", "Battisti uguale Salvini". In realtà, delle omonimie politiche esistono, però non
nel senso, superficiale, del fascista contro il comunista e viceversa, degli esagitati disposti a menare le mani. Un' uguaglianza di cazzotti. Una specie gara a chi, dei due, meni più forte. Diciamola tutta, siamo davanti a una deprimente povertà di concetti e di linguaggio.
Invito
gli amici lettori a trovare sui
giornali, per non parlare dei Social, un’analisi approfondita della omonimia politica Salvini-Battisti. Che pure c’è, ma - attenzione - non basata sul chi, dei due, spari prima.
Esiste
una questione di fondo. In Italia la cultura liberale, o meglio un’ analisi
sociale di tipo liberale ha sempre avuto vita dura. Il perché della marginalità, resta legato al predominio di una
cultura di tipo costruttivistico: basata
sull’idea che la realtà sociale sia modificabile a piacimento e dall’alto, se
necessario con l’uso della forza.
Di conseguenza, nelle università, nella pubblicistica, nella vita intellettuale in generale,
l’idea che la realtà sociale e politica
dipenda invece dallo spontaneo agire degli
uomini, non ha mai riscosso successo. Per fare un esempio colto: pensatori
liberali di tutto rispetto come Popper e
Hayek sono stati tradotti tardissimo,
perché reputati come pericolosi nemici
di una visione statalista,
tipicamente italiana, naturale pendant
del costruttivismo. Che in Italia, ripetiamo, ha lunga vita, perché abbraccia, perfino
alcune correnti liberali (molto a sinistra), come l’azionismo, oltre al
fascismo, al comunismo e alla cosiddetta dottrina sociale della Chiesa, mescolata però con forti dosi di veleno socialista e sindacalista, come nella versione del progressismo democristiano. Un disastro. Plasticamente
racchiuso, in quel “Dov’è lo Stato?”, tuttora evocato, persino dagli italiani bloccati
in ascensore.
Ora,
se esiste un trait d’union tra fascismo e comunismo, esso è rappresentato dal
comune impegno costruttivista. Semplificando, dalla pretesa di cambiare a calci
in culo la testa della gente. Di
conseguenza, se c’è qualcosa che unisce Salvini e Battisti, non è l’uso diretto o indiretto
della violenza, ma il finalizzarla a un progetto sociale di modificazione della
mentalità puntando sulla costrizione.
Si
dirà, che Salvini a differenza di Battisti (che mai ha rinnegato l’idea
comunista), non si professa fascista. In realtà, come abbiamo più volte scritto, il nazionalismo,
il protezionismo, il welfarismo, non sono che la prosecuzione del
costruttivismo fascista, diciamo, con altri mezzi. Per ora, meno cruenti. Almeno
in apparenza.
Di
questo si dovrebbe parlare. Non dei trascorsi cazzotti rossi o neri. Andrebbero accesi i
riflettori della cultura politica sulla natura costruttivista di populismo,
fascismo e comunismo. Perché è qui, come dicevano i nonni, che "casca" l'asino.
Carlo Gambescia