A venti anni dalla
morte di Fabrizio De André
Un nemico della società aperta
Quattro
anni fa un amico, Michele Antonelli, mi
inviò un suo libro su Fabrizio De André
(Il ribelle di regime. La funzione
antisociale delle canzoni di De André *), molto critico, addirittura
distruttivo, per essere franchi. Che comunque lessi con piacere.
Antonelli,
da tradizionalista cattolico, contesta radicalmente, analizzando tutti i testi, le canzoni del cantautore, evidenziando gli effetti di ricaduta della carica anticristiana racchiusa nella sua opera. In particolare, si sofferma su quel
prolungamento nichilista che, a suo avviso, rende De André caro a un
progetto mondiale (anzi "mondialista"), apertosi con la modernità capitalistica, di dissoluzione
dell’ordine sociale: dalla famiglia alle comunità locali, dal concetto di deferenza sociale a quello di
comune senso del pudore, e così via.
Come
si può capire, Antonelli perora una
causa impopolare, che, per quanto ne sappiamo, non ha facilitato la diffusione del volume, né le sue pubbliche
presentazioni: contestato a sinistra,
soprattutto da gruppi e gruppetti di
estremisti, e celebrato a destra, estrema, da altri microscopici movimenti politici.
Un libro che invece avrebbe meritato, come si dice, un'ampia e seria discussione. Soprattutto da
parte liberale. Perché Antonelli, pur non essendo un sociologo di
professione, resta uomo colto e
intelligente. Sicché l’analisi dei testi è impeccabile dal punto di vista formale. Date
certe ipotesi, ovviamente.
Come non pensare nel giorno della celebrazione urbi et orbi dei venti anni dalla morte del cantautore genovese allo studio di Antonelli? Che dunque invito a leggere.
De
André, tecnicamente (dal punto di vista
della sociologia della cultura) si inserisce in quella corrente di pensiero che
attraverso il romanticismo e il decadentismo, che ne è la penultima trasformazione, giunge ai giorni nostri, fino ad alimentare una cultura di massa, o
pop, che si basa sostanzialmente, sulla liberazione degli istinti, nobilitati
a diritti sociali nel nome di una specie di welfare della sessualità. Costruttivismo puro. Pericolosissimo. Dall' effetto narcotico, che però non impedisce la guerra per bande, tese professionalmente al saccheggio dello stato sociale.
Pertanto
De André, al di là dei
valori poetici, in senso stretto, che però rinviano alla metrica intellettuale del
decadentismo (che può piacere o meno),
rappresenta uno dei tanti esempi di rivolta contro la ragione borghese che hanno accompagnato, tentando di
distruggerne i valori, lo sviluppo della moderna società aperta. Dal momento che, come ben
sanno i suoi nemici, e De André è tra questi, senza diritti di proprietà, distinzioni di deferenza tra individui e
gruppi, riconoscimento dello spirito di
impresa, valorizzazione del senso di
responsabilità individuale, la società aperta può colare a picco.
Un’inimiciza - per carità legittima in un artista - che tuttavia nel sistema dove il mercato
giustamente si limita a registrare gli orientamenti dei consumatori, e
ovviamente per ragioni di profitto, in cui, di per sé, non c’è nulla male, ad amplificarli, anche la critica ostile, come quella di De André, può diventare oggetto di largo
consumo. E, alla lunga, procurare danni cerebrali collettivi. Il paradosso è che De André, volente o nolente, è un nemico della società aperta.
Si
pensi, per fare un esempio banale,
ai miliardi di magliette con
impresso il volto di Che Guevara, feroce guerrigliero che fucilava i borghesi, oggi tramutato per ragioni commerciali - sacrosante ripetiamo - in santino laico. Ma anche a certo stile di vita, che Augusto Del Noce già cinquant’anni fa bollava come conformistico libertinismo di massa. Uno stile che nel tempo ha indebolito il nucleo stesso dell' idea
liberale. Idea che dovrebbe invece avere come centro di riferimento un saldo universo borghese, orgogliosamente legato ai valori già ricordati,
Sappiamo
bene che i tradizionalisti, tra i quali molti fascisti ritengono liberalismo e deandreismo, per
semplificare, i due volti della stessa medaglia, di cui liberarsi. Mentre altri fascisti in compagnia di comunisti e
anarchici sbavano per le critiche di De André alla società borghese
e liberale.
In realtà, ciò che unisce
tutti i nemici del liberalismo è l’odio
verso la società aperta. E in nome di
che cosa? Di un romanticismo politico,
pronto a tradursi nel distruttivo
tentativo di edificare una qualche utopia comunitaria o
collettivistica rivolta verso il passato o il futuro. Sicché, per venire alla cronaca politica, il populismo dei Salvini, dei Di Maio e accoliti, che a colpi di tweet celebra De André, non è che l'ultima incarnazione del decadentismo antiborghese. In forma statalista-costruttivista.
Ora,
che il mercato sia una macchina che registra
preferenze, amplificandole se gradite ai consumatori, è un fatto. Di cui
non si può non essere grati. Un altro fatto è che il liberalismo e i ceti borghesi, invece di combattere il deandreismo, sembrano credere di poter conciliare romanticismo politico e razionalità
economica: De André con Marchionne. Il che non è possibile. Il prodotto di questa unione, anche simpatico per carità, può essere un Lapo Elkann.
I veri borghesi, e soprattutto quelli che contano, per dirla fuori dai denti, dovrebbero invece smettere di ascoltare De André. Soprattutto, politicamente parlando.
I veri borghesi, e soprattutto quelli che contano, per dirla fuori dai denti, dovrebbero invece smettere di ascoltare De André. Soprattutto, politicamente parlando.
Resta infine la questione, tuttora insoluta, di come spiegare il capitalismo al popolo. Di come renderlo pop, soprattutto nei tempi in cui stupidamente lo si denigra in modo sistematico. Smith, Weber e Schumpeter non sono intellettualmente accessibili a tutti. Servirebbe un De André liberale e borghese. Fiero dei suoi valori. Dove trovarlo?
Carlo Gambescia
(*) Pubblicato nel 2015 dal Cerchio Iniziative Editoriali: https://www.ibs.it/ribelle-di-regime-funzione-antisociale-libro-michele-antonelli/e/9788884744272