sabato 12 gennaio 2019

A venti anni dalla morte  di  Fabrizio De André
 Un nemico della società aperta



Quattro anni  fa un amico, Michele Antonelli, mi inviò un suo  libro su Fabrizio De André (Il ribelle di regime. La funzione antisociale delle canzoni di De André *),  molto critico, addirittura distruttivo, per essere franchi.   Che comunque lessi con piacere.
Antonelli, da tradizionalista cattolico,  contesta  radicalmente, analizzando tutti i testi,  le canzoni del cantautore, evidenziando gli  effetti di ricaduta  della  carica anticristiana  racchiusa nella sua  opera. In particolare,  si sofferma  su  quel prolungamento nichilista che, a suo avviso, rende De André caro a un progetto mondiale (anzi "mondialista"),  apertosi con la modernità capitalistica, di dissoluzione dell’ordine sociale: dalla famiglia alle comunità locali,  dal concetto di deferenza sociale a quello di comune senso del pudore,  e così via.
Come si può capire,  Antonelli  perora  una causa  impopolare,  che, per quanto ne sappiamo, non  ha facilitato la diffusione del volume,  né le sue pubbliche presentazioni:  contestato a sinistra, soprattutto da gruppi e gruppetti  di estremisti,  e celebrato  a destra, estrema, da altri  microscopici movimenti politici.
Un  libro  che invece  avrebbe meritato, come si dice,   un'ampia  e seria discussione.  Soprattutto da parte liberale. Perché  Antonelli,  pur non essendo   un sociologo di professione,  resta  uomo colto e intelligente. Sicché  l’analisi dei  testi  è  impeccabile dal punto di vista formale. Date certe ipotesi, ovviamente. 
Come non pensare nel giorno  della celebrazione  urbi et orbi dei venti anni dalla morte del cantautore genovese allo studio  di  Antonelli?  Che dunque  invito a leggere.
De André,   tecnicamente (dal punto di vista della sociologia della cultura) si inserisce in quella corrente di pensiero che attraverso il romanticismo e il decadentismo, che ne è la penultima trasformazione,  giunge  ai giorni nostri,  fino ad alimentare una cultura di massa, o pop, che si basa sostanzialmente, sulla liberazione degli istinti, nobilitati a diritti sociali nel nome  di una specie di welfare della sessualità.  Costruttivismo puro.  Pericolosissimo. Dall' effetto narcotico, che però non impedisce  la  guerra per bande,  tese professionalmente  al saccheggio dello stato sociale.  
Pertanto De André, al di là  dei  valori poetici, in senso stretto, che però rinviano alla metrica intellettuale del decadentismo (che può piacere o meno),  rappresenta uno dei tanti esempi di rivolta contro la ragione borghese che  hanno accompagnato, tentando di distruggerne i valori,  lo sviluppo della moderna  società aperta.   Dal momento che, come ben sanno i suoi nemici, e De André è tra questi,   senza diritti di proprietà,  distinzioni di deferenza tra individui e gruppi,  riconoscimento dello spirito di impresa, valorizzazione  del senso di responsabilità individuale, la società aperta può colare a picco. 
Un’inimiciza  - per carità legittima in un artista  -   che tuttavia  nel  sistema dove il mercato giustamente si limita a registrare gli orientamenti dei consumatori, e ovviamente per ragioni di profitto, in cui, di per sé, non c’è nulla male,  ad amplificarli,  anche  la critica ostile, come quella di De André, può diventare oggetto di largo consumo.  E, alla lunga,  procurare danni cerebrali collettivi.  Il paradosso è che De André, volente o nolente,  è un nemico della società aperta.
Si pensi,  per fare un esempio banale,  ai miliardi di  magliette con impresso il volto di Che Guevara, feroce guerrigliero  che fucilava i borghesi,  oggi  tramutato  per ragioni commerciali - sacrosante ripetiamo -  in santino laico.   Ma anche a certo  stile di vita, che Augusto  Del Noce  già cinquant’anni fa bollava come  conformistico  libertinismo di massa.  Uno stile che nel tempo ha  indebolito il nucleo stesso  dell' idea liberale.   Idea che  dovrebbe invece  avere come centro di riferimento  un saldo universo borghese, orgogliosamente  legato ai valori già ricordati,   
Sappiamo bene  che i tradizionalisti, tra i quali molti fascisti  ritengono liberalismo e deandreismo, per semplificare, i due volti della stessa medaglia, di cui liberarsi.  Mentre altri fascisti  in compagnia di comunisti e anarchici  sbavano  per le   critiche di De André alla società borghese e liberale. 
In realtà,  ciò che unisce tutti i nemici del liberalismo  è l’odio verso la società aperta. E in  nome di che cosa?  Di un romanticismo politico, pronto a tradursi nel  distruttivo tentativo  di edificare  una qualche utopia comunitaria  o  collettivistica  rivolta  verso il passato o il futuro. Sicché, per venire alla cronaca politica,  il populismo dei Salvini, dei  Di Maio e accoliti,  che a colpi di tweet  celebra De André,  non è che l'ultima incarnazione del decadentismo  antiborghese. In forma statalista-costruttivista.

Ora, che il mercato sia una macchina che registra  preferenze, amplificandole se gradite ai consumatori, è un fatto.  Di cui non si può non essere  grati.  Un altro fatto è  che il liberalismo e i ceti borghesi, invece di combattere il deandreismo, sembrano credere di poter conciliare romanticismo politico e razionalità economica: De André con  Marchionne. Il che non è possibile. Il prodotto di questa unione, anche  simpatico per carità,  può essere un Lapo Elkann.
I veri borghesi, e soprattutto quelli che contano, per dirla fuori dai denti,  dovrebbero invece smettere di ascoltare De André. Soprattutto, politicamente parlando. 
Resta infine  la questione, tuttora insoluta, di come spiegare  il capitalismo al popolo. Di come renderlo pop, soprattutto  nei tempi in cui stupidamente lo si denigra in modo sistematico. Smith,  Weber e Schumpeter non sono intellettualmente accessibili a tutti.  Servirebbe un De André liberale e borghese.  Fiero dei suoi valori.  Dove trovarlo?   


Carlo Gambescia
                    
                                        

(*)  Pubblicato nel 2015  dal Cerchio Iniziative  Editoriali: https://www.ibs.it/ribelle-di-regime-funzione-antisociale-libro-michele-antonelli/e/9788884744272