domenica 13 gennaio 2019

Polemiche. Ancora su De André
Chiamala se vuoi, sociologia della cultura…



Vorrei tornare  su De André, non come argomento in sé, ma quale  occasione per mostrare come nelle discussioni, in particolare sui Social, il credere tenda sempre  a prevalere sul capire.
Ad esempio, in molti commenti sfavorevoli al post di ieri (*), si è ricordato il  fatto che De André  è un grande poeta, perché la poesia, eccetera, eccetera. Oppure, in altri favorevoli al mio post, che era un comunista, eccetera, eccetera.  In altri ancora, lo si è identificato, con la propria adolescenza e formazione, diciamo “con i migliori anni della propria vita”. Altri commentatori, infine,  hanno definito l’argomento privo di importanza. Solo pochi interlocutori hanno colto il senso   del mio post.   
Che era ed è quello di indagare un fenomeno sociale. Non di sovrapporre ad esso, ideologie o idee personali, credenze se si vuole. Di conseguenza  ho analizzato l’effetto di ricaduta del deandreismo,  all’ interno di  una società aperta, quella in cui viviamo,  dove si  ammette e favorisce la critica.  Fino a che punto però la si può favorire?  Diciamo  che,  grazie a un libero senso di autodisciplina sociale, si dovrebbe  evitare  quel punto di non ritorno, superato il quale, la critica da costruttiva diventa dissolutiva, generando comportamenti sociali che favoriscono ciò che in sociologia si chiama anomia, ossia l’ assenza di regole sociali:  una condizione sociale ( o meglio anti-sociale)  che, ovviamente, a sua volta, post-agendo sui comportamenti, contribuisce all'avvitamento involutivo del fenomeno, eccetera, eccetera. Di conseguenza,  l'autodifesa anti-anomica   è un fatto sociale, non una credenza. Si potrebbe parlare di una specie di riflesso culturale di sopravvivenza che distingue ogni ordine sociale, secondo caratteristiche che gli sono proprie. 
Da questo fatto discendono altri fatti. Se le regole di una società aperta, contemplano il diritto di proprietà, predicarne l’eliminazione, significa andare oltre il punto di non ritorno; se le regole di una società aperta sanciscono  la libertà economica, chiederne la limitazione, significa andare oltre il punto di non ritorno; se le regole di una società aperta  favoriscono la responsabilità individuale, celebrare il culto  dell’immaturità innocente, significa andare oltre in punto di non ritorno;  se le regole di una società aperta, favoriscono la cultura del merito, incensare i falliti, significa andare oltre  il punto di non ritorno.  E così via.
Viene meno, insomma, l'autodifesa anti-anomica della società aperta. Ovviamente, in una società chiusa, dove per principio le critiche non sono gradite,  i valori-base sono completamente diversi, pur se  minacciati, come in ogni altra forma di società, dal rischio anomico. Detto per inciso,  per un De André, la vita in una società chiusa  sarebbe stata molto dura. 
Va però ricordato che  nella società aperta, dal momento che gli uomini non sono  marionette razionali,  i diversi punti di non ritorno,  storicamente parlando,  hanno collocazioni differenti, legate alle tradizioni storiche, al senso di disciplina sociale, alla gravità delle sfide,  eccetera, eccetera.  Non c’è una regola fissa, insomma. 
Tuttavia, la predica dissolutiva,  fine a se stessa, non giova al mantenimento dell’ordine sociale.  Un predicare  che fa parte non solo dell’opera di De André, ma che  rinvia al romanticismo, nonché,  al decadentismo e  nichilismo, come  variazioni, in peggio,  sul  motivo conduttore  romantico. Ovviamente, in una società di massa, soprattutto se aperta (e basata, come deve essere, sul libero mercato),  la valorizzazione dei  comportamenti sociali dissolutivi,  si  trasforma inevitabilmente  in mode, tendenze  e altri fenomeni collettivi.  Sicché  antieroi, falliti e suicidi sono mitizzati e celebrati,  con effetti di ricaduta che però possono essere scalarmente  devastanti, perché legati  al grado di consapevolezza dei valori della società aperta, storicamente e collettivamente, socializzati e interiorizzati.
Naturalmente, qui,  entra in gioco anche il ruolo delle élite, con incarichi di governo e non.  Se anch’esse sposano la causa nichilista,  la società aperta  rischia di avere, storicamente parlando, i giorni contati.  Così accadde negli anni Venti e Trenta del Novecento, così  potrebbe accadere oggi.
Ci  si chiederà: possibile che un cantautore da solo, sia la causa  di tutto questo?  Certo, che no.  Ma come parte di un più ampio fenomeno collettivo, sì. E di questo si occupa la sociologia, in particolare, come ho scritto ieri, “della cultura”. 
Buona domenica a tutti.