Riflessioni
La verità sulle tasse
L’uso leva fiscale da parte del potere politico si
perde nella notte dei tempi. Però uno dei principi fondamentali della libertà dei moderni, che grosso modo risale,
concettualmente, alle rivoluzioni democratiche (britanniche, americana e
francese), rimanda al no taxation
without representation dei coloni americani ribellatisi alla
corona inglese. In sintesi: nuove tasse
possono essere approvate solo con il voto del popolo, o comunque dei suoi
rappresentanti, liberamente eletti.
Si
tratta di un principio liberal-democratico che non ha precedenti nella storia e
probabilmente proprio per questa
ragione è tuttora
inviso ai governanti, da sempre affamati di denaro pubblico, ieri per
fare le guerre, oggi per costruire il
consenso, senza troppi morti e mutilati.
Infatti,
le democrazie welfariste sulle tasse e
sul meccanismo del do ut des con i diversi gruppi sociali hanno costruito la loro fortuna politica. Due, i
principi-base propugnati per
favorire l’obbedienza sociale : 1)
attraverso le tasse si proteggono
socialmente i cittadini; 2) attraverso le tasse si toglie al ricco per dare al povero.
Il
punto però è che la crescita della pressione tributaria, se non supportata da una
crescita, pari se non superiore del Pil (per semplificare), si risolve
nell’impoverimento generale o nella distruzione delle classi produttive ed
economicamente creative. Certo, si
possono anche recuperare
con la frusta tutti i mancati introiti da evasione fiscale, ma se
un’economia non cresce, non cresce… E perciò non resta altro che la divisione sociale della
triplice fame e della triplice miseria.
Purtroppo,
il principio dell’approvazione delle nuove tasse da parte del popolo è stato aggirato attraverso la sostituzione
degli ideali liberali di uno stato
con funzioni ridotte con quelli socialisti dello stato
provvidenza. Al principio della rappresentazione si è sostituito quello della
protezione da ogni tipo di rischio. Pertanto il principio difeso dai coloni americano è mutato così: more taxation, more protection.
Si
capisce benissimo, come, sotto questo aspetto,
ogni tentativo di protesta fiscale, venga oggi visto e giudicato dal potere un atto eversivo - attenzione - di un ordine sociale e
politico rivolto alla protezione totale
del cittadino: quindi per il suo bene (del cittadino). Chiunque invochi il principio della representation è subito liquidato come incivile:
un asociale che non capisce i fondamenti “morali” del more
protection. E qui va spiegato un fatto politicamente curioso.
I cittadini
si sono talmente immedesimati nella parte in commedia, che, se e quando
protestano, evocano, al tempo stesso,
meno tasse e più protezione
sociale. Il che è impossibile, come
detto, se non cresce il Pil. E perché il Pil cresca, è necessario che una parte, delle risorse produttive, sia
sottratta al fisco. Il che avviene o
in modo legale, attraverso la riduzione della pressione fiscale, o
illegale attraverso l’evasione fiscale, che di regola però vede volatilizzarsi
i capitali verso altri lidi più
remunerativi. Come è normale che sia, dal momento che, piaccia o meno, la verità economica si vendica sempre.
Il
punto però è che resta difficile tornare indietro politicamente. E quindi ridurre la
pressione fiscale. Per quale ragione? Perché, per chi gestisce i fondi pubblici sarebbe come tagliare le
radici dell’albero sul quale è comodamente seduto. Sicché, nessun politico ha voglia né coraggio di spiegare in modo chiaro ai cittadini che protezione sociale e
pressione tributaria crescono di pari passo.
Ovviamente,
la politica si auto-giustifica, o evocando capri espiatori: l’evasore, il banchiere, il
miliardario, tutte persone, bollate come egoiste che,
secondo la vulgata welfarista, si
sottraggono al more protection. Oppure, si salva in corner, aumentando a dismisura il
debito pubblico, pur di mantenere a
galla, una specie di titanic welfarista,
comunque destinato a sprofondare nei debiti e nel fiscalismo.
Allora
qual è la verità sulle tasse? Che in
Italia, gli unici che, negli ultimi
venticinque anni, hanno tentato timidamente di
prendere posizione al riguardo, opponendosi all'andazzo, sono stati i professori di Monti. Quasi tutti processati in piazza.
Carlo Gambescia