Oggi i gilet gialli scendono di nuovo in piazza
La rivoluzione non è un pranzo di gala
A
qualche anima bella potrà dispiacere, ma non apparteniamo alla categoria dei piagnoni borghesi. Abbiamo invece sempre apprezzato l'ironia di Pareto sulla borghesia
pseudo-umanitaria dei suoi tempi che credeva che i carabinieri potessero difendere i suoi beni senza spargimenti di sangue.
Figurarsi
perciò se le foto diffuse ieri
degli studenti francesi in
ginocchio e disarmati dalla polizia ci hanno turbato. È il minimo. Macron
è fin troppo paziente. La
rivoluzione non è un pranzo di gala, diceva Mao (che ne capiva...). Probabilmente quei ragazzi, sembra armati
di spranghe, non lo hanno mai letto..
L’unico
problema in certi frangenti pre-rivoluzionari è quello rappresentato dalla fedeltà e dalla compattezza delle forze armate e della forze di polizia. Che però - attenzione - discende da un idem sentire de republica in grado di unire ideologicamente élite, capaci proprio per questo motivo, infondendo certezza negli apparati di sicurezza, di andare fino in fondo.
E
qui nascono i problemi. Perché, e non solo in Francia, le élite, contrariamente al ritratto di comodo - politicamente comodo - confezionato per e dai movimenti
populisti, sono disunite e pronte a
cedere all' avanzata
populista. Il caso italiano è da manuale.
Per quale ragione? Anzi
ragioni?
In
primo luogo, tra le élite prevale l’idea che tutti i conflitti sociali possono
essere ricondotti nell’alveo della ragione istituzionale. Non si capisce che questo
atteggiamento, certamente apprezzabile, vale solo per i conflitti sociali intrasistemici. Il populismo, vezzeggiato
dai media, si pone invece come forza radicalmente antisistemica. Quindi patteggiare con i
populisti non serve.
In
secondo luogo, si è persa memoria, credendo erroneamente di essere immunizzati per sempre, di ciò che
fu la tentazione fascista nella prima metà del Novecento, e in particolare è andato smarrito il ricordo dei suoi frutti più velenosi tra le due guerre. Il populismo, ne fu una componente fondamentale. Quindi patteggiare con i populisti è come patteggiare con i fascisti.
In
terzo luogo, e qui la responsabilità maggiore
è dei mass media, e di riflesso delle élite,
curiosamente però presentate come
nemiche del popolo, si lascia che circoli una percezione totalmente erronea
della realtà: quella di un popolo che
protesta perché immiserito e ridotto alla fame. Basterebbe fare una passeggiata - per non parlare dei dati statistici - per capire che le cose non stanno così. Eppure,
si dà credito alla vulgata pauperista. E per prime, sembrano credervi quelle stesse élite ( o parte di esse), ripetiamo, presentate invece come nemiche de popolo. Quindi intenerirsi, fino al punto
di patteggiare, psicologicamente con i populisti, significa accettare una
visione falsa della società attuale e favorirne la dissoluzione.
Oggi
a Parigi e in Francia, che ancora per una volta nella sua storia parla al mondo, i gilet gialli scendono in piazza. Serve fermezza, come con gli
studenti. Bisogna mettere questa gente in ginocchio, in particolare i manifestanti violenti: far loro capire
che la rivoluzione non è un pranzo di
gala. E che potrebbero non tornare a casa dai loro cari. E poiché la loro situazione socio-economica non è disperata, come viene dipinta, la fermezza, ancora prima di usare mezzi più duri, potrebbe favorire la desistenza e il ritorno all'ordine. La dissuasione, o force de trappe "pretoriana", non funziona con chi non ha più nulla da perdere, mentre può funzionare, ed egregiamente, con appassionati di grigliate, bocce e isterici da tastiera.
Se
unite le élite francesi vinceranno, se
divise sono condannate a perdere. In tutti e due i casi possono però
rappresentare un esempio per quelle nazioni dove il populismo non ha ancora vinto. E forse,
anche dove ha vinto, o quasi, come in
Italia. Dove invece, oggi, si manifesta in favore del governo populista, proprio come in Venezuela. Ma questa è un'altra storia...
Carlo Gambescia