mercoledì 26 dicembre 2018

A proposito del film di Paul Greengrass sulla strage di Utøya
L’isola dei conigli




Ieri  ho visto il film di Paul Greengrass  sui due attacchi terroristici  del 2011,  perpetrati da Anders Behring Breivik, autonominatosi  comandante in capo  di una fantomatica organizzazione di crociati dell’antimulticulturalismo (*).
Il film è  piuttosto lungo e di taglio semi-documentaristico: abbraccia il processo, partendo però dai due attentati alla  sede del governo   sull’isola di Utøya, dove si teneva un seminario politico del movimento giovanile del partito laburista norvegese, attentati condotti a termine con lucida spietatezza. Ci furono settantasette morti,  in maggior parte  tra i ragazzi,  nonché centinaia di feriti.
Quel  che colpisce  il sociologo  sono le modalità di esecuzione della strage sull’isola di Utøya: una vera e propria strage degli innocenti.  Da un lato c’è, per evocare la teoria del partigiano di Carl  Schmitt, un soldato politico, armato fino ai denti, che rivendica la logica assoluta (fino alle mostruose conseguenze)  della  dicotomia amico-nemico.  Potremmo definire la sua logica panpolitica. Dall’altra,  centinaia di giovani  educati secondo i criteri del pacifismo integrale, quindi impolitici, perché in ultima istanza, credenti  nel dover porgere l’altra guancia,  sempre.  Potremmo addirittura denominare  questa logica,  antipolitica.
Piaccia o meno, ma il  risultato, di questo secondo atteggiamento, sul piano dei comportamenti collettivi, proprio  sull' isola di Utøya,  ha mostrato tutta la sua triste inadeguatezza.  Cosa è accaduto? Che, in uno stato di necessità,   ragazzi privi di qualsiasi approccio realistico alle grandi questioni del politico,   si sono dati   alla  fuga,  senza pensare minimamente, pur essendo in numero superiore, a una qualche reazione per mettere fuori gioco l’aggressore.  Il quadro -  certo impressionistico -   che si deduce  dalle terribili  immagini del film di Paul Greengrass, è quello del cacciatore che spara  ai conigli.
Nel 2012, un anno  dopo gli attentati,  uscì in  Francia un pamphlet di Richard Millet,  noto saggista, dove si descriveva  Breivik  come un effetto perverso,  patogeno,  dell’indifferentismo politico e religioso dell’Occidente.   Il saggio fece scalpore:  Millet venne liquidato come un fascista della peggiore specie (**).
Il realtà, pur tra le molte banalità letterarie,  Millet, pose,  forse senza neppure rendersene conto,  un preciso problema:  quello di come collegare relativismo  e difesa del relativismo.  Come diffondere una cultura politica realista, che  non escluda  mai l’esistenza del nemico, e perciò depositaria di una assoluta certezza “politica”,  con una filosofia relativista,  aperta alla comprensione e  all’accoglienza degli altrui valori,  senza per questo negare le ferree costanti metapolitiche del  “politico”. 
Si dirà, la quadratura del cerchio...  Tuttavia, il nodo fondamentale, che rinvia in ultima istanza  alla sopravvivenza dell’Occidente liberale,  è proprio questo: come trasformare i conigli  non in feroci leoni, ma in astute volpi, che all’occorrenza, sappiano indossare la pelle del leone e difendersi con tutta la forza necessaria. Ovviamente,  il nostro  discorso, sul piano dell’implementazione,  rinvia ai processi di socializzazione e "inculturazione": al rapporto tra valori militari e valori civili, nonché, alla fine fine, a quello  tra costanti metapolitiche e sermone della montagna, laicizzato. Se si vuole, tra etica della responsabilità ed etica dei principi.     
Qual è il succo della mia analisi?  Che la cultura del porgere, sempre, l’altra guancia,  porta solo rovine. Come d'altra parte  quella del  prendere  tutti a schiaffi.
Su questo punto, però,  nulla sembra essere mutato.  Jens Stoltenberg, laburista, all’epoca degli attentati premier della Norvegia, teorico del porgere sempre l’altra guancia, oggi è addirittura Segretario generale della Nato…
Il che però  spiega,  come  questo  immutato abito mentale, del pacifismo a tutti i costi,   sia alla base  del successo europeo dei populisti,   che rivendicano,  pur senza impugnare il mitra (almeno per ora), molte delle farneticanti idee di  Breivik. 

Carlo Gambescia      
        
(**) Richard Millet,Langue fantôme.  Essai sur la paupérisation de la littérature suivi de Eloge littéraire d'Anders Breivik Pierre-Guillaume de Roux Editions, Paris  2012;  Acquisibile qui:   https://www.pgderoux.fr/fr/Livres-Parus/Langue-fantome/48.htm .