mercoledì 12 dicembre 2018

Riflessioni
A proposito di cultura populista…

Fonte:  https://www.corriere.it/cultura/17_maggio_02/saggio-carocci-mussolini-giustizia-liberta-marco-bresciani-1eb41132-2f59-11e7-88d3-be5206e98599.shtml

Esiste la cultura populista?  Diciamo subito che il concetto di cultura, modernamente inteso,   è  un’invenzione degli antropologi e dei sociologi.  Discende in linea retta dallo storicismo tedesco dell’ottocento, per confluire, filtrato dall’evoluzionismo etnologico britannico, nell’alveo della moderna antropologia culturale e sociale.
Un esempio classico di trait d’union   tra le  propaggini dello storicismo tedesco e l’antropologia è rappresentato dal celebre lavoro di  Ruth Benedict  sui modelli di cultura,  dove Spengler, viene esteso e  applicato allo studio dei nativi americani. 
Che c’entra tutto questo con la cultura populista?  La divisione tra cultura alta,  delle élite,  e cultura bassa, del popolo, ovviamente è antichissima,  però la sua formalizzazione  risale a storicisti, antropologi e sociologi.
Il populismo oggi imperversante,  probabilmente senza neppure saperlo, affonda le  radici ideologiche nel brodo culturale dell’Ottocento, dove storicismo ed evoluzionismo, approfondirono e ratificarono la divisione tra cultura alta  e cultura bassa.  Sotto questo aspetto il populismo punta sulla rivalutazione della cultura bassa (quindi accettando, suo malgrado,  la partizione evoluzionista),  incanalandola però nell’alveo di  una tradizione vivente, racchiusa negli usi  e costumi popolari,  tipica dello  storicismo romantico.
Pertanto di post-moderno - come invece spesso si legge -  nei movimenti populisti c’è veramente poco.  C’è invece  il richiamo all’idea di tradizione o cultura  vivente, inquadrata politicamente, come eterna  fonte di saggezza e buonsenso popolare. Una visione che ad esempio  ci  riporta a un giurista romantico come  Savigny,  ovviamente per chi oggi  abbia  la pazienza di andare a rileggerlo. 
Non per niente, un  populista come Salvini  e  i suoi alleati  pentastellati  parlano  di “buonsenso al governo ”,  andando a pescare, senza saperlo, nell’immaginario  romantico. I critici come gli apologeti queste cose però dovrebbero saperle...
Ora, un approccio del genere che trasforma il concetto di sovranità popolare, che pure è base legittima delle  liberal-democrazie contemporanee,  da formula  costituzionale  in   giudizio di  valore, facendo coincidere popolo e verità, è molto pericoloso. Perché, il vox populi, vox Dei (come vedremo, secolarizzato),  non ammette, per i singoli cittadini,  quel diritto di replica  che è l’altro  pilastro sul quale poggiano le liberal-democrazie. Diciamo,  il pilastro liberale.    
In Italia, il  populismo fascista, prendendo spunto dalla rapsodica megalomania mazziniana, si incaponì sulla visione del  popolo  come  entità metafisica, addirittura divina:  idea totalizzante,  che  -  come insegna la sociologia delle  istituzioni - una volta   calata nella realtà,   si trasformò inevitabilmente  in fatto e fattore organizzativo.
Sicché Mussolini, via Gentile,  immanentizzò  Mazzini  in termini di Stato Etico, nonché,  ancora  più prosaicamente, in Stato di Polizia: come si può tuttora evincere  dalla  famigerata coppia di carabinieri, onnipresente nelle  foto d’epoca,  che accompagna,  ammanettati, al confino, oppositori politici  - i singoli, di cui sopra -  privati del diritto di replica.  Meraviglie di un altro stato  dove il buonsenso era al governo...
Pertanto  -  per rispondere alla domanda iniziale -  la cultura populista esiste,  eccome. E può far danni. Molti danni.

Carlo Gambescia