Polemiche e chiarimenti
Il tradimento giallo-verde…
Il
tema è sempre quello classico, sociologicamente classico, del rapporto
istituzione-movimento. Tradotto: per una forza politica, diciamo diffusa
elettoralmente, un conto è stare
all’opposizione e promettere tutto a tutti, un altro coagularsi in struttura di governo,
dunque farsi istituzione, e mantenere promesse contraddittorie, come quella di aumentare le pensioni e abbassare le
tasse.
Oggi,
soprattutto le Opposizioni, inclusi non pochi media, si divertono a evidenziare le
contraddizioni racchiuse nella legge di bilancio del Governo giallo-verde, che
ha già avuto l’approvazione di Bruxelles. Gioco
stupido e controproducente. Che segnala
l’immaturità della democrazia liberale italiana. Che non è cosa di oggi.
Non
si comprende ancora che il gioco politico al ribasso, moltiplica le
tensioni nel Paese, e soprattutto incoraggia l’elettore medio, che non vede
oltre il suo naso, a protestare in modo irresponsabile. Questa
non è democrazia, bensì demagogia. Come se non fossero bastati, venticinque
anni - a far tempo da Tangentopoli
- di delegittimazione delle istituzioni
rappresentative e dell’economia di mercato.
Molti
giornali rimproverano al Governo giallo-verde, e in particolare ai Cinque
Stelle, teorici della democrazia diretta, l’uso del "Canguro" per l’approvazione della Legge di Bilancio: di uno
strumento, usato largamente anche dai governi precedenti, e in passato
criticati, proprio per questa ragione, dai grillini.
In
realtà, il potere - attenzione non la Costituzione - ha
le sue regole specifiche, che valgono per tutti, e che si traducono in
forzature, legate ufficialmente a questioni di necessità e
urgenza (come per il reiterato ricorso allo strumento del decreto-legge), dettate invece ufficiosamente da un precisa costante metapolitica: la conservazione del potere, regolarità che trascende le forme di regime.
Il
liberalismo, storicamente parlando, almeno da Humboldt, ha cercato di riorganizzare, costituzionalmente, le costanti del potere, riconducendole
nell’alveo di una democrazia procedurale e dei limiti. Il punto è che gli uomini al governo
delle leggi, che presuppone il "capire", e quindi l'accettazione ragionata delle regole, preferiscono, di massima, quello di un uomo, e quindi
il credere, ripudiando i limiti, nel realizzatore, in colui che, di volta volta, incarni una qualche "Idea", senza badare troppo alla pericolosità, quando sussiste, del suo contenuto messianico.
Si tratta di una questione, che si è costantemente riproposta, assumendo la veste della monocrazia politica, anche nelle democrazie parlamentari. Si pensi al culto del leader, anche negli abiti del "dittatore" parlamentare, che non nasce con Berlusconi, ma che per l’Italia unita, risale a Cavour.
Si tratta di una questione, che si è costantemente riproposta, assumendo la veste della monocrazia politica, anche nelle democrazie parlamentari. Si pensi al culto del leader, anche negli abiti del "dittatore" parlamentare, che non nasce con Berlusconi, ma che per l’Italia unita, risale a Cavour.
La vera questione quindi è rappresentata dal
tasso di liberalismo, e dunque dal
giusto equilibrio, o equazione
individuale istituzione-movimento, racchiusa nella personalità politica del leader. E Cavour, Giolitti e De Gasperi, ne restano l'esempio migliore.
Certo, il
tasso di liberalismo dei leader alla guida del nostro governo è pari a
zero. Tuttavia, è assolutamente inutile
contestarli, scendendo sullo stesso piano. Anche perché, nonostante i populisti
al governo, l’ Italia è ancora nell’UE, e addirittura la legge di bilancio ha
avuto il placet della Commissione. Probabilmente, nella sua implementazione, come Bruxelles ha saggiamente intuito, i giallo-verdi si incarteranno.
Pertanto, che bisogno c’è di alimentare, ora, una inutile cagnara antipolitica?
Carlo Gambescia