venerdì 25 marzo 2016

Terrorismo jihadista e sociologia  delle catastrofi
 I pericoli dell' "effetto spugna"



La sociologia delle catastrofi è una delle tante specializzazioni di una disciplina che ormai ha perduto qualsiasi capacità di sintesi, in nome della parcellizzazione  delle cattedre e delle epistemologie . Ma non è  della crisi della sociologia  che desideriamo scrivere oggi.
Diciamo però che la sociologia delle catastrofi, se si esce dall'angusto specialismo di cui sopra,  ci aiuta invece a capire  la reazione delle persone comuni al   terrorismo,  quale braccio militare di  guerra  né dichiarata né finora voluta dall’Occidente euro-americano.  Tanto per essere precisi.
La sociologia delle catastrofi in linea principale  studia gli effetti sociali dei disastri provocati dall’uomo  (ad esempio, incidenti di tipo tecnologico) e in linea secondaria quelli naturali (ad esempio, un terremoto) (1). Quel che è stato  rilevato, come tipico effetto ex post, è ciò che  definiamo (con parole nostre) l’effetto-spugna.  Nel senso che  gli individui che subiscono il disastro tecnologico o naturale, dopo una prima fase di  spaesamento, e una seconda di elaborazione del dolore tendono a tornare, per quanto possibile, alla loro vita normale. Insomma,  la sociologia rileva una tendenza collettiva  a rimuovere o assorbire l’evento. Per farla breve l’uomo è un essere sociale affamato di normalità (fatta di abitudini, riti, consuetudini) alla quale vuole tornare al più presto.  E -  attenzione - quando più  prevale, a livello di senso comune,  l’idea che la catastrofe avvenuta  era in fondo inevitabile, tanto più si accorciano i tempi di sublimazione collettiva degli eventi. L’ idea di inevitabilità  favorisce l’effetto spugna.
Per venire al punto che qui interessa, qual è la posizione politico-mediatica sull’evento-catastrofe dell’attacco jihadista?  Per un verso, di rassicurare, e giustamente,  che gli effetti traumatici ex post saranno gestiti al meglio  sul piano medico, psicologico, sociale. Per l’altro però, si  ribadisce, che nonostante il massimo impegno delle forze di sicurezza,  permarrà  un certo margine di alea, neppure piccolo, intorno alla possibilità di evitare altri attentati. Di qui, la raccomandazione, che dovremo tutti imparare a convivere con qualcosa di inevitabile.       
Ora, la  riduzione politico-mediatica del terrorismo jiadista  a evento inevitabile, di cui però possono essere ben gestite sul piano "assistenziale" le conseguenze, resta in fondo l’unica “narrazione”  capace di favorire, quel che è già tendenziale  nel comportamento sociale post-catastrofi: l’effetto spugna come esito di  una voglia di normalità. Il che non è del tutto sbagliato.  Tuttavia,  l’effetto spugna tende a  diventare meno forte e vincolante quanto più gli eventi “inevitabili” si ripetono (e avvicinano) nel tempo  producendo conseguenze sempre più gravi e destabilizzanti  sul piano dei comportamenti collettivi di routine.  Sicché, superata una determinata soglia  (certo, difficile da individuare empiricamente), la voglia di normalità, può innescare processi e dinamiche di tipo conflittuale e  oppositivo, andando incidere, e pesantemente, per usare la terminologia di Albert Hirschman, sui livelli di lealtà sistemica (Loyalty), provocando protesta (Voice) e possibile defezione (Exit) (2).
Pertanto la politica  dell’ “Adelande, Pedro con juicio”, riferita da Manzoni al Cancelliere Ferrer e, come pare, condivisa dall’attuale establishment europeo e protuberanze mediatiche, se spinta oltre un certo limite, potrebbe non pagare politicamente, provocando addirittura  effetti destabilizzanti: totalmente opposti a quelli desiderati.  Soprattutto se non accompagnata da adeguata risposta militare a una questione che, come si preannuncia,  non ha nulla a che vedere con l’eccezionalità di uno tsunami.
Realismo politico, come sostiene l’amico Jerónimo Molina, è soprattutto “immaginazione del disastro” (3), non    tirare a campare politicamente  sui disastri.


Carlo Gambescia

(1)Enrico L. Quarantelli, Disastri,  ad vocem,  Enciclopedia Italiana delle Scienze Sociali, vol. III,  pp. 140-150, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1993.
(2) Albert O. Hirschman, Lealtà, defezione, protesta. Rimedi alla crisi delle imprese dei partiti e dello stato, Bompiani, Milano 2002.
(4) J.  Molina, El realismo politico, in  E. Anrubia e Á. de Rueda, Felicidad y conflictoFilosofías para el mundo de mañana, Editorial Comares, Granada 2015, p. 21. Consultabile qui:  https://www.academia.edu/20374719/El_realismo_pol%C3%ADtico .
     

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