Terrorismo jihadista e sociologia delle catastrofi
I pericoli dell' "effetto spugna"
La
sociologia delle catastrofi è una delle tante specializzazioni di una
disciplina che ormai ha perduto qualsiasi capacità di sintesi, in nome della
parcellizzazione delle cattedre e delle
epistemologie . Ma non è della crisi
della sociologia che desideriamo scrivere oggi.
Diciamo
però che la sociologia delle catastrofi, se si esce dall'angusto specialismo
di cui sopra, ci aiuta invece a
capire la reazione delle persone comuni
al terrorismo, quale braccio militare di guerra né dichiarata né finora voluta dall’Occidente euro-americano. Tanto per
essere precisi.
La
sociologia delle catastrofi in linea principale studia gli effetti sociali dei disastri
provocati dall’uomo (ad esempio, incidenti di tipo tecnologico) e in linea secondaria quelli naturali (ad
esempio, un terremoto) (1). Quel che è stato
rilevato, come tipico effetto ex post, è ciò che definiamo (con parole nostre)
l’effetto-spugna. Nel senso che gli individui
che subiscono il disastro tecnologico o naturale, dopo una prima fase di spaesamento, e una seconda di elaborazione
del dolore tendono a tornare, per quanto possibile, alla loro vita normale.
Insomma, la sociologia rileva una
tendenza collettiva a rimuovere o assorbire l’evento. Per farla breve l’uomo è un essere sociale affamato di normalità (fatta di
abitudini, riti, consuetudini) alla quale vuole tornare al più presto. E -
attenzione - quando più prevale,
a livello di senso comune, l’idea che la
catastrofe avvenuta era in fondo
inevitabile, tanto più si accorciano i tempi di sublimazione collettiva degli
eventi. L’ idea di inevitabilità
favorisce l’effetto spugna.
Per
venire al punto che qui interessa, qual è la posizione politico-mediatica
sull’evento-catastrofe dell’attacco jihadista? Per un verso, di rassicurare, e giustamente, che
gli effetti traumatici ex post saranno gestiti al meglio sul piano medico,
psicologico, sociale. Per l’altro però, si ribadisce, che nonostante il massimo
impegno delle forze di sicurezza, permarrà un
certo margine di alea, neppure piccolo, intorno alla possibilità di evitare altri attentati. Di qui, la raccomandazione, che dovremo tutti imparare a convivere
con qualcosa di inevitabile.
Ora,
la riduzione politico-mediatica del
terrorismo jiadista a evento inevitabile,
di cui però possono essere ben gestite sul piano "assistenziale" le conseguenze, resta in fondo l’unica “narrazione”
capace di favorire, quel che è già tendenziale nel comportamento sociale post-catastrofi:
l’effetto spugna come esito di una
voglia di normalità. Il che non è del tutto sbagliato. Tuttavia, l’effetto spugna tende a diventare meno forte e vincolante quanto più
gli eventi “inevitabili” si ripetono (e avvicinano) nel tempo producendo conseguenze sempre più
gravi e destabilizzanti sul piano dei comportamenti collettivi di routine. Sicché, superata una determinata soglia (certo, difficile da individuare empiricamente), la
voglia di normalità, può innescare processi e dinamiche di tipo conflittuale
e oppositivo, andando incidere, e
pesantemente, per usare la terminologia di Albert Hirschman, sui livelli di
lealtà sistemica (Loyalty),
provocando protesta (Voice) e
possibile defezione (Exit) (2).
Pertanto
la politica dell’ “Adelande, Pedro con
juicio”, riferita da Manzoni al Cancelliere Ferrer e, come pare, condivisa
dall’attuale establishment europeo e protuberanze mediatiche, se spinta oltre un certo limite, potrebbe non
pagare politicamente, provocando addirittura
effetti destabilizzanti: totalmente
opposti a quelli desiderati. Soprattutto
se non accompagnata da adeguata risposta militare a una questione che, come
si preannuncia, non ha nulla a che vedere
con l’eccezionalità di uno tsunami.
Realismo
politico, come sostiene l’amico Jerónimo Molina, è soprattutto “immaginazione
del disastro” (3), non tirare a campare politicamente sui disastri.
Carlo Gambescia
(1)Enrico L. Quarantelli, Disastri,
ad vocem, Enciclopedia Italiana delle Scienze Sociali,
vol. III, pp. 140-150, Istituto dell’Enciclopedia
Italiana, Roma 1993.
(2)
Albert O. Hirschman, Lealtà, defezione,
protesta. Rimedi alla crisi delle imprese dei partiti e dello stato,
Bompiani, Milano 2002.
(4) J. Molina, El realismo politico, in E. Anrubia e Á. de Rueda, Felicidad y conflicto. Filosofías para el mundo de mañana, Editorial Comares, Granada 2015, p. 21. Consultabile qui: https://www.academia.edu/20374719/El_realismo_pol%C3%ADtico .
(4) J. Molina, El realismo politico, in E. Anrubia e Á. de Rueda, Felicidad y conflicto. Filosofías para el mundo de mañana, Editorial Comares, Granada 2015, p. 21. Consultabile qui: https://www.academia.edu/20374719/El_realismo_pol%C3%ADtico .
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