Italiani a tavola
Sociologia della domenica
Di
solito quando mi ritrovo in famiglia o
in qualche altra occasione conviviale, mi
piace osservare, se il discorso cade sull’attualità politica ed economica, le reazioni delle persone a tavola.
Di
solito, da sociologo, trovo regolarmente
conferma di atteggiamenti politici che
rinviano a quella che è la pancia - il ceto medio - della società italiana. Del resto - confesso,
nessuno è perfetto - questa è l' estrazione sociale delle mie frequentazioni.
Cinque reazioni tipiche emergono su tutte le altre: uno,
la tavolata, di regola, manifesta il più
profondo disprezzo e distacco dalla politica, i partiti in particolare sono visti come responsabili di tutti mali
italiani; due, si chiede quasi sempre un pesante giro di vite nei riguardi della
sicurezza (l’atteggiamento repulsivo verso i nomadi, come ho notato, varia quasi
sempre in relazione alla distanza residenziale dal centro storico, dei componenti del “gruppo a
tavola”: minore se
si vive in centro, maggiore in periferia); tre,
si chiedono più servizi sociali, ma al contempo si critica l’elevata pressione fiscale (attribuendo il cattivo funzionamento della strutture pubbliche
alla corruzione partitica); quattro, si ritiene, manifestando
una fede messianica nello stato che stona con la sfiducia mostrata verso la vita politica (in generale) e la democrazia parlamentare (in particolare), che le istituzioni pubbliche, una volta depurate dalle “scorie”
partitiche, funzioneranno meravigliosamente.
Inciso
sociolinguistico: nelle conversazioni a tavola, onestà è la parola più frequente. L’italiano
medio è scontento. E si sente tradito se non truffato da una politica corrotta. Però, auto-assolvendosi (dal momento che corruttori e corrotti, concussori e concussi non nascono dal nulla), continua a credere con accenti granitici nella natura salvifica, quindi burocraticamente purissima, addirittura verginale, dello stato. Pertanto, punto cinque, l'italiano teme più del diavolo qualsiasi forma di
liberalizzazione e/o privatizzazione.
Insomma, il nostro, anche a tavola,
continua a non essere un Paese di e per liberali. Forse, si rimpiangono - neppure sotto sotto - due partiti-stato: la Democrazia Cristiana
e, probabilmente, le generazioni più anziane, perfino il Fascismo-regime (non
però quello “movimento” della guerra e di Salò, ricordati con orrore). Quest’atteggiamento politico “reazionario”
(“si stava meglio quando si stava peggio”, i bei dì del fascismo e della democrazia cristiana, in versione regime)
potrebbe però essere legato alla localizzazione regionale e all'età media piuttosto elevata della mia tavolata
domenicale.
Comunque
sia, un elettore siffatto o non vota, e
quindi va a ingrossare le file dell’astensionismo, o se vota sceglie il partito
politicamente indistinto, capace di promettere più servizi meno tasse, alimentando
i miti elettorali del recupero dell’evasione fiscale e della razionalizzazione dei servizi
pubblici.
Un
programma socio-economico, quello degli italiani a tavola, né di destra (liberista in economia: meno tasse meno servizi), né di sinistra (socialdemocratico: più tasse più servizi). Forse di centro? Difficile rispondere. Diciamo che
si tratta di una terza via politica ed elettorale che più che altro rispecchia le caratteristiche, dal lato della domanda, di un
elettore che parteggia per l’individualismo assistito. E che perciò finisce per influenzare la fisionomia
stessa, e quindi l'offerta, dei partiti. Del resto, siamo o no in democrazia? E il realismo non fa guadagnare voti. Ergo, promettere tutto a tutti. Poi si vedrà.
Dispiace dirlo, concludendo, ma gli italiani, che in fondo mostrano di essere né veri liberali né autentici socialdemocratici, hanno ciò che meritano.
Carlo Gambescia
P.S. Dopo un articolo del genere, nessuno mi inviterà più a pranzo.
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