Milton Friedman e le
Banche Centrali
In
Liberi di scegliere, Milton e Rose
Friedman , oltre a divulgare, in modo
eccellente, una visione economica liberale, veramente alla portata di tutti, approfondiscono nelle ultime pagine il tema di una costituzione economica di impianto liberale.
Ora,
talvolta capita di leggere di un Friedman favorevole al controllo diretto dello Stato
sulle Banche Centrali. In realtà, proprio tirando in ballo l’idea di Costituzione, egli ha sostenuto se non proprio l’esatto
contrario, qualcosa di assolutamente diverso, soprattutto nelle finalità, dal credo keynesiano, favorevole invece all'abbraccio mortale.
Friedman non sostiene il controllo diretto, tipo quello di cui si discute molto in Italia, dopo la cosiddetta separazione
tra Banca d’Italia e Tesoro. Bensì, da
attento studioso dell’inflazionismo americano, parla di una sorta di supervisione, in prima
battuta, del Congresso, che è altra cosa,
dalla burocrazia pubblica e del Tesoro, e in seconda, di un controllo di massima, sul piano del
dettato costituzionale: di qualcosa che resta là, come dire, di fisso, immobile,
addirittura sacrale, assai lontano dalla
legislazione "motorizzata", ad libitum, che piace tanto a partiti e clientes. Ci spieghiamo meglio. Scrive Friedman, a
proposito del perseguimento di una moneta sana, libera o quasi dall’inflazione:
«Si
tratta di un emendamento particolarmente difficile da formulare, essendo così strettamente
legato a una struttura istituzionale. Una versione potrebbe essere: “ il
Congresso avrà il potere di autorizzare obbligazioni federali senza interesse
nella forma di moneta o di registrazione
contabili, purché l’ammontare totale di dollari in essere aumenti non
più del 5% e non meno del 3%” » (M. e R. Friedman, Liberi di scegliere, Edizioni Club degli Editori, Milano 1981, p. 308)
Perciò
si tratta di qualcosa di molto differente dall'anomico bazooka di Draghi. Per non parlare del finanziamento della spesa pubblica a piè di lista praticato
dalla vecchia Banca d’Italia, prigioniera della politica. Diciamo
che l’emendamento costituzionale suggerito da
Friedman va contro la discrezionalità
politica propugnata dai keynesiani e mira a colpire qualsiasi alleanza imbrogliona, tra stato e banchieri, restituendo lo scettro a imprenditori, consumatori, contribuenti. Quindi "meno stato più mercato", come prima, più di prima.
Si
dirà dettagli, da studiosi. Però utili.
Carlo Gambescia
Ciao Carlo,
RispondiEliminaho letto il tuo post su Friedman e su Draghi,
ti chiedo un parere a margine del suddetto articolo, sono dubbi sorti da stimoli disparati, nello specifico: l'ascolto di una conferenza pubblica di Nino Galloni, un video di Oscar Giannino e la lettura di un saggio di Maurice Allais. Nella prima si critica il divorzio Banca d'Italia - Tesoro perché foriera delle speculazioni sui tassi iniziate negli anni '80 e seguenti, fino al 1993 con il governo tecnico Amato; questa critica potrebbe rientrare in una visione keynesiana dei rapporti fra stato e sistema bancario, ma in ogni caso ti chiedo coma va vista da un liberale he voglia considerarsi del tutto coerente?
Aggiungo un altro elemento, Oscar Giannino su uno studio dell'andamento del debito pubblico operato dallo staff del Chicago-Blog (affidabile?) sostiene che il debito sia cresciuto di più nel ventennio '90 - 2000, e nello specifico con la cosiddetta Nuova Repubblica (https://www.youtube.com/watch?v=_830Sz1S5_A), anche su questo, mi chiedo, allora meglio il periodo quando il divorzio non c'era??
In ultimo aggiungo le annotazioni di Maurice Allais, nobel per l'economia e membro della Mont Pelarin society, che, in uno scritto che hanno ampiamente divulgato i siti complottisti, "La crisi mondiale ai giorni nostri", giunge a chiedere che "La creazione di moneta deve essere di competenza dello Stato e dello Stato soltanto. Tutta la creazione di moneta eccedente la quantità di base da parte della Banca centrale deve essere resa impossibile, in maniera tale che scompaiano i “falsi diritti” derivanti attualmente dalla creazione di moneta bancaria.". cit.
In sintesi ti chiedo: come deve considerare un liberista l'istituto della Banca Centrale? E come dovrebbe funzionare al fine di regolare al meglio la funzione monetaria?
Scusami per la lunghezza degli interrogativi e sugli accenni disparati.
Ti ringrazio già
Samuele
Grazie Samuele (allora ti do anch'io del tu).
RispondiEliminaDifficile rispondere, tra l’altro io sono sociologo non economista ( e ancora meno tuttologo :-) ). Che dire allora? Moneta e credito, come la guerra, sono cose troppo serie per affidarle ai generali, in questo caso ai soli banchieri. Però, c'è un però, un eccesso di politica, perciò di controlli diretti, rischia di far male nell'uno e nell'altro caso. E’ una questione di equilibrio. Per contro gli autori che citi sono dei controversisti (polemisti, incluso Allais, un nazional-liberale alla francese). Altro che equilibrio: o bianco o nero. E le posizioni e i dati ne risentono… Quindi preferisco non entrare nel merito. Mi chiedi, un liberale, eccetera? Bene, politicamente, un liberale dovrebbe mettere il mercato nella condizione di funzionare… liberamente. Anche quello del credito e della moneta. In questo senso la proposta di Friedman (sul punto hayekiano, suo malgrado), da me ricordata nell’articolo, dei vincoli costituzionali, quindi dei controlli indiretti, affidati alla costituzione e non ai burocrati del Tesoro, resta interessante. Ma come implementarla in Italia, dove si ritiene di avere la “Costituzione più bella del mondo”? Grazie ancora per il tempo che mi hai dedicato.