Il Tribunale dei minori di Roma dice sì a una coppia di donne
I limiti della cultura dei limiti
Non
entriamo nel merito della sentenza del Tribunale dei minori che dice sì alla richiesta di adozione da parte di una
coppia di donne (*). Il punto crediamo sia un altro. Quale? Esiste o meno una cultura dei limiti? E pensiamo a quella invocata da chi si oppone all' adozione di bambini da parte di coppie dello
stesso sesso.
Le
nostre, di fondo, sono società, che credono nella forza della sperimentazione
in ogni campo e che quindi rifiutano, per
principio, l’idea di limite in quanto
tale, e in tutti i campi: scientifici, sociali, economici, morali, religiosi.
Ciò significa che imporre dei limiti, per così dire culturali, allo
sperimentalismo è impresa difficile se non del tutto impossibile. Si corre il
rischio di minare l’idea stessa di progresso, di cui lo sperimentalismo, anche sociale, è il
principale motore. E questo, piaccia o meno, ogni conservatore intelligente dovrebbe ammetterlo.
In
realtà, anche i sostenitori di una cultura dei limiti, conoscono bene questa difficoltà
e perciò ripiegano, per difendere le proprie posizioni, sui limiti di fatto, dettati
dalla biologia e dalla natura. Oggi però
superabili, grazie al progresso scientifico e tecnico. Sicché la battaglia sembra essere già persa in partenza, considerate, appunto, le infinite possibilità, di
miglioramento della qualità della vita, offerte dalla scienza e dalle applicazioni scientifiche, alle quali non possiamo rinunciare. Indietro non si torna.
Perciò
alla cultura dei limiti, non restano che due strade: convincere le persone che esistono dei limiti
(spirituali o fisici) e quindi trarle a sé con il voto, oppure, rinunciare al
ragionamento e impossessarsi con la forza del potere e introdurre una legislazione in favore
dei limiti.
Nel
primo caso, resterebbero comunque delle minoranze contrarie, attive sul piano
della pressione sociale, come accade oggi. Quindi nessuna cultura dei limiti
potrebbe, anche in caso di vittoria, vivere di rendita. Il dibattito, insomma
resterebbe aperto, così come la
possibilità di emendare le leggi, in un senso o nell’altro, sulla base dei risultati di fatto. Si chiama democrazia liberale.
Nel
secondo caso, saremmo invece dinanzi a
una svolta di tipo autoritario: una sorta di dittatura per salvare la società
da quello che i sostenitori della cultura dei limiti, nei termini politici di pars pro toto, ritengono un grave
pericolo morale. Anche qui, le minoranze
di cui sopra, continuerebbero ad agire ma in segreto anche costo di
perdere libertà e vita. Un tempo, in Unione Sovietica, si chiamava, tristemente, samizdat.
Concludendo,
la pace sociale, anche quella imposta con la forza, non è di questo mondo. In ogni società esiste un nucleo di refrattari
(a prescindere dalla causa che difendono) disposti anche a immolarsi.
La cultura dei limiti non tiene conto di questo fatto. Considera gli uomini incapaci di scegliere. Il che, talvolta è vero. Ma si tratta di un rischio da accettare ( e comunque sia in ambito sociale esistono le leggi penali) per garantire la libertà di scelta a tutti.
La cultura dei limiti non tiene conto di questo fatto. Considera gli uomini incapaci di scegliere. Il che, talvolta è vero. Ma si tratta di un rischio da accettare ( e comunque sia in ambito sociale esistono le leggi penali) per garantire la libertà di scelta a tutti.
Alla
fin fine il contrasto non è sull’esistenza o meno dei limiti, ma tra due visioni del mondo: da
una parte, gli assolutisti morali, che ritengono di sapere ciò che sia bene per ogni singolo uomo, nel caso l’esistenza di limiti; dall’altra, i relativisti morali, che dichiarano
di non sapere ciò che sia bene per ogni singolo uomo, lasciando al singolo la
libertà di scegliere e stabilire i propri limiti.
La
prima strada è lastricata di buone intenzioni ma conduce alla perdita della
libertà, la seconda, talvolta di errori, ma è garanzia di libertà.
Carlo Gambescia
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