mercoledì 2 marzo 2016

Il Tribunale dei minori di Roma dice sì a una coppia di donne
I limiti della  cultura dei limiti



Non entriamo nel merito della sentenza del Tribunale dei minori  che dice sì  alla richiesta di adozione da parte di una coppia di donne (*). Il punto crediamo sia un altro. Quale? Esiste o meno una  cultura dei limiti?  E pensiamo a quella invocata da chi si oppone all' adozione di bambini da parte di coppie dello stesso sesso.
Le nostre, di fondo, sono società, che credono nella forza della sperimentazione in ogni campo e che quindi  rifiutano, per principio, l’idea di  limite in quanto tale, e in tutti i campi: scientifici, sociali, economici, morali, religiosi.
Ciò significa che imporre dei limiti, per così dire culturali, allo sperimentalismo è impresa difficile se non del tutto impossibile. Si corre il rischio di minare l’idea stessa di progresso, di cui lo sperimentalismo, anche sociale,  è il principale  motore. E questo, piaccia o meno, ogni conservatore intelligente dovrebbe ammetterlo.  
In realtà, anche i sostenitori di una cultura dei limiti, conoscono bene questa difficoltà e perciò ripiegano, per difendere le proprie posizioni, sui limiti di fatto, dettati dalla biologia e  dalla natura. Oggi però superabili, grazie al progresso scientifico e tecnico. Sicché la battaglia sembra essere già persa in partenza, considerate, appunto, le infinite possibilità, di miglioramento della qualità della vita, offerte dalla scienza e dalle applicazioni scientifiche, alle quali non possiamo rinunciare. Indietro non si torna.
Perciò alla  cultura dei limiti, non restano  che due strade:  convincere le persone che esistono dei limiti (spirituali o fisici) e quindi trarle a sé con il voto, oppure, rinunciare al ragionamento e impossessarsi con la forza del  potere e introdurre una legislazione in favore dei limiti.
Nel primo caso, resterebbero comunque delle minoranze contrarie, attive sul piano della pressione sociale, come accade oggi. Quindi nessuna cultura dei limiti potrebbe, anche in caso di vittoria, vivere di rendita. Il dibattito, insomma resterebbe aperto, così  come la possibilità di emendare le leggi, in un senso o nell’altro,  sulla base dei risultati di fatto. Si chiama democrazia liberale.
Nel secondo caso, saremmo  invece dinanzi a una svolta di tipo autoritario: una sorta di dittatura per salvare la società da quello che i sostenitori della cultura dei limiti, nei termini politici di pars pro toto, ritengono un grave pericolo  morale. Anche qui, le minoranze di cui sopra, continuerebbero ad agire ma in segreto anche costo di perdere  libertà e vita.  Un tempo, in Unione Sovietica, si chiamava, tristemente, samizdat.
Concludendo, la pace sociale, anche quella imposta con la forza, non è di questo mondo.  In ogni società esiste un nucleo di refrattari (a prescindere dalla causa che difendono) disposti anche a immolarsi.
La cultura dei limiti non tiene  conto di questo fatto. Considera gli uomini incapaci di scegliere. Il che, talvolta  è vero. Ma si tratta di un rischio da accettare ( e comunque sia  in ambito sociale esistono le leggi penali) per garantire la libertà di scelta a tutti.  
Alla fin fine il contrasto non  è  sull’esistenza o meno  dei limiti, ma tra due visioni del mondo: da una parte, gli assolutisti morali, che ritengono di sapere  ciò che sia bene per ogni singolo uomo,  nel caso l’esistenza di limiti; dall’altra, i relativisti morali, che dichiarano di non sapere ciò che sia bene per ogni singolo uomo, lasciando al singolo la libertà di scegliere  e stabilire  i propri limiti.  
La prima strada è lastricata di buone intenzioni ma conduce alla perdita della libertà, la seconda, talvolta di errori, ma è garanzia di libertà.

Carlo Gambescia    



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