Mario Draghi,
il mago della pioggia
Al
di là del culto della personalità (“Super Mario”) e delle celebrazioni
tardo-nazionaliste (“i tedeschi schiumano di rabbia”), a noi Mario Draghi fa
pena. Perché è un uomo fuori tempo. Fa
pensare ai “difensori del vecchio ordine” (per citare lo storico
americano Arthur Schlesinger jr): coloro che negli anni Trenta invocavano, dinanzi alla marea
interventista rooseveltiana, il ritorno al laissez faire.
Nel
caso di Draghi, il “vecchio ordine”, invece è rappresentato dal keynesismo, nelle sue varie diramazioni e scuole. "Super Mario" pompa denaro nel sistema bancario ma il cavallo non beve, ossia imprese e consumatori non si fidano. L’inflazione non
cresce (altro feticcio phillipsiano, demo-laburista, quello del mix infazione-ripresa-posti di
lavoro-consumi). E soprattutto la liquidità, nonostante le precauzioni,
continua a prendere altre strade, quelle speculative. Dulcis in fundo: la deflazione regna
su tutto. Insomma, la pioggia della
ripresa tarda a cadere. Come del resto prova il bassissimo prezzo del petrolio. Povero
Draghi, mago della pioggia sfortunato.
Si
dirà, ma possibile che, uomini con studi così approfonditi di economia, non abbiano
ancora capito che la politica degli
stimoli non funziona più? Sì, può capitare anche ai più eruditi. E in particolare quando si ragiona, come i liberisti degli anni Trenta, sulla base delle coordinate mentali e concettuali del precedente paradigma economico. Attenzione
però: mentre il sistema liberista, negli anni Trenta, aveva dietro le spalle, almeno un secolo di successi, quello keynesiano, per
semplificare, può vantare solo il “trentennio glorioso” (1945-1975), dove la
redistribuzione, ha funzionato grazie a uno sviluppo prodigioso dovuto alla
ricostruzione postbellica del mondo.
Quindi, piaccia o meno, i liberisti sono più affidabili. Storicamente affidabili. Naturalmente, pensiamo in termini di cicli concettuali interni all'economia di mercato. Privilegiamo, insomma, un' ipotesi sistemica. Ciò significa che romantici sognatori, complottisti, comunisti, fascisti e compagnia cantante, al guinzaglio o meno, sono pregati di accomodarsi fuori della sala.
Ovviamente, la ricetta liberista, implica, inizialmente, un discreto numero di morti e feriti: banchieri disonesti
e falliti, perdite di posti di lavoro, crescita dell’insicurezza e proteste sociali, Quindi, cosa più grave, quel calo del consenso politico alle liberal-democrazie. Diciamo che
il liberismo, se si considera, il livello di vita, tra
l’inizio dell’Ottocento e i primi del Novecento, parte male (socialmente), poi
però fa crescere l’economia, consentendo così di redistribuire, quel che ha sottratto all’inizio del processo di
accumulazione, moltiplicato per due, per
tre, per quattro, e così via. Del
resto, anche alla base della redistribuzione keynesiana c’è una fase di liberalizzazione
dei mercati, durata almeno un decennio (gli anni Cinquanta del Novecento), con
tassi di sviluppo molto elevati. Mai dimenticarlo.
Perciò si dovrebbe fare un passo indietro: il vecchio ordine da abbattere è quello keynesiano. Caduta, che però
avrebbe nell’immediato serie
conseguenze sociali. Che tutti, peraltro giustamente, desiderano evitare. Draghi, per primo. Sicché tutto continua come prima: si pompa denaro nel sistema, invocando la pioggia della
ripresa economica. Che potrebbe pure scendere. O no.
Carlo
Gambescia
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