giovedì 24 marzo 2016

Riflessioni
Il lato tragico del liberalismo



Non diciamo nulla di originale quando affermiamo che l’uomo al  comprendere privilegia il  credere. Ciò significa che anche l’argomentazione più complessa non può non  partire da una premessa di tipo valutativo, nel senso che si crede in qualcosa, e su quelle basi, date per certe, si argomenta, magari in modo impeccabile, sotto il profilo della logica deduttiva e  induttiva.
Perciò, carte in tavola subito.  Chi scrive, si riconosce nei valori della libertà,  principalmente formali (1),  incarnati dalle nostre società, e quindi condivide il modo in cui esse  sono  socialmente strutturate,  sulla   base di diritti e  procedure in grado di garantire la libertà del singolo. Società che ovviamente non sono perfette, ma che, oggettivamente, sempre a parere di chi scrive,  sono più libere di altre. Il paragone con le altre società è di tipo storico, sociologico, economico. Quindi basato su dati concreti, retrospettivi. Si può perciò parlare di un approccio realista, che teme il salto nel buio  di un  mondo peggiore di quello reale. 
Per contro, chiunque non si riconosca nell’idea di libertà formale dell’Occidente, preferendone ad esempio una sostanziale, partirà da differenti premesse di valore: si crede, insomma, in altro.  In questo caso, però, il paragone con le società altre,  pur essendo di tipo storico, tende a preferire il progetto. Cioè qualcosa che ancora non esiste, che verrà costruito se gli uomini crederanno possibile l’edificazione di una società futura. Quindi un meccanismo basato su dati astratti. Si può pertanto parlare di approccio costruttivista, di prospettiva:  del genere facciamo tabula rasa, per poi costruire un mondo migliore, quello che tutti noi prospettiamo.
Ma veniamo al punto (finalmente,  dirà il lettore).
Va detto che sul piano ideologico, per dar ascolto, al buon Giuseppe Ferrari (2), esistono quattro fasi di sviluppo ideologico (da lui legate all’alternarsi di generazioni successive) quella dei precursori (che immaginano), quella del rivoluzionari (che praticano le idee immaginate), quella dei reazionari (che aspirano al colpo di spugna), quella dei risolutori, (che mediano tra le idee immaginate e la realtà).
Perciò è fin troppo ovvio che tra un precursore e un risolutore -  parliamo di tipologie sociali che possono coesistere nello stesso periodo storico -  non potrà mai esserci  ponte comunicativo, perché le premesse  di valore sono differenti se non del tutto contrarie.  Di qui, i conflitti intellettuali. Che, però ecco il punto, per diventare reali, devono rispondere a determinati bisogni storici, culturali sociali, ed economici. Il liberalismo dei precursori (e dei rivoluzionari), vinse la sua battaglia, trasformandosi nel liberalismo dei risolutori perché seppe interpretare perfettamente i bisogni del suo tempo.
Oggi,  per alcuni  il  liberalismo  avrebbe fatto il suo tempo, per altri la rispondenza tra immaginazione e realtà, sarebbe invece perfetta, per altri, imperfetta, quindi  servirebbero aggiustamenti. Chi ha ragione?  Difficile dire. Sulle difficoltà, se non impossibilità,  di comunicazione tra tipologie sociali, nel senso attribuito da Giuseppe Ferrari, abbiamo detto. Il precursore vola troppo alto; il reazionario vorrebbe tornare indietro, fino a qualche leggendaria età dell’oro; il rivoluzionario, sarebbe disposto anche al patto con il  diavolo pur di abbattere l’ordine esistente; il risolutore, accusato di volare basso, si difende celebrando i risultati conseguiti.
Sullo sfondo del dibattito intellettuale e politico, appena ricordato, resta la società, con i suoi inesorabili determinismi riproduttivi, legati alla routine istituzionale, alla reiterazione di pratiche conosciute, alla regolarità dei  comportamenti imitativi ed emulativi.  Le società -  che naturalmente sono composte di individui -  privilegiano sempre il noto all'ignoto, la sicurezza alla libertà. Pertanto, sociologicamente parlando, l’innovazione politica è l’eccezione, la conservazione la regola. In qualche misura la società liberale, con la sua forte carica sociale  di innovazioni e libertà politiche, rappresenta un’eccezione storica, che andrebbe difesa.  Tuttavia  il liberalismo realizzato, quello dei risolutori, ha un lato tragico:  non si è potuto  non piegare, anch’esso, alle esigenze della routine sociale, quindi in qualche misura corrompersi (il movimento, come insegna la sociologia, che non può non farsi istituzione). Di qui, la metamorfosi, per ricaduta, del cittadino in un bambino viziato e capriccioso,  per il quale  le abitudini sono tutto, la libertà nulla.  Un  tirannico "puer  aeternus" che crede che il liberalismo sia una specie di gigantesca e benevola macchina distributrice dei più cervellotici e costosi diritti sociali e soprattutto dispensatrice di  sicurezza e assistenza dalla culla alla tomba per tutti.  Sicché,  più si argomenta che il liberalismo è l’esatto contrario, più il liberalismo perde popolarità. Una tragedia.  
Carlo Gambescia     
                      
   

(1) Nel senso di parità formale, nei termini di eguaglianza dei diritti, ossia dei punti di partenza. Non  libertà sostanziale, nel senso di eguaglianza sociale, per tutti,  dei punti di arrivo.
(2) Giuseppe Ferrari, Teoria dei periodi politici, Hoepli, Milano 1874.     

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