Lo Stato se sbaglia non paga, mentre il cittadino, al
contrario, paga anche se ha ragione
L’ingiusta
imputazione
di Teodoro
Klitsche de la Grange
Dalla "Tabella al contributo unificato" (fonte:http://www.avvocatoandreani.it/servizi/tabella-contributo-unificato.php ) |
Il disegno di legge sull’ “ingiusta
imputazione”, presentato al Senato e sottoscritto – a quanto risulta dalla
stampa – già da una maggioranza di senatori, dimostra ancora una volta come
intenzioni buone ma circoscritte, possono far dimenticare o confondere malanni
assai più estesi.
Cos’è l’ “ingiusta imputazione”? È la norma che
dispone di condannare lo Stato al rimborso delle spese di giudizio sopportate
dal privato il quale sia stato, per l’appunto, imputato ingiustamente (ora l’art.
530 del codice di procedura penale non lo prevede). Tuttavia il Giudice che
assolve l’imputato, può, come in tutte le altre sentenze (non penali)
compensare (cioè non condannare) “per giusti motivi” lo Stato.
Il disegno di legge è indirizzato, per così
dire, a smussare la punta dell’iceberg.
Infatti normalmente, quando controparte in giudizio è lo Stato (attraverso un
proprio ufficio o organo) la regola è che o la legge preveda, di fatto a favore
dello Stato, che le spese siano ridotte (come per giudizi di equa riparazione);
ovvero capita che, se perde la parte pubblica ricorrono quasi sempre i “giusti
motivi”, se al contrario perde il privato, quasi mai.
A ciò si aggiunge che, sempre, le parti private
sopportano dei costi elevati per litigare (come il c.d. “contributo unificato”)
i quali, per le pubbliche amministrazioni sono “partite di giro”, dato che è
sempre Pantalone a pagare; mentre il cittadino le paga di tasca propria.
Le ragioni di tanta parzialità per le finanze
dello Stato sono varie, e tutte non condivisibili. Chi sostiene che sarebbe
quella di alleviare il deficit; altri che le compensazioni “comprensive”
sarebbero indotte da una sorta di “colleganza” del Giudice col burocrate che ha
emesso l’atto poi annullato; altri ancora ritiene derivino dall’opinione
diffusa – specie tra i funzionari pubblici – che il cittadino sia un furbo e se
non castigato, debba essere almeno onerato (per aver tutelato i propri
diritti). In ispecie se contrari alle opinioni sostenute dall’amministrazione.
In realtà, la presenza di privilegi a favore dei
pubblici uffici anche laddove – come davanti ad un Giudice – si dovrebbe essere
(teoricamente) in condizioni di parità è profondamente ingiusta, e, peggio, foriera
di corruzione, deresponsabilizzazione, e soprattutto abusi di potere. Che un
ufficio, il quale ha provocato un processo (infondato) possa soccombere,
rientra nei casi normali, ma che possa farlo “a gratis” (il che vuol dire a carico del cittadino malcapitato) malgrado
il tutto sia accertato dal Giudice essere frutto di errore (e talvolta peggio),
non lo è.
Ciò in definitiva vuol dire che lo Stato (o
comunque l’ente pubblico) se sbaglia non paga; mentre il cittadino, al
contrario paga anche se ha ragione.
In termini generali con questo sistema, e la
prassi che ha generato, significa che le pubbliche amministrazioni godono di un
plusvalore di potere, potendo
costringere il privato a un esborso –quello di pagarsi avvocati, periti e così
via, necessari alla difesa- mentre sono assicurate preventivamente che l’errato
esercizio del loro potere non avrà conseguenze pregiudizievoli (o ne avrà di
minime). Alcuni fatti, tra i più curiosi capitati in Italia, ricordiamo quello
delle “cartelle pazze” di una ventina d’anni fa in modo massiccio – e
ripetutosi in uno stillicidio di richieste non più savie - si spiegano così.
E nel contempo, se il rapporto dell’apparato
pubblico, con la società è sempre più quello parassitario, del saccheggio delle
risorse a favore di un moloch
inefficiente e paralizzante, la dispensa dagli oneri per aver approvato giudizi
inutili, significa licenza di saccheggio. Tanto anche se non si consegue il
bottino, si è al riparo – totale e parziale – dagli oneri relativi (e dalle
responsabilità).
Teodoro Klitsche
de la Grange
Teodoro Klitsche de la Grange è avvocato, giurista, direttore del trimestrale
di cultura politica “Behemoth" ( http://www.behemoth.it/ ).
Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il
salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia
della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va
lo Stato? (2009), Funzionarismo (2013).
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