domenica 13 marzo 2016

 Lo Stato  se sbaglia non paga,  mentre il cittadino, al contrario,  paga anche se ha ragione

L’ingiusta imputazione
di Teodoro Klitsche de la Grange

 Dalla "Tabella al contributo unificato" (fonte:http://www.avvocatoandreani.it/servizi/tabella-contributo-unificato.php )



Il disegno di legge sull’ “ingiusta imputazione”, presentato al Senato e sottoscritto – a quanto risulta dalla stampa – già da una maggioranza di senatori, dimostra ancora una volta come intenzioni buone ma circoscritte, possono far dimenticare o confondere malanni assai più estesi.
Cos’è l’ “ingiusta imputazione”? È la norma che dispone di condannare lo Stato al rimborso delle spese di giudizio sopportate dal privato il quale sia stato, per l’appunto, imputato ingiustamente (ora l’art. 530 del codice di procedura penale non lo prevede). Tuttavia il Giudice che assolve l’imputato, può, come in tutte le altre sentenze (non penali) compensare (cioè non condannare) “per giusti motivi” lo Stato.
Il disegno di legge è indirizzato, per così dire, a smussare la punta dell’iceberg. Infatti normalmente, quando controparte in giudizio è lo Stato (attraverso un proprio ufficio o organo) la regola è che o la legge preveda, di fatto a favore dello Stato, che le spese siano ridotte (come per giudizi di equa riparazione); ovvero capita che, se perde la parte pubblica ricorrono quasi sempre i “giusti motivi”, se al contrario perde il privato, quasi mai.
A ciò si aggiunge che, sempre, le parti private sopportano dei costi elevati per litigare (come il c.d. “contributo unificato”) i quali, per le pubbliche amministrazioni sono “partite di giro”, dato che è sempre Pantalone a pagare; mentre il cittadino le paga di tasca propria.
Le ragioni di tanta parzialità per le finanze dello Stato sono varie, e tutte non condivisibili. Chi sostiene che sarebbe quella di alleviare il deficit; altri che le compensazioni “comprensive” sarebbero indotte da una sorta di “colleganza” del Giudice col burocrate che ha emesso l’atto poi annullato; altri ancora ritiene derivino dall’opinione diffusa – specie tra i funzionari pubblici – che il cittadino sia un furbo e se non castigato, debba essere almeno onerato (per aver tutelato i propri diritti). In ispecie se contrari alle opinioni sostenute dall’amministrazione.
In realtà, la presenza di privilegi a favore dei pubblici uffici anche laddove – come davanti ad un Giudice – si dovrebbe essere (teoricamente) in condizioni di parità è profondamente ingiusta, e, peggio, foriera di corruzione, deresponsabilizzazione, e soprattutto abusi di potere. Che un ufficio, il quale ha provocato un processo (infondato) possa soccombere, rientra nei casi normali, ma che possa farlo “a gratis” (il che vuol dire a carico del cittadino malcapitato) malgrado il tutto sia accertato dal Giudice essere frutto di errore (e talvolta peggio), non lo è.
Ciò in definitiva vuol dire che lo Stato (o comunque l’ente pubblico) se sbaglia non paga; mentre il cittadino, al contrario paga anche se ha ragione.
In termini generali con questo sistema, e la prassi che ha generato, significa che le pubbliche amministrazioni godono di un plusvalore di potere, potendo costringere il privato a un esborso –quello di pagarsi avvocati, periti e così via, necessari alla difesa- mentre sono assicurate preventivamente che l’errato esercizio del loro potere non avrà conseguenze pregiudizievoli (o ne avrà di minime). Alcuni fatti, tra i più curiosi capitati in Italia, ricordiamo quello delle “cartelle pazze” di una ventina d’anni fa in modo massiccio – e ripetutosi in uno stillicidio di richieste non più savie - si spiegano così.
E nel contempo, se il rapporto dell’apparato pubblico, con la società è sempre più quello parassitario, del saccheggio delle risorse a favore di un moloch inefficiente e paralizzante, la dispensa dagli oneri per aver approvato giudizi inutili, significa licenza di saccheggio. Tanto anche se non si consegue il bottino, si è al riparo – totale e parziale – dagli oneri relativi (e dalle responsabilità).
                                                           Teodoro Klitsche de la  Grange


Teodoro Klitsche de la Grange è  avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica “Behemoth" (  http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009),  Funzionarismo (2013).



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