Bombe a Bruxelles e talk show
Solo chiacchiere e neppure un distintivo
Ieri
è stata la giornata trionfale del talk
show: parole, parole, parole, sulle cause immediate, sul colpe storiche dell’Occidente,
sulle storie di vita delle vittime e
perfino sul gossip. Panorama vario, ricco e abbondante. Vediamo.
Dal
tecnocrate dei servizi che sosteneva che
dovremo abituarci a convivere eccetera,
eccetera: il modello israeliano, insomma (però, quando si dice il caso, solo in
chiave difensiva, di autoreclusione), al medico senza frontiere, in genere un
comunista mai pentito, che parlava di attentato contro “i migranti”, rifiutando qualsiasi controllo dei flussi (oscurando il carattere militare e ideologico
dell’attacco); dal razzista leghista e dal postfascista mai dimentico delle
leggi del 1938, che vorrebbero mettere
tutti i “bastardi” alla porta (
rischiando così di aumentare le schiere
dei nemici della liberal-democrazia, abilissimi a reclutare adepti tra i delusi dell’Occidente), al cretino catto-sociale
che crede invece basti porgere l’altra
guancia per convincere il nemico a
risparmiarci. Senza dimenticare infine il liberal infantile e della lacrimuccia, della vignetta under tre anni, delle prossime marce (sul "non cambieranno il nostro stile di vita", con maschera antigas sotto il cappotto), del mantra sulle psicoterapie in funzione
antiterroristica, e così via. Nichilismo puro.
D’altronde,
questa mattina, anche i giornali
italiani ( ma non solo), riflettendo lo spirito di una opinione
pubblica demoralizzata e impaurita, si
guardano bene dal pronunciare la parola guerra, nel senso - attenzione - di un necessario e immediato
passaggio alla controffensiva militare. La
stessa stampa di destra, che dovrebbe invece chiederla energicamente, attacca, e in modo stupido e barbaro, gli
immigrati e tutti coloro che, fuggendo dalla guerra in Medio Oriente, chiedono asilo politico in Europa. Insomma,
bombe come occasione per insulti razzisti. Soprattutto la destra italiana - probabilmente la più stupida al
mondo - non capisce che la grande lezione della guerra americana in Europa ( parliamo
del secondo conflitto mondiale), rimane quella - parole forti, certamente - del bombardare e proteggere. Essere spietati con i
nemico in armi, ma al tempo stesso
aiutare e liberare le popolazioni bombardate perché vittime del fondamentalismo. Parliamo di un’attività di sostegno alle popolazioni che
viene prima del Nation-Rebuilding (che è
altra cosa e riguarda eventualmente il dopoguerra). In questo modo, si possono separare, anche nell’immaginario collettivo (non storiografico),
i governanti colpevoli dai governati vittime, purtroppo innocenti, di
una guerra senza esclusione di colpi, ieri provocata da Hitler, oggi, dall’Isis e dal feroce fondamentalismo
islamista. Fare
il contrario, ossia prendersela con i rifugiati e gli immigrati è nichilismo
puro.
Bombardare
e proteggere: certo, si tratta di un equilibrio difficile, come mostrano alcune
cantonate americane in Afghanistan e l'impossibilità, anche fisica, di aprire le porte a tutti. Ci chiedeva ieri l’amico Jorge Sànchez,
come comportarsi con le quinte colonne del nemico e soprattutto come organizzare
una campagna bellica in un sistema dove i militari praticamente non hanno
nessun potere. Non lo sappiamo. E non siamo esperti di queste cose. Pensiamo solo
che adesso serva una reazione forte e immediata: dal cielo, da terra, dal mare? O tutte e tre le cose insieme? Non sapremmo dire. Però sappiamo che la supremazia militare è ancora nostra e che quindi possiamo distruggere il nemico. Dovremmo
imparare dagli americani, che dopo le Due Torri, reagirono subito come un solo
uomo, attaccando l’Afghanistan (inciso per i complottisti: diamo per scontata le genuinità dell'attacco, e comunque sia quel che a noi interessa, analiticamente, è la reazione sociologica della popolazione).
E
qui purtroppo, si apre un grosso problema. L’Occidente euro-americano può
essere definito “anche” una civiltà del discorso. Ossia una civiltà capace di
riflettere su se stessa criticamente. E per questo grande, non si discute. Attenzione però, tutto ciò non è soltanto l' eredità dell’Illuminismo,
ma risale almeno al mondo greco e romano, passando per tutte le forme di cristianesimo
eterodosso. Naturalmente, l’Occidente è anche la patria degli uomini di azione,
a tutti i livelli sociali, nei campi dell’economia della politica eccetera.
Diciamo
però che nella seconda metà del Novecento, probabilmente a causa dei disastri
provocati dall’superomismo attivistico e totalitario, la riflessione critica,
anche in chiave strumentale, come formula per rinviare o camuffare la decisione
politica, ha preso il posto dell’azionismo, ossia della tendenza ad agire, a
realizzare, a fare, se non nel campo economico, dove siamo tuttora “forti”. Va detto che negli Stati Uniti, terra contraddistinta
da un ricca tradizione pragmatista, gli spazi concessi al criticismo, e
soprattutto all’influenza del suo pericoloso pendant, il nichilismo
intellettuale, sono tuttora contenuti meglio, come si
è visto in occasione dell’aggressione
militare alle Torre Gemelli.
Per
contro in Europa tutto è più difficile.
Siamo discorsivi. Il che in assoluto non è un male, anzi è un segno distintivo
eccetera eccetera, ma esiste un limite a tutto: in particolare quando si scivola, come abbiamo
visto, nel nichilismo mediatico E soprattutto,
quando la discorsività, diventa nei
politici un furbo camuffamento per rinviare qualsiasi decisione. Purtroppo, faremo guerra quando avremo l’acqua alla gola. E sarà troppo
tardi.
Carlo Gambescia
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