giovedì 28 febbraio 2019

“Autonomie” regionali
C’è del metodo nella follia di Salvini



Salvini non è impazzito. Sulle “autonomie” non si contraddice. Se il lettore avrà la pazienza di seguirci, capirà perché.  

Il Risorgimento e i suoi amici
Chi conosca, anche minimamente,  la nostra storia,  non può ignorare,    la grande  ed eroica  fatica dei padri fondatori liberali, da Cavour a Giolitti,  per mettere e tenere insieme l'Italia.  Il Risorgimento probabilmente rimane il più grande sogno italiano realizzato  degli ultimi due secoli.  La base di tutto: una specie di miracolo.   E nel primo cinquantennio dell’Unità, non fu facile tenere a bada, i  sempre rinascenti     regionalismi, provincialismi e   comunalismi, anche sotto la  veste di  proteste politiche e sociali,  cattoliche, socialiste, persino pseudo-borboniche.

Fascismo e Repubblica
Il fascismo azzerò e centralizzò tutto, anche ciò che non doveva. E fu un errore gravissimo.  L’Italia repubblicana,  pur cosciente dei pericoli storici del sempre rinascente indipendentismo italiano,  aprì, come per vendicarsi del  patriottico unitarismo risorgimentale   prima  alle regioni, provocando la sfascio della finanza  pubblica locale,   e in seguito,   alle pittoresche, ma pericolose,   proposte della Lega Nord  di Bossi.  Si scelsero , quanto meno sul piano del dibattito,  forme di autonomia, che come capita  in tutti i finti compromessi, potevano preludere o meno, secondo l’interpretazione delle parti, addirittura a  forme di   secessione politica.  Intanto, però  si era  aperto  di nuovo il Vaso di Pandora dell’anarchismo  e del  corporativismo  familista  italiano.        

Pensioni e capannoni
Abbiamo volutamente  usato,  in modo generico,  il termine Repubblica, proprio per non  fare riferimento ad alcuna parte politica precisa.  Perché, purtroppo,  il mito del  federalismo, inteso nei modi più differenti,  durante la cosiddetta Seconda Repubblica,   assomigliava  all’acqua del mare culturale italiano, acqua  in cui nuotavano i pesci e pesciolini politici, tutti.  Perfino l’estrema destra, ovviamente  quando faceva comodo.  Magari per viziare il Sud secondo una logica pseudo-borbonica, con le pensioni di invalidità.  Il che non era del tutto falso, come si riteneva e ritiene al Nord, però  secondo un'altra logica altrettanto sbrigativa, quella dei Dogi serenissimi dei Capannoni.  Come si può capire, stereotipi. Ma la gente comune si nutre di stereotipi. 
Pertanto, perché  meravigliarsi  della scelta di Salvini, rivolta ad accrescere  i poteri, vissuti in chiave egoistica  delle Regioni del Nord?  Fino  a scatenare la reazione, altrettanto gretta, del Sud?    

Salvini, borghese piccolo piccolo...
Certo, dietro la scelta di Salvini c’è una buona dosa di opportunismo politico, come quello di tacitare gli imprenditori lombardi e veneti vicini alla Lega,  ma vi si può scorgere anche  quell’antiunitarismo, che rimanda all'acqua del laghetto  in cui  il Giostraio Mancato  ha  nuotato  fin da piccolo, politicamente piccolo, quella di  un partito ferocemente antiunitario, come la Lega. 
Ma allora il  “Prima gli Italiani”?  Il  razzismo italico?  Eccetera, eccetera?   Diciamo che Salvini, per forma mentis,  stando anche alla sua biografia sociale,  ancora prima che politica, rinvia al  borghese piccolo piccolo:  figura sociologica, immortalata da Cerami, dell'uomo pronto a vendicarsi alla stregua di un criminale,  quindi a  tramutarsi in  potenziale o mancato criminale in base alle circostanze.  Sicché Salvini  era ed è  naturalmente  portato, con tutto il risentimento  necessario,  a distanziarsi da chi sia sotto di lui, come sopra di lui, lungo una scala valutativa - una specie di termometro sociale della rabbia verso il  meridionale, il  negro, l'islamico, l'europeista, eccetera  - che la sociologia  dell’ socio-centrismo, come studio delle rappresentazioni  che hanno di se stessi  i gruppi sociali,   ben conosce. E di cui  l'etnocentrismo è una derivazione concettuale e comportamentale, come si intuisce, successiva. 

Socio-centrismo, i dettagli
Parliamo di una scala  che va dal  micro (famiglia,  vicinato,  gruppo professionale) fino al macro (ceto socio-economico,  politico, culturale e  gruppo razziale)   e  che si fonda su un preciso pregiudizio, spesso ricevuto, per così dire, con il latte materno: quello di   temere, e disprezzare,   tutto ciò  che non si conosca, perché  fuori della cerchia socio-culturale di appartenenza.
Si tratta  di odio, anche accanito, verso chi si presume diverso.  L’odio è causato dalla percezione pregiudiziale di fattori esteriori, come  la diversità di accento, il modo di vestire, gesticolare, la professione, il colore della pelle, eccetera.  Detto altrimenti, il pregiudizio impedisce il giudizio, e il giudizio rafforza il pregiudizio. Si chiama spirale socio-centrica.  Una "filosofia di vita"  che, se ci si passa la caduta di tono,  è rozzamente racchiusa  nelle frase sottoscritta da Salvini nella foto.   

Sovranismo e regionalismo, pari sono
Pertanto, all’interno di una personalità politica e sociale,  del genere -  ora, stiamo parlando "anche", anzi "soprattutto" di Salvini - possono benissimo coesistere,  perché frutto avvelenato di un  atteggiamento socio-centrico ricevuto, sovranismo e regionalismo. Che poi di fatto, sovranismo e regionalismo, siano fonti di tensione e rovina, o per dirla in sociologhese,  fattori centrifughi,  nel caso specifico,  rispetto all’Europa e all’Italia, non implica che un politico come Salvini, ripetiamo  con la forma mentis, appena ricordata,  non possa prendere le decisioni sbagliate e improduttive verso l’Europa, l’Italia  e   Regioni, che alla lunga,  verrebbero risucchiate, secondo una naturale logica centripeta,  da economie politicamente  più forti.  E per giunta, certissimo, di fare il bene dei suoi concittadini.   Si chiama eterogenesi dei fini.      

Conclusioni
Per superare il  pregiudizio socio-centrico la scuola non basta. E talvolta  neppure una vita intera. Le stimmate, o  rappresentazioni determinanti,   del gruppo sociale di provenienza possono accompagnare per tutta la vita.  Certo, si può reagire, cambiare, eccetera. Ma, in linea generale, l’uomo è “animale” reiterativo, che privilegia il principio del minimo sforzo e  che al capire preferisce il credere. Quindi il socio-centrismo è sempre in agguato. Superarlo impone sforzi che solo una minoranza di persone, civili ed educate, spesso per elezione,  è  in grado di compiere e sopportare.  Il che spiega l’odio di un  socio-centrico come Salvini, ma anche dei populisti, verso le élite acculturate e universaliste: l'esatto contrario di ciò che essi sono.  Si tratta di  gente  - le élite -  "che non si fa i "cazzi propri". Ma spiega anche un’altra cosa, importantissima:  che dietro, il sovranismo-regionalismo e razzismo, per dirla tutta, del Giostraio Mancato, si nasconde  una coerenza sociologica,  da manuale.  Si chiama socio-centrismo.
C’ è  del metodo, dunque,  nella follia di Salvini.

Carlo Gambescia

mercoledì 27 febbraio 2019

Radiografia di un  "guru"
Steve Bannon, chi è costui? 





In Italia,  negli ultimi giorni,  due quotidiani hanno tentato di togliere qualche velo al mistero politico che avvolge la figura di  Steve  Bannon,  ex guru di Trump  (ma in fondo non si sa bene quanto ex).  Un personaggio, dallo sguardo  spiritato,  che invece  crediamo debba essere  considerato  più  che un ideologo (un "guru", come si dice),  un abile organizzatore culturale,  ovviamente  di estrema  destra: quella che oggi si chiama Alt-Right, destra alternativa.  A che?  Al sistema liberal-democratico.   
 “Il Foglio” di Cerasa, in prima linea nella battaglia contro il populismo,  ne ha parlato,  per via  indiretta, pubblicando  la prefazione  italiana, di Joshua Green  al suo pamphlet  su Bannon, che da noi esce per i tipi di  Luiss Press, con postfazione di Giovanni Orsina  (1);  “ La Verità",  il  quotidiano di Belpietro, vicino invece ai populisti,  in modo  diretto,  con una  lunga  intervista di Alessandro Rico  (2).
La pagina del "Foglio" di ieri 
Da quel che si deduce -  e non è che ci voglia molto -   il  pensiero politico di Bannon, in senso stretto, è  poca cosa e  molto confuso:  sì al capitalismo, ma anche nazionalismo e al  protezionismo; sì al tradizionalismo, ma anche al conservatorismo;  sì a Evola, ma anche a Guénon: sì al giudeo-cristianesimo, ma anche al paganesimo.
Il suoi idoli   sembrano tratti,  pari pari,  dallo schizofrenico catalogo librario di qualche  casa editrice di estrema destra.  Degni, insomma,  di un banchetto da  festa annuale di Fratelli d'Italia  o  della Lega.           
Bannon, come anticipato, non ha un  bell’aspetto (sembra ne vada fiero): malvestito, grassoccio, sudaticcio, dai modi rozzi, sempre  sopra le righe. A vederlo da vicino, dà  l’idea di chi  non ami granché il sapone. Si dice pure  che sia  molto ricco,  benché non si conoscano  origini e reale entità  del suo patrimonio.  Ex ufficiale della marina Usa, con incarichi nella sicurezza, ha poi  preferito  veleggiare  nel mondo di Wall  Street e di Hollywood, speculando (probabilmente)  e  producendo film che  non sono passati alla storia. Infine, ha fondato, con soldi altrui, il sito Breitbart, noto per le  posizioni di estrema destra.  dal quale è stato estromesso, su pressioni di Trump, dopo il divorzio politico. 
L’unico vero successo di tutta la sua vita, resta quindi la miracolosa  campagna elettorale che ha portato alla Casa Bianca un outsider populista pieno di soldi.  Di qui però, la sua fresca fama, nonché, probabilmente,  l’idea, un poco megalomane,  di poter ripetere il successo in Europa. Come?  Trasformandosi  nell'influente  suggeritore di personaggi come Salvini, Giorgia Meloni , Marine Le Pen (che però sembra poco o punto convinta) e di altri personaggi minori del populismo europeo. E forse anche di Cinque Stelle.
Bannon, Salvini e Modrikamen
Gli uomini, come è noto,   sono “animali” reiterativi:  se hanno successo in una cosa, anche   una sola  e  quando  divorati  dall' ambizione,   persistono sempre  nel fare quello  in cui sembrano  riuscire  bene. La distinzione tra ambizioni e velleità è molto sottile: dipende dall’esito degli sforzi. Dal successo o meno.  A Bannon,  una volta ( nella vita) è andata bene,  sicché, molto probabilmente  si è montato la testa. E dunque reitera.
L’altra spiegazione (che però potrebbe affiancare la prima) è che dietro Bannon  vi siano corposi interessi geopolitici.  Di chi? Il sociologo, alza le braccia, poiché  il complottismo non rientra nel suo raggio cognitivo.
Dicevamo di Bannon e della sua idea, che in fondo è l’unica veramente sua.  O quasi.   Quale idea?   Quella  di cavalcare l’onda lunga del populismo mondiale. L’idea dello tsunami  populista, sembra però  tratta, anche a suo dire, dalle opere di Neil Howe e William Strauss  sui cicli generazionali, periodicamente legati, a loro avviso,  alla dinamica sociale ordine-disordine, di cui le diverse, generazioni, succedendosi,  si farebbero  collettivamente  interpreti. E ora, secondo Bannon, che, a sua volta reinventa,  toccherebbe alle generazioni, per così dire, populiste ripristinare l’ordine, se possibile, mondiale (3).

Copertine dei libri scritti dai "guro" del  "guro"
Come si può capire, sono rimasticature ideologiche di seconda o terza mano.  Per inciso,   i lavori di  Howe e  Strauss  sembrano  fotocopie dei libri del nostro Giuseppe Ferrari, un democratico del Risorgimento,  poi deputato al Parlamento e docente universitario, che applicò,  un secolo e mezzo fa,  una teoria del genere alla storia universale (4), che però  ebbe più successo postumo  all'estero che in Italia, dove allora la commistione tra matematica e storia,  non era  particolarmente apprezzata.   Però, ecco il punto,   il Mein Kampf, che  cosa fu ? Una specie  di stock  di  umidicci e sporchi  fondi di magazzino del pensiero umano, per giunta mal digeriti.  Che però  conquistò i tedeschi. E non solo.        
Tuttavia, in ultima istanza,  i  veri  punti della questione  non rimandano alle idee (per usare una parola grossa) di Bannon, alla credulità popolare,  e neppure alle sue capacità o meno  di convincere  i leader populisti  europei a sposare la causa mondiale del populismo, bensì  all’entità delle risorse e dei legami politici internazionali, che egli potrebbe gettare nella fornace della crisi europea. Relazioni ed energie (per così dire), che nelle presidenziali americane sembra abbiano avuto un qualche  ruolo.  Insomma, su quante "divisioni di carri armati" può contare Bannon?  Sul punto,  tuttavia,  alziamo di nuovo le braccia.  La palla dovrebbe passare (condizionale d’obbligo) all’intelligence italiana…
A proposito, come si chiama l’attuale Ministro dell’Interno  italiano? Che, in qualche modo,  dovrebbe indagare sulla cosa?  Non ricordiamo...  Sembra però  che abbia accettato di far parte di The Movement, la fondazione bannoniana, con sede a Bruxelles,  presieduta da Mischaël  Modrikamen, il populista belga, luogotenente di Bannon in Europa e grande ammiratore di Putin…  

Carlo Gambescia                          



(3) Si vedano di  N. Howe e W. Strauss, Generations: The History of America's Future, 1584 to 2069,  William Morrow & Company, New York 1991 e  The Fourth Turning: What the Cycles of History Tell Us About America's Next Rendez vous with Destiny Broadway Books,  New York 1997. 
 (4) Si veda Giuseppe Ferrari,  Teoria dei periodi politici,  Hoepli, Milano-Napoli 1874.


martedì 26 febbraio 2019

Voto in Sardegna, quante fesserie  nei commenti
Sotto gli editoriali niente



Non vorrei presentarmi agli amici lettori  come chi abbia  capito tutto, mentre  gli altri  sono tutti cretini, ma, francamente, oggi sulla stampa italiana,  non c’è un commento, che abbia colto il punto fondamentale delle elezioni.  Da noi, già evidenziato ieri (*): l’irresistibile forza dello tsunami populista.
A sinistra,  si discute del falso testa a testa, e che quindi  avrebbe perso anche il Pd, che, come Cinque Stelle, battutissimo, dovrebbe guardare a sinistra, quindi accentuare i toni populisti.  A destra,  “Giornale” (di famiglia)  a parte, ci si preoccupa invece, per la solidità di un governo populista, subito però, come sembra smentita da Salvini, che leccandosi i baffi (quando gli ricapiterà più un alleato sempliciotto come il Trascorso Bibitaro allo Stadio?), dichiara invece  di voler blindare la maggioranza gialloverde. Risultano perciò assai patetici  gli appelli di Berlusconi  al Giostraio Mancato,  come  le stupidaggini  sul ritorno del nuovo bipolarismo (Centrosinistra vs Centrodestra): come se un’etichetta politica garantisse la sostanza del prodotto politico. Da ultimo, davvero comico,  l’editoriale di  Cacciari, sul "Fatto" dove, come si intuisce facilmente,  si  usano categorie degli anni Ottanta (in particolare quella del condizionamento socialista giocato nei riguardi dei comunisti), come se, Di Maio fosse Craxi  e Zingaretti ( o chi per lui) Berlinguer.  Il filosofo dovrebbe ritirarsi. 
È incredibile infine, come accennavo,  la stupidità di certi raffronti, come nel caso di  Polito (nella foto), che sul "Corriere" spaccia  una tesi  degna della "Gazzetta di Paperopoli":  la fine del bipolarismo élite-popolo  sostituito dal ritorno del  bipolarismo destra-sinistra.   Ovviamente imposto dal popolo... 
Qualcuno dovrebbe spiegare a Polito  che il bipolarismo tra   élite-popolo è una regolarità  della politica, quello tra destra e sinistra  rinvia invece  a una divisione interna alle élite  post 1789.  La prima permane, e quindi la ritroviamo, come distinzione tra governati e governanti,  a prescindere dal regime politico (da quelli di  Tamerlano e Fidel Castro alla Gran Bretagna di Churchill).  La seconda  invece  rinvia ai regimi politici moderni, articolatisi intorno alle istituzioni parlamentari.  Per capirsi:  anche il  governo più populista del mondo, potrà anche fare a meno  della distinzione politica tra destra e sinistra, ma  non alla dicotomia,  ben più profonda e solida (dunque non storica),  tra governati e governanti,  che ha  il carattere  della  regolarità  metapolitica
Pertanto, questa mattina,  si scrive e legge di tutto, ma non  del fatto che in realtà, come notavo ieri,  il populismo è più forte di prima, o comunque come prima.  Perché, potrà anche cadere il governo, ma non mutare la sostanza della situazione politica, che vede l’Italia  sempre più orientata  verso un modello politico-sociale che  ricorda una repubblica sudamericana. Che poi i dittatori della futura Repubblica Italiana delle Banane, abbiano o meno  nomi differenti, non cambia nulla.   
E il tutto  - ecco la cosa più grave -   sembra accadere sotto  gli occhi complici  di commentatori che non   riescono o non vogliono capire la gravità della situazione.
So che non tutti, tra i lettori, possono approfondire, per ragioni di preparazione, interessi, tempo eccetera,  però sarebbe interessante, andarsi  a rileggere, sui giornali di allora,  il dibattito politico che accompagnò l’ascesa del fascismo. Attenzione, non per  dare la stura  all’isterico antifascismo di certa sinistra, ma per capire, in termini di psicologia dell'opinione pubblica  e di   false percezioni della politica, come quella generazione di commentatori e giornalisti, tra i quali c’erano molti liberali, non capì la gravità della situazione.  Proprio come oggi.



         

lunedì 25 febbraio 2019

Elezioni regionali in Sardegna
Crollo Cinque Stelle, ma non del populismo…





Nelle nostre analisi tentiamo  sempre di  ricondurre gli eventi politici nell’alveo delle questioni strutturali.  Si prenda il  voto in Sardegna,  stando ai primi sondaggi,  si vanno profilando il crollo verticale del Movimento  Cinque Stelle, l’ottimo   recupero del Centrosinistra, e la sostanziale tenuta  del Centrodestra.  Si prepara dunque  un testa a testa tra i principali schieramenti politici  degli  anni Novanta e Duemila.

Ritorno al passato?  Ancora presto per dirlo. Perché,  al di là della questione  elettorale,   esiste un dato di fondo, strutturale, che rinvia al cambiamento del clima politico,  rispetto a due decenni fa. 
Oggi, sintezzando,   prevale  il Politicamente Corretto di Destra, che storicamente rinvia  alla triade Dio, Patria e Famiglia, valori,  certo, modernamente reincarnati, ma non in meglio: perché si va   dal razzismo anti-islamico fitto di  richiami religiosi, al sovranismo più sordido, reinterpretato in chiave antieuropea e anti-immigrazione,  fino  al diritto di  difendere con le armi  famiglia e beni, in stile film western.   
Non è uno spettacolo gratificante,  dal momento che il Centrodestra, chi più chi meno. sembra aver sposato questa trita e pericolosa  formula, per giunta male reinventata.
E il Centrosinistra, dato in forte recupero?   Dando per scontato il progressivo crollo del Movimento  Cinque Stelle, diventa interessante capire quale potrebbe il suo  atteggiamento. Riprenderà il cammino riformista, attento alle esigenze di mediazione tra destra e sinistra? Oppure sposerà, in opposizione al Politicamente Corretto di Destra, la causa del Politicamente Corretto di Sinistra, che al Dio, Patria e Famiglia contrappone la triade  Io,Umanità, Genere?
Certo, semplifichiamo.  Però, come si legge  sui giornali di oggi,  occuparsi della durata del Governo giallo-verde, insomma delle ripercussioni immediate del  voto, non aiuta a capire. Perché ci allontana dal comprendere un fatto fondamentale, ripetiamo, strutturale:   che il clima politico-culturale è mutato, che il populismo, di destra come di sinistra,  ha contagiato tutti partiti  ( o quasi).   Di qui, l’importanza di capire, cosa vuole fare  il Centrosinistra da grande, rispetto alla questione strutturale evidenziata. Ma anche come si muoverà il Centrodestra, per ora prigioniero del violento populismo di Salvini. 
Noi siamo pessimisti,  perché l' altra cosa importante  da chiarire,  non è tanto (o comunque non solo) se i voti perduti da  Cinque Stelle, sono di destra o sinistra, ma quanto siano imbevuti di populismo o riformismo. Ad occhio, crediamo che la carica  populista, racchiusa anche in questo voto sia notevole. Si veda, ad esempio,   l'atteggiamento benevolo di tutti i partiti nei riguardi dell'ennesimo conflitto per la  spartizione (dai pastori agli industriali) di quel  bottino che si chiama prezzo politico del latte.
Ciò significa, almeno a nostro avviso, che la tremenda forza dello tsunami  populista  rischia veramente  di travolgere  l'intero quadro politico. E di riflesso il Paese.
Perché è inutile, questa mattina,   bearsi del crollo annunciato  di Cinque Stelle, se poi il Centrodestra e il Centrosinistra, pur di intercettare l'elettore populista,  continueranno, anche in futuro,  a tramutarsi  in succursali politiche del movimento fondato da Beppe Grillo.  A fronte, ovviamente, di un movimento pentastellato, che, nella contesa per gli stessi elettori, potrebbe essere sospinto a radicalizzare la posizione politica.   Si chiama spirale populista. Un dato strutturale. Purtroppo.
Un'ultima cosa.  Il lettore si chiederà, visto che si è ragionato per triadi politico-culturali, quale potrebbe essere quella riformista. Esiste, insomma, anche, se proprio vogliamo chiamarlo così,  un Politicamente Corretto  Riformista?   Presto detto: Europa, Mercato, Libertà.  Tuttavia,  a differenza, degli ideali fascistoidi della destra  e di quelli  utopistici di certa sinistra, questi valori  hanno dietro sé, un lungo periodo di pace e benessere.  Non sogni, ma realtà. E dalla realtà deve  partire, sempre, ogni vero riformismo.  Il punto è credere in essi,  anzi esserne orgogliosi,  rifiutando di inseguire il voto populista.   
Ma per dirla con Battisti,  cantautore a noi caro, come  può uno scoglio, soprattutto di questi tempi,  arginare il mare...   

Carlo Gambescia                    

                    

domenica 24 febbraio 2019

Formigoni in galera,
che soddisfazione, eh?



La plebe pentastellata,  nella quale  strisciano  molti millennial,  che di Formigoni sanno poco o nulla, finalmente  sarà felice. Giustizia è  fatta: un corrotto in  galera.  Benché,  per alcuni, tra  i tantissimi falliti, equamente distribuiti tra  Lega e M5S,  che  infestano i Social,  sia   addirittura poco per un vecchio democristiano.  Probabilmente, si sperava nella decapitazione pubblica. 
Di Formigoni, politico di lungo corso, classe 1947, non ho mai apprezzato nulla:  un nemico della laicità che usava la laicità per favorire il confessionalismo. Un furbetto della Madonna... Va detto però, che, a differenza di altri politici, le sue idee, da cattolico integralista (o quasi) non le ha mai cambiate. Però, come  si sa,  la coerenza è uno scatolone  vuoto:  si può essere coerenti, fino in fondo, anche  nei riguardi delle idee Hitler. Insomma, ci  si può  mettere dentro di tutto.  Tuttavia, molti politici, ripetiamo,  neppure sanno cosa sia la coerenza in quanto tale.  
Roberto Formigoni (1987)

L’errore politico  di  Formigoni, tipico delle personalità integraliste, resta quello di  avere  preteso, oltre ogni legittima misura temporale, di   imporsi come leader politico della  Lombardia.  Quasi a vita.  Troppi mandati.  Insomma,   di voler non vincere, ma stravincere.  Alla fine, quando chiedi troppo,   inevitabilmente, qualcuno che  ti odia, trova il modo per  beccarti con le mani nel sacco. Anche gli onnipotenti hanno punti deboli: Berlusconi, docet... E pure Andreotti... 
Però,  va anche  detto,   che in carcere, a braccetto con  Formigoni, dovrebbe andare,  se fosse persona fisica, il Welfare State italiano, soprattutto  sanitario, sempre pronto a  facilitare, con la sua commistione tra pubblico e privato,  imbrogli di ogni genere.  
Come dice un vecchio proverbio:  l’occasione, fa l’uomo ladro. Saggezza, sociologicamente,  confermata. Perché, nonostante esistano colleghi, più o meno illustri,  che si spendono, teoricamente, perché la merda welfarista (pardon)  continui a tornare a galla, le indagini empiriche ci dicono che il mix pubblico-privato resta fonte inevitabile di corruzione. E non solo:  se c’è  un politico che deve decidere come, dove e quando distribuire fondi, crediti, sgravi, c’è anche un imprenditore pronto a corrompere, e di riflesso - attenzione -  un politico altrettanto felice di concutere. 
Un mix infernale, di corruzione e concussione, che  ha spianato la strada di  Formigoni, prima verso Palazzo Lombardia,  poi  verso il Carcere di  Bollate.  Naturalmente, parlare  oggi  di privatizzazione della Sanità in Italia è quasi  un reato politico. Cinque Stelle e Lega  sanno che  perderebbero all'istante milioni di voti.  Pertanto continueremo a farci del  male, tutti,  con  il classico  welfare spaghetti  all’italiana: ticket, convenzioni, aste e appalti, per non scontentare nessuno. Tu dai una mano a me, eccetera, eccetera.  
Roberto Formigoni  (2009)
Un sistema dove paradossalmente un tumore viene curato benissimo, mentre   una frattura al  polso molto  meno. Per dirla fuori dai denti:  si guarisce dal cancro ma si rischia di restare storpi alla mano. Chi voglia scoprire come funziona la micro-sanità in Italia  si rechi presso un qualsiasi pronto soccorso, se possibile in compagnia del fantasma di Balzac.   E ne vedrà delle belle.    
Ovviamente, la risposta giusta non può essere quella sovietica, patetica e disastrosa. Una Sanità  totalmente pubblica sarebbe il paradiso dei burocrati, dei corrotti e  degli sprechi.  Si morirebbe di cancro e storpi alla mano.  Ma, ripeto, di privatizzazioni, anche solo  parziali, sperimentali,  nessuno osa più parlare. Perché  in fondo gli italiani in qualche modo si arrangiano. Chi "conosce" il cognato dell'amico del cognato, un medico, che a sua volta  "conosce", eccetera, eccetera, viene curato meglio.  Siamo fatti così.  
Però Formigoni è finito in galera. Che soddisfazione, eh?

Carlo Gambescia                  

sabato 23 febbraio 2019

Fitch grazia l’Italia
Se anche i mercati si  illudono sul populismo….



Qual  è il succo politico della decisione di  Fitch di non affossare definitivamente i titoli italiani, declassandoci? Che il mercato si accontenta  di una riedizione del Centrodestra, con Salvini al posto di Berlusconi.  Il male minore, si crede. 
E il succo  economico?  Che i mercati temono il  pericolo di contagio, provocato dalla  vendita a catena dei titoli italiani ridotti a spazzatura.  Un terremoto nel  portafoglio titoli delle banche e società di investimento di mezzo mondo, in particolare per le   specializzate in titoli ad alto rischio.
Diciamo che, per ora, il mercato ha salvato i nemici del mercato.  
È l’atteggiamento giusto? Dal punto di vista economico, sì,  almeno in parte.  Perché, Fitch, come  altre società di rating,  in questo modo cerca di  scongiurare  l’avvitamento  della  crisi italiana. Crisi che però  persiste. Dunque si  temporeggia.   Ma fino a quando?   Si rinvia  il “botto” dell’Italia   in attesa della normalizzazione politica. Si spera nel  ravvedimento di  Salvini.  Il  Movimento  Cinque Stelle  viene invece giudicato irrecuperabile.

Scelta che  indica che  i  mercati sarebbero disposti a tollerare anche il razzismo e il criptofascismo di Salvini, il Giostraio Mancato, pur di evitare che il crollo dei titoli italiani provochi un terremoto finanziario.  Il che però, sul piano politico, qualora Salvini, dovesse fare marcia indietro verso il centrodestra, rischia di  avvicinare, inevitabilmente,  la sinistra, quella più radicale, ma probabilmente anche il Partito Democratico,  al Movimento Cinque Stelle.     
Pertanto, come si può  capire, la scissione politica dell’atomo populista, potrebbe provocare una specie  di  esplosione atomica,  e rafforzare, in termini di un  fallout politicamente radioattivo, il campo populista,    a destra come a sinistra.  Perché, non è assolutamente scontato  che  Salvini, una volta impadronitosi del centrodestra,  possa  trasformarsi,  come d’incanto, da razzista in felpa, in liberale, giacca e cravatta.  E, comunque sia, il “tradimento” del Giostraio Mancato, anche se solo apparente,  di rimbalzo,  rischia di  causare  un’ondata di  isterismo a sinistra, alla quale potrebbe affiancarsi, se non addirittura   mescolarsi   l’onda lunga del  nevrotico   moralismo  pentastellato. Uno tusnami populista, da sinistra a destra.  

Di solito,  si accusano i "capitalisti",  di chissà quali misteriose malefatte e  trame belliciste  ai danni dei popoli. In realtà, come la documentazione storica obiettiva prova, sia nella Prima Guerra Mondiale, sia nella Seconda,  borse e imprese manifestarono una ingenuità ai limiti dell'incredibile.   
Nel 1914,  subirono passivamente le scelte dei vertici  militari dominati dagli ultimi aristocratici,  come mostrò la terribile  logica a spirale della mobilitazione delle truppe.
Nel 1939, almeno fino al patto Molotov-Ribbentrop,  il capitalismo  si illuse  sulla volontà  di pace di Hitler. Molto apprezzato per il suo anticomunismo,   e giudicato come il  buon leader di una specie di centrodestra tedesco,  capace di andare incontro ai lavoratori, senza per questo danneggiare le imprese. Un benefattore dell'umanità.  In fondo, il riarmo, si diceva in Germania -  ma lo si credeva anche all'estero - era un business come un altro. Del resto -  altra pia illusione -   si riteneva  che chiunque auspicasse il pieno impiego dei lavoratori e la pace sociale,  anche uno  come Hitler,   non poteva volere  la guerra.
Insomma,   i  mercati, di politica  non  capiscono nulla, e  se proprio devono, tendono a illudersi.  Sono pacifisti per natura, o quanto meno tendono a patteggiare, proiettando sull'interlocutore la stessa luce delle proprie buone intenzioni:  "Mica sarà tanto pazzo da tagliare il ramo sul quale siamo tutti seduti". Ecco il ragionamento tipico  che innerva i  mercati.
Concludendo,  le società di rating,  contrariamente  a quel che si pensa,  potrebbero non salvarci dalla canea populista...   Perché  i mercati spesso votano male, come tutti gli altri.  

Carlo Gambescia       



venerdì 22 febbraio 2019

Dove va la Chiesa di Papa Francesco?
La parola alla sociologia economica





Una Chiesa sulla difensiva o quasi
“Una Chiesa Cattolica  al passo con i tempi”. Sono almeno tre secoli  che il mondo laico, e giustamente dal suo punto di vista,  ripete il mantra. E La Chiesa che fa? Diciamo che è sulla difensiva. O quasi, come vedremo. 
Nel  XIX secolo  la Chiesa perse  i privilegi politici dell’ Ancien Régime e il monopolio sull’istruzione, nel XX quello  sull’opinione pubblica. E nel XXI, cosa  accadrà? Come sarà la Chiesa di Papa Francesco?  Difficile dire. 
Forse gli strumenti di un’analisi economica, imbevuta però di sociologia,  potrebbero aiutare a capire. Si chiama, sociologia economica.

Il  mercato della religiosità
Intanto, fotografiamo la situazione di quello che potrebbe essere definito il mercato della religiosità. 
I progressisti  rimproverano alla Chiesa di non aver sciolto il nodo tra   religione e democrazia, i conservatori  invece la criticano per  aver ceduto troppo. Per i primi,  il Concilio Vaticano II non ha mantenuto le sue promesse,  per i secondi, invece  sarebbe stato fin troppo di parola. Gli economisti direbbero, che il cavallo (il consumatore religioso), messo  davanti al secchio d’acqua (la Chiesa del Concilio Vaticano II)  non beve (non consuma prodotti religiosi).   
Questo accade nella fascia alta dei consumatori.  Se dalle reazioni  delle  élite  si passa a quelle del  popolo -  la fascia media e bassa -  la sociografia  traccia un quadro dei consumi religiosi istituzionali a dir poco stagnante : crisi delle vocazioni,  caduta verticale della pratica, indifferentismo verso la Chiesa-istituzione, se non per criticarla,  come entità  al servizio dei potenti, nemici di una Chiesa-movimento, priva o quasi  di dogmi.
Ciò però  non significa che la religiosità,  come  soddisfazione di un bisogno di protezione sociale, con promessa di vita ultraterrena o meno,  sia del tutto in crisi.  Le cosiddette religioni fai da te, poco o nulla istituzionalizzate, prive di dogmi, o comunque di prescrizioni sociali,  non sembrano subire crisi. Anzi,  si può dire che domanda religiosa si sia  rivolta verso forme di offerta più flessibili, meno impegnative e totalizzanti sul piano dei comportamenti sociali prescrittivi: ciò che si deve fare, obbligatoriamente. Stiamo assistendo allo sviluppo  di una religione acquisitiva: qualcosa che si sceglie tra un ventaglio di offerte, secondo  le proprie necessità, dall’ introspezione assoluta  alla carità sociale.

 Papa Francesco, come imprenditore religioso
Dicevamo di una Chiesa sulla difensiva, o quasi.  Ma, rispetto a che cosa? Al mutamento della domanda religiosa. Sotto questo profilo, può essere interessante esaminare la figura di  Papa Francesco  come  imprenditore di bisogni religiosi.  
Ad esempio, la rivendicazione di un ruolo sociale, assistenzialistico, ossia  la continua evocazione di "Una  Chiesa povera e per i poveri", si rivolge a coloro che  cercano nella religione, quanto a motivazioni e  finalità culturali, una prodotto  sociale.
Il  messaggio di Papa Francesco  resta invece meno efficace  nei riguardi di coloro che vogliono soddisfare il bisogno di introspezione, e  che aspirano, di conseguenza, a una chiesa democratica, ridotta al minimo istituzionale, una specie di   prodotto ideale  per il tempo libero, per  il trekking  religioso.   
Infine,  assolutamente nulla,  risulta l’opzione  sociale  nei riguardi degli indifferenti:  un mercato difficile da conquistare, perché i suoi “consumatori” sembrano essere impermeabili sia  alle motivazioni all’acquisto sociale, sia alle finalità introspettive. Ovviamente, esiste un’ ampia zona di confine, mobile,  legata al malcontento sociale, immaginario o meno. Che crescendo, potrebbe trasformare  la curva degli indifferenti in  curva dei sofferenti sociali.  I famigerati "poveri"...  Ed  è a questo tipo processo, a suo avviso incipiente,   che Papa Francesco guarda con l' attenzione degna di  un Berlusconi imprenditore.

La scelta protezionista
Ora, sociologicamente parlando, la sfera religiosa, insieme alle sfere politica, economica e culturale, rimanda a un visione obiettiva del sociale,  dove alla sfera politica, spetta la protezione dai nemici interni ed esterni,  alla sfera economica la produzione e  distribuzione della risorse materiali, alla sfera culturale la produzione e indicazione di fini materiali, alla religiosa, gli  immateriali. 
Nella visione sistemica della società,  il sociale è frutto  dell’equilibrio tra le quattro sfere.  Sotto questo aspetto  l’attenzione dell'imprenditore religioso Francesco verso la curva della sofferenza sociale, sposta, obiettivamente,  il campo di influenza e azione della Chiesa, da quello religioso al culturale.  
Dopo aver dominato per secoli la sfera politica (supremazia dello spirituale e temporale) , economica ( evangelizzazione, guerre e mecenatismo)  e culturale  ( imposizione, giusta o meno, di  tabù sessuali), la Chiesa  sembra oggi  decisa  a uscire  dalla sua “ridotta” religiosa,  per andare all’assalto delle trincee culturali, sposando però  la causa ideologica  del protezionismo sociale, come marxisti, comunisti,  socialisti,  socialdemocratici, ma anche fascisti, nazisti, statalisti in genere.  Per farla breve, allineandosi  ai costruttivisti sociali.   

Il rischio bancarotta
Nel cristianesimo primitivo e  antico,  l’ offerta  assistenzialista del Vangelo  andava  a incontrare una domanda insoddisfatta, di qui il grande successo storico-sociale. Il mercato religioso era ancora vergine.  Oggi invece,  venuto meno il monopolio della Chiesa,  Francesco  trova sulla sua strada  concorrenti agguerriti, soprattutto laici ( i costruttivisti, di cui sopra). Inoltre,  domanda delle domande: una "Chiesa povera e per i poveri" dove reperirà le risorse?   
Di qui,  la   corsa di Papa Francesco  al ribasso dei prezzi,   il dumping dogmatico,  fino   addirittura a ricorrere ai  saldi, per esaurire vecchie scorte di magazzino.  Ne consegue, come dicevamo, lo scontento dei progressisti, perché non sanno che farsene di  merci fuori moda, e dei conservatori, che invece  temono la svendita. Senza dimenticare la rigidità, o difficile permeabilità,  dei possibili consumatori di fascia media e bassa, già frequentatori di altri discount religiosi più competitivi, rispetto al rapporto qualità-prezzo che può offrire la Chiesa Cattolica.      
Qual è il rischio? Di perdere i consumatori vecchi e non trovarne di nuovi. Si chiama anche,  bancarotta.

Carlo Gambescia                           
                

                                               

giovedì 21 febbraio 2019

“Linea” e  “Open”
Mi manda Mentana…



Dei giornalisti  di “Linea” (un pezzo di storia della stampa di destra italiana),  parlo degli organici, della redazione, esclusi dunque, e giustamente,  i collaboratori, mai nessuno venne chiamato  a  "Prima Pagina"  di  RaiRadio3.  
Ora, dopo neppure due mesi dalla  nascita,   chi  ritroviamo  a chiosare le aperture?  Una giornalista di “Open”,  quotidiano online,  voluto da Mentana nel suo momento pop. Sara Menafra  ammannisce ai lettori la solita pappina  giustizialista, con un pizzico di birignao soft,  finto indipendente: solo un pochino  più a sinistra di “Repubblica”, giusto per trattare Cinque Stelle  un partito come un altro. 
Quanti redattori, di quotidiani online fondati negli ultimi  tre mesi,   sono stati invitati a “Prima Pagina"?

Domanda retorica. La logica è quella antichissima, e castale,   della lottizzazione, inaugurata in Rai, prima dalla Dc, come proteina per le correnti, poi in doppia coppia con socialisti e comunisti,  infine con liberali, socialdemocratici, repubblicani e missini. Mi manda Moro, mi manda Craxi, mi manda Ingrao... E perché no?  Mi manda Mentana… 
Però per essere lottizzati si doveva e deve far parte della famigerata casta.  Evidentemente, Enrico Mentana, ne faceva e ne fa  parte. Il che spiega perché Open sia lì,  "Linea", no.
Qualcuno dirà che “Linea”, come testata,  oggi  non può esserci,  perché   travolta  dalle carte giudiziarie,  per una questione di finanziamenti pubblici "distratti",  come recitano gli atti.  Decideranno i giudici. Comunque sia,  “Linea” davanti ai microfoni di  Radio3  non è c’è mai stata,  né prima né dopo.
E invece - quando si dice il caso -   hanno poi condotto "Prima Pagina"  giornalisti  di “Linea”, che all'epoca  vi scrivevano addirittura sotto pseudonimo (perché "mica uno  può  perdere la faccia"...), appena cambiata casacca e  testata...  Insomma, una volta in regola con la partita  Iva del conformismo. Ciò significa, a maggior ragione, che  “Linea", pur prendendo contributi  pubblici,   non faceva  parte del coro,  mentre,  "Open" di Mentana, sì.   
E questo, dell'indipendenza,   è un grande  merito del suo Direttore, Claudio  Pescatore,  ma anche di giornalisti, seri, preparati come Carlo Pompei. Lontani,  anni luce dal leccaculis vulgaris... (pardon, per il latino maccheronico).  
“Linea”, creatura storica di Pino Rauti, aveva  natali  di estrema destra. Inutile negarlo. Il che però non precludeva la collaborazione a chi avesse percorsi differenti, come chi scrive.   Ricordo fascisti forbiti, come Franco Monaco, geni della macchina giornalistica, neutralmente affettivi, come Angelo Frignani,  virtuosi della penna, come Maurizio Liverani, socialista (credo) mai pentito,  creativi, dal cervello instancabile,  come Alessio Di Mauro.  
Non mancavano, ovviamente come in tutti i giornali e comunità umane,  anche furbi, sfaticati e opportunisti.  Però, nessuno, ripeto nessuno, mi cambiò mai neppure una virgola. L’aria di libertà intellettuale che vi si respirava era unica nel suo genere. Ho bei ricordi. Soprattutto, quando con  Carlo Pompei, guida ineguagliabile, e  pochissimi altri resistenti,  riuscimmo a far uscire, nel 2011, contro tutti e tutto, un giornale più che dignitoso.
Il che spiega però, semplificando,   perché “Linea”  è morto,  e  "Open"   invece vive.  

Carlo Gambescia                            


mercoledì 20 febbraio 2019

La crisi economica  come risorsa politica:
il ciclo politico del populismo
 Prove tecniche di asservimento 




Il 2019 sarà bellissimo...
È di oggi, l’Italia è in recessione. I dati economici sono pessimi.  E, di sicuro,   si prepara una manovra correttiva. Che, contribuirà a rendere la crisi ancora più profonda, perché, di manovra,  non sarà  la prima né l’ultima.
In un paese, normale, liberale e democratico,  i governanti si preoccuperebbero. Da noi invece, stando all’Avvocato di Provincia, Giuseppe Conte, il 2019 sarà bellissimo. E così confermano il Giostraio Mancato, Matteo Salvini, e il Trascorso Bibitaro allo Stadio, Luigi Di Maio.   

Il ciclo politico populista
Si dirà, bugie, le solite bugie di tre politicanti da strapazzo. Roba vecchia.  Non propriamente. Il ciclo politico populista, per ora sconosciuto alla maggioranza dei politologi, se non come prolungamento autoritario-militare, tipico delle dittature sudamericane, di destra e sinistra, potrebbe riservare sorprese.   Nel senso, e ci spieghiamo subito, della trasformazione della crisi economica in risorsa politica. Più l’economia peggiora, più il governo populista, vara misure assistenziali, più rafforza il suo potere, legando a sé cittadini impauriti e impoveriti. 
Ovviamente, come mostra, ma solo per certi aspetti,  il modello sudamericano (si pensi al  Venezuela di Maduro),  per funzionare, il processo ciclico di  asservimento politico collettivo, ha bisogno di un nemico esterno, da indicare al popolo furente, e, comunque sia, di residue risorse economiche interne da  redistribuire  al sempre amato popolo.

I limiti della redistribuzione
Si tratta, per ora,  di un’ ipotesi da verificare:  ma più una nazione, per il passato,  parte da condizioni economiche  elevate  (come potrebbe essere il caso dell’Italia), più ampi  restano, per il futuro,  i margini di manovra redistributivi di   un governo populista.  Tra il benessere e l’indigenza  esiste  una scala di situazioni intermedie,  che rinviano, quanto a concretizzazione, a tempistiche medie o lunghe (cinque, dieci, quindici anni),  ancora  da studiare sul campo. Anche perché il populismo di governo nei paesi sviluppati e con tradizioni liberal-democratiche è una novità teorica e pratica assoluta. Ne segue  la difficoltà  di poter  fare previsioni, partendo da precise definizioni  tipologiche e raffronti empirici.

L'esperimento italiano
Però qualcosa si può anticipare.  In Italia, in qualche misura,  sembra essere in corso un esperimento politologico e storico che, come detto, semplificando, verte sull’uso  della risorsa politica recessione, e più  in generale della povertà -  per ora immaginaria, ma  che a breve potrebbe trasformarsi in reale -  come strumento di controllo sociale. 
Lo strombazzato  reddito di cittadinanza ne è un esempio, come del resto l’ossessione per il paternalismo di stato e il disprezzo per un euro, che impedirebbe, come si ripete,  di stampare moneta  del popolo e  per il popolo.   
Invece,  gli attacchi alla Francia  e all’Ue, rinviano al nemico esterno, da indicare al popolo, al quale si fornisce, come supplemento di odio,  la  rappresentazione criminale  dell’immigrato, e l’esaltazione stupida di tutto ciò che sia italiano.  

Il sogno di Pulcinella
Ovviamente, una politica del genere, in un paese sviluppato, se per un verso può favorire, come risorsa "immaginaria", l'egoistica  coesione difensiva  intorno al governo populista, per l’altro  può  avere un limite nella quantità, inevitabilmente,  sempre più ridotta di risorse “vere” da redistribuire, limite tipico di un approccio secessionista e protezionista  alle correnti vive del mercato mondiale.
Pertanto, il ciclo politico del populismo, potrebbe risolversi in una catastrofica distruzione di ricchezza e nell’ impoverimento degli italiani, oltre che, ovviamente, nell'emarginazione economica e politica.
La triste fine, di ogni  sogno di Pulcinella...

Obiettivo Europa
Di questo pericolo il governo populista è  consapevole. Come prova il tira e molla sull’euro, che  per ora viene visto come un ombrello, e  come del resto  mostra   l’importanza che viene  attribuita alle prossime elezioni europee, e non solo per ragioni propagandistiche. E allora perché? Per esportare -  certo non in tempi brevi  -   il modello populista in Europa, e così facilitare  la propagazione del  ciclo politico populista. Il cui esito però, dal momento che  il nazionalismo, in ultima istanza,  prevarrebbe su ogni altra ragione, potrebbe essere  la guerra civile europea, di tutti contro tutti. E per una semplice ragione:  “tenersi stretti” i rispettivi cittadini, promettendo di depredare gli sconfitti, destinando il  “bottino” ai poveri cittadini, giustamente ricompensati  per il “tributo di sangue” “donato” alla patria…        

I nuovi predoni
La logica del populismo è  predatoria. Si basa sul saccheggio delle risorse, proprie e altrui, ovviamente sotto la copertura ufficiale della bandiera nazionale, il cui  sventolio, tra gli squilli di tromba,   celebra l’aiuto  ai  più deboli della nazione. Qui la sua forza, ma anche la sua debolezza. L’Italia, in particolare,  può vantare una tradizione di "nazionalismo straccione”, non meno pericoloso. Si ricordi il pre-fascista e pascoliano inno alla “Grande Proletaria”, l'Italia, che  aveva invaso la Libia,  poi riciclato dal populismo fascista, come giustificazione del “Posto al Sole” e della grandezza nazionale.  Avventura  che finì, come tutti sappiamo.  
Se il ciclo politico populista, qui ipotizzato,  dovesse estendersi all’ Europa, potrebbe  avverarsi  quel che abbiamo paventato per l'Italia. In sintesi, la distruzione economica di un continente e l’asservimento  di un popolo, quello europeo, che, mai dimenticarlo, della libertà ha fatto la sua religione.  Quindi alla fine del ciclo, potrebbero "arrivare i nostri". Ma solo alla fine.      

Carlo Gambescia                       
                         
    

martedì 19 febbraio 2019

Salvini, Di Maio e “il  bene degli italiani”
La Piattaforma del Monte ha detto no (all’autorizzazione)




 Qualcuno un giorno  chiederà conto a Luigi Di Maio di queste parole?   Chi scrive, spera di sì.

“Con questo risultato i nostri iscritti hanno valutato che c'era un interesse pubblico e che era necessario ricordare all'Europa che c'è un principio di solidarietà da rispettare", aggiunge. "Sono orgoglioso di far parte dell'unica forza politica che interpella i propri iscritti, chiamandoli ad esprimersi. Presto ci saranno votazioni anche sulla nuova organizzazione del MoVimento 5 Stelle" conclude il vicepremier.


Istruttiva, e nello stesso stile ipocrita, anche la risposta di Matteo  Salvini.

“Li ringrazio per la fiducia, ma non è  che sono qui a stappare spumante o sarei depresso se avessero votato al contrario, sarei stato disponibile ad affrontare anche qualsiasi altro voto, non ho problemi. Se uno ha la coscienza a posto come ce l'ho io non vive con l'ansia”. (…)  Manderò un sms a Luigi Di Maio. Lo ringrazio per la correttezza, l'avrei ringraziato anche se il voto fosse stato diverso perché lui si era espresso in maniera chiara" (…)  In democrazia  il popolo è sovrano. I Cinquestelle sono stati sempre duri, ma per altri tipi di reati: di solito i parlamentari venivano processati per truffa, corruzione. Questo era un atto politico per il bene degli italiani, ne ero convinto io ed anche la maggioranza dei loro elettori”.



Si è contrabbandato un principio reale di solidarietà   (quello di salvare e aiutare chi rischia di affogare) con la  presunta  solidarietà, che l’Europa civile giustamente nega  a politiche verso gli immigrati  di natura  razzista (Di Maio).  Il tutto,  perché il "popolo", i quattro gatti pilotati della Piattaforma Rousseau, avrebbe  approvato le scelte razzista del Ministro dell’Interno, accettando la tesi dell’atto politico “per il bene degli italiani” (Salvini).  Se le cose stanno così,  pure le leggi razziali del 1938 erano “per il bene degli italiani”.  Anche allora, i  Prefetti ( i sondaggisti di allora), riferirono a Mussolini, quel che voleva sentirsi dire:  che,  tutto sommato, gli italiani approvavano la scelta politica di liquidare gli ebrei.
Ma perché meravigliarsi del voto a favore di Salvini? E che ora probabilmente sarà replicato in Commissione?  
Chiunque abbia letto il capolavoro di  Roberto  Michels (nella foto)  sulla logica oligarchica dei partiti (*), anche i partiti più democratici,  sa benissimo che la conservazione del potere, che in politica ha lo stesso effetto della forza di gravità in fisica,  tende a vincere sempre: chiunque sia al potere, punta inevitabilmente alla sua conservazione. E il voto della Piattaforma Rousseau, non è che l’ennesima replica di quella che si può chiamare la forza di gravità del potere. 
Attenzione, questo non significa, che i partiti siano tutti uguali sul piano dei contenuti, come asseriscono i populisti.  La legge di conservazione del potere è una specie di scatola vuota, prescinde dai contenuti: quindi un elettore può premiare i partiti più differenti, anche quelli che vogliono distruggere la democrazia,  ovviamente  con  la solita  scusa  di dare  vita, mentendo,  a una democrazia perfetta, come per l’appunto insegna la speleologia politica di  Michels.   
Ed  è questo il caso di Salvini e Di Maio, che come abbiamo visto,  giocano sulle parole, pur di trascinare con sé i rispettivi partiti e ingannare gli elettori. Ma quale democrazia diretta…  Siamo invece  dinanzi  all’ennesima conferma della michelsiana ferrea legge dell' oligarchia.  Dove pochi, pur di conservare il potere, trascinano dalla propria parte i molti con l’inganno. E come?  Ecco il  paradosso:  agitando ipocritamente la  falsa bandiera della democrazia diretta e della “ sovranità del popolo”.  Perché  falsa?    In primo luogo,  che cosa sono cinquantamila elettori,  pilotati via internet, rispetto a un processo elettorale che coinvolge milioni di italiani? 
Una minoranza nella minoranza, ripetiamo. Ma, in secondo luogo, a prescindere dal numero,  il quesito posto agli iscritti pentastellati dava per scontato un  presupposto  fasullo, perché impregnato di razzismo:  che Salvini difenda  il “bene degli italiani”. Certo, come Hitler difendeva quello dei tedeschi. Insomma,  la manipolazione di una minoranza furba  a danno di una maggioranza credulona è evidente, a prescindere, ripetiamo, dal numero degli elettori: è qualcosa che fa parte della storia "naturale" della politica. La base si agita? Protesta, in nome degli ideali traditi?  Il fascismo resse  per più di venti anni tenendo a bada i movimentisti. Stalin si regolò in altro modo... La dialettica regime-movimento fa parte del gioco. O per in dirla in  sociologhese, è consustanziale alla dinamica di tutte le  istituzioni sociali, dal partito-partito al partito-stato, dall'associazione di volontariato a quella dei  filodrammatici.
Pertanto la cosiddetta democrazia diretta, non è che un ritrovato rivolto a  facilitare - per usare una terminologia novecentesca -  il controllo delle masse. Basta porre il quesito “giusto”.  E muoversi di conseguenza,  dando  gas alla retorica politica, per tacitare "regimisti" e  "movimentisti".    
Ci si chiederà, come uscirne? In primo luogo,  con la veloce rotazione delle élite politiche, che, in qualche misura, se funziona, sfida, come un aeroplano quando decolla, la forza di gravità politica. Quindi servono buone leggi elettorali, che  favoriscano selezione,  stabilità e ricambio.   In secondo luogo,  ribadendo il valore  delle istituzioni parlamentari, per una semplice ragione, ma, a quanto pare dura da capire.  E' lì in Aula, che  il potere della libera discussione, favorisce, o dovrebbe favorire (perché la perfezione politica non è di questo mondo, come del resto insegna Michels) l’einaudiano conoscere per deliberare, su temi, attenzione (e questa è un'altra cosa che  insegna Michels) che  non possono essere per complessità alla portata di tutti. Senza un'elite cognitiva, il popolo non è in grado di autogovernarsi. Piazze, talk e social accrescono solo la confusione. Che giochino pure. Ma le vere discussioni cognitive sono compito, anzi direi dovere, del Parlamento.  Piaccia o meno, ma le cose stanno così.     

  
Di sicuro non se ne esce con la democrazia diretta, che  -  ironia della politica -  semplificando temi complessi, con il ricorso a slogan e frasi fatte, favorisce la manipolazione  da parte di élite, che a prescindere dal colore politico,  come primo scopo,   hanno quello di conservare il potere  il più a lungo possibile.  Di conseguenza, a parte situazioni eccezionali,  il  potere, da chiunque provenga, dal popolo o da dio,   va sempre limitato, perché gestito da pochi  uomini in carne e ossa, che tendono ad abusarne, mentendo ai molti. Di qui, la necessità di  selezione, stabilità, ricambio. E' la ricetta della democrazia liberale.  
Di regola, i sostenitori della democrazia diretta, sono nemici della democrazia rappresentativa. Attualmente, il  Parlamento sta esaminando  una legge, proposta dal M5S, volta a potenziare la democrazia diretta, eliminando addirittura il quorum.  Sarebbe il trionfo della  stessa idea deviata e demagogica  di democrazia, quella della Piattaforma Rousseau,  idea che ha premiato Salvini come difensore del “bene degli italiani”. 

Carlo Gambescia                          



   
(*) Roberto Michels, La sociologia del partito politico nella democrazia moderna, Il Mulino, Bologna 1966,  introduzione di Juan José Linz. Per una sintesi delle sue idee si veda R. Michels, Studi sulla democrazia e sull’autorità, Edizioni Il Foglio, Piombino (LI) 2015, introduzione di Carlo Gambescia e Jerónimo Molina. 
Che aspetta il Mulino   ristampare, o ancora  meglio  a curare una nuova edizione  del  capolavoro di Michels?  L’opera  è   esaurita in libreria dagli anni Settanta del secolo scorso.