martedì 26 febbraio 2019

Voto in Sardegna, quante fesserie  nei commenti
Sotto gli editoriali niente



Non vorrei presentarmi agli amici lettori  come chi abbia  capito tutto, mentre  gli altri  sono tutti cretini, ma, francamente, oggi sulla stampa italiana,  non c’è un commento, che abbia colto il punto fondamentale delle elezioni.  Da noi, già evidenziato ieri (*): l’irresistibile forza dello tsunami populista.
A sinistra,  si discute del falso testa a testa, e che quindi  avrebbe perso anche il Pd, che, come Cinque Stelle, battutissimo, dovrebbe guardare a sinistra, quindi accentuare i toni populisti.  A destra,  “Giornale” (di famiglia)  a parte, ci si preoccupa invece, per la solidità di un governo populista, subito però, come sembra smentita da Salvini, che leccandosi i baffi (quando gli ricapiterà più un alleato sempliciotto come il Trascorso Bibitaro allo Stadio?), dichiara invece  di voler blindare la maggioranza gialloverde. Risultano perciò assai patetici  gli appelli di Berlusconi  al Giostraio Mancato,  come  le stupidaggini  sul ritorno del nuovo bipolarismo (Centrosinistra vs Centrodestra): come se un’etichetta politica garantisse la sostanza del prodotto politico. Da ultimo, davvero comico,  l’editoriale di  Cacciari, sul "Fatto" dove, come si intuisce facilmente,  si  usano categorie degli anni Ottanta (in particolare quella del condizionamento socialista giocato nei riguardi dei comunisti), come se, Di Maio fosse Craxi  e Zingaretti ( o chi per lui) Berlinguer.  Il filosofo dovrebbe ritirarsi. 
È incredibile infine, come accennavo,  la stupidità di certi raffronti, come nel caso di  Polito (nella foto), che sul "Corriere" spaccia  una tesi  degna della "Gazzetta di Paperopoli":  la fine del bipolarismo élite-popolo  sostituito dal ritorno del  bipolarismo destra-sinistra.   Ovviamente imposto dal popolo... 
Qualcuno dovrebbe spiegare a Polito  che il bipolarismo tra   élite-popolo è una regolarità  della politica, quello tra destra e sinistra  rinvia invece  a una divisione interna alle élite  post 1789.  La prima permane, e quindi la ritroviamo, come distinzione tra governati e governanti,  a prescindere dal regime politico (da quelli di  Tamerlano e Fidel Castro alla Gran Bretagna di Churchill).  La seconda  invece  rinvia ai regimi politici moderni, articolatisi intorno alle istituzioni parlamentari.  Per capirsi:  anche il  governo più populista del mondo, potrà anche fare a meno  della distinzione politica tra destra e sinistra, ma  non alla dicotomia,  ben più profonda e solida (dunque non storica),  tra governati e governanti,  che ha  il carattere  della  regolarità  metapolitica
Pertanto, questa mattina,  si scrive e legge di tutto, ma non  del fatto che in realtà, come notavo ieri,  il populismo è più forte di prima, o comunque come prima.  Perché, potrà anche cadere il governo, ma non mutare la sostanza della situazione politica, che vede l’Italia  sempre più orientata  verso un modello politico-sociale che  ricorda una repubblica sudamericana. Che poi i dittatori della futura Repubblica Italiana delle Banane, abbiano o meno  nomi differenti, non cambia nulla.   
E il tutto  - ecco la cosa più grave -   sembra accadere sotto  gli occhi complici  di commentatori che non   riescono o non vogliono capire la gravità della situazione.
So che non tutti, tra i lettori, possono approfondire, per ragioni di preparazione, interessi, tempo eccetera,  però sarebbe interessante, andarsi  a rileggere, sui giornali di allora,  il dibattito politico che accompagnò l’ascesa del fascismo. Attenzione, non per  dare la stura  all’isterico antifascismo di certa sinistra, ma per capire, in termini di psicologia dell'opinione pubblica  e di   false percezioni della politica, come quella generazione di commentatori e giornalisti, tra i quali c’erano molti liberali, non capì la gravità della situazione.  Proprio come oggi.