sabato 23 febbraio 2019

Fitch grazia l’Italia
Se anche i mercati si  illudono sul populismo….



Qual  è il succo politico della decisione di  Fitch di non affossare definitivamente i titoli italiani, declassandoci? Che il mercato si accontenta  di una riedizione del Centrodestra, con Salvini al posto di Berlusconi.  Il male minore, si crede. 
E il succo  economico?  Che i mercati temono il  pericolo di contagio, provocato dalla  vendita a catena dei titoli italiani ridotti a spazzatura.  Un terremoto nel  portafoglio titoli delle banche e società di investimento di mezzo mondo, in particolare per le   specializzate in titoli ad alto rischio.
Diciamo che, per ora, il mercato ha salvato i nemici del mercato.  
È l’atteggiamento giusto? Dal punto di vista economico, sì,  almeno in parte.  Perché, Fitch, come  altre società di rating,  in questo modo cerca di  scongiurare  l’avvitamento  della  crisi italiana. Crisi che però  persiste. Dunque si  temporeggia.   Ma fino a quando?   Si rinvia  il “botto” dell’Italia   in attesa della normalizzazione politica. Si spera nel  ravvedimento di  Salvini.  Il  Movimento  Cinque Stelle  viene invece giudicato irrecuperabile.

Scelta che  indica che  i  mercati sarebbero disposti a tollerare anche il razzismo e il criptofascismo di Salvini, il Giostraio Mancato, pur di evitare che il crollo dei titoli italiani provochi un terremoto finanziario.  Il che però, sul piano politico, qualora Salvini, dovesse fare marcia indietro verso il centrodestra, rischia di  avvicinare, inevitabilmente,  la sinistra, quella più radicale, ma probabilmente anche il Partito Democratico,  al Movimento Cinque Stelle.     
Pertanto, come si può  capire, la scissione politica dell’atomo populista, potrebbe provocare una specie  di  esplosione atomica,  e rafforzare, in termini di un  fallout politicamente radioattivo, il campo populista,    a destra come a sinistra.  Perché, non è assolutamente scontato  che  Salvini, una volta impadronitosi del centrodestra,  possa  trasformarsi,  come d’incanto, da razzista in felpa, in liberale, giacca e cravatta.  E, comunque sia, il “tradimento” del Giostraio Mancato, anche se solo apparente,  di rimbalzo,  rischia di  causare  un’ondata di  isterismo a sinistra, alla quale potrebbe affiancarsi, se non addirittura   mescolarsi   l’onda lunga del  nevrotico   moralismo  pentastellato. Uno tusnami populista, da sinistra a destra.  

Di solito,  si accusano i "capitalisti",  di chissà quali misteriose malefatte e  trame belliciste  ai danni dei popoli. In realtà, come la documentazione storica obiettiva prova, sia nella Prima Guerra Mondiale, sia nella Seconda,  borse e imprese manifestarono una ingenuità ai limiti dell'incredibile.   
Nel 1914,  subirono passivamente le scelte dei vertici  militari dominati dagli ultimi aristocratici,  come mostrò la terribile  logica a spirale della mobilitazione delle truppe.
Nel 1939, almeno fino al patto Molotov-Ribbentrop,  il capitalismo  si illuse  sulla volontà  di pace di Hitler. Molto apprezzato per il suo anticomunismo,   e giudicato come il  buon leader di una specie di centrodestra tedesco,  capace di andare incontro ai lavoratori, senza per questo danneggiare le imprese. Un benefattore dell'umanità.  In fondo, il riarmo, si diceva in Germania -  ma lo si credeva anche all'estero - era un business come un altro. Del resto -  altra pia illusione -   si riteneva  che chiunque auspicasse il pieno impiego dei lavoratori e la pace sociale,  anche uno  come Hitler,   non poteva volere  la guerra.
Insomma,   i  mercati, di politica  non  capiscono nulla, e  se proprio devono, tendono a illudersi.  Sono pacifisti per natura, o quanto meno tendono a patteggiare, proiettando sull'interlocutore la stessa luce delle proprie buone intenzioni:  "Mica sarà tanto pazzo da tagliare il ramo sul quale siamo tutti seduti". Ecco il ragionamento tipico  che innerva i  mercati.
Concludendo,  le società di rating,  contrariamente  a quel che si pensa,  potrebbero non salvarci dalla canea populista...   Perché  i mercati spesso votano male, come tutti gli altri.  

Carlo Gambescia