martedì 19 febbraio 2019

Salvini, Di Maio e “il  bene degli italiani”
La Piattaforma del Monte ha detto no (all’autorizzazione)




 Qualcuno un giorno  chiederà conto a Luigi Di Maio di queste parole?   Chi scrive, spera di sì.

“Con questo risultato i nostri iscritti hanno valutato che c'era un interesse pubblico e che era necessario ricordare all'Europa che c'è un principio di solidarietà da rispettare", aggiunge. "Sono orgoglioso di far parte dell'unica forza politica che interpella i propri iscritti, chiamandoli ad esprimersi. Presto ci saranno votazioni anche sulla nuova organizzazione del MoVimento 5 Stelle" conclude il vicepremier.


Istruttiva, e nello stesso stile ipocrita, anche la risposta di Matteo  Salvini.

“Li ringrazio per la fiducia, ma non è  che sono qui a stappare spumante o sarei depresso se avessero votato al contrario, sarei stato disponibile ad affrontare anche qualsiasi altro voto, non ho problemi. Se uno ha la coscienza a posto come ce l'ho io non vive con l'ansia”. (…)  Manderò un sms a Luigi Di Maio. Lo ringrazio per la correttezza, l'avrei ringraziato anche se il voto fosse stato diverso perché lui si era espresso in maniera chiara" (…)  In democrazia  il popolo è sovrano. I Cinquestelle sono stati sempre duri, ma per altri tipi di reati: di solito i parlamentari venivano processati per truffa, corruzione. Questo era un atto politico per il bene degli italiani, ne ero convinto io ed anche la maggioranza dei loro elettori”.



Si è contrabbandato un principio reale di solidarietà   (quello di salvare e aiutare chi rischia di affogare) con la  presunta  solidarietà, che l’Europa civile giustamente nega  a politiche verso gli immigrati  di natura  razzista (Di Maio).  Il tutto,  perché il "popolo", i quattro gatti pilotati della Piattaforma Rousseau, avrebbe  approvato le scelte razzista del Ministro dell’Interno, accettando la tesi dell’atto politico “per il bene degli italiani” (Salvini).  Se le cose stanno così,  pure le leggi razziali del 1938 erano “per il bene degli italiani”.  Anche allora, i  Prefetti ( i sondaggisti di allora), riferirono a Mussolini, quel che voleva sentirsi dire:  che,  tutto sommato, gli italiani approvavano la scelta politica di liquidare gli ebrei.
Ma perché meravigliarsi del voto a favore di Salvini? E che ora probabilmente sarà replicato in Commissione?  
Chiunque abbia letto il capolavoro di  Roberto  Michels (nella foto)  sulla logica oligarchica dei partiti (*), anche i partiti più democratici,  sa benissimo che la conservazione del potere, che in politica ha lo stesso effetto della forza di gravità in fisica,  tende a vincere sempre: chiunque sia al potere, punta inevitabilmente alla sua conservazione. E il voto della Piattaforma Rousseau, non è che l’ennesima replica di quella che si può chiamare la forza di gravità del potere. 
Attenzione, questo non significa, che i partiti siano tutti uguali sul piano dei contenuti, come asseriscono i populisti.  La legge di conservazione del potere è una specie di scatola vuota, prescinde dai contenuti: quindi un elettore può premiare i partiti più differenti, anche quelli che vogliono distruggere la democrazia,  ovviamente  con  la solita  scusa  di dare  vita, mentendo,  a una democrazia perfetta, come per l’appunto insegna la speleologia politica di  Michels.   
Ed  è questo il caso di Salvini e Di Maio, che come abbiamo visto,  giocano sulle parole, pur di trascinare con sé i rispettivi partiti e ingannare gli elettori. Ma quale democrazia diretta…  Siamo invece  dinanzi  all’ennesima conferma della michelsiana ferrea legge dell' oligarchia.  Dove pochi, pur di conservare il potere, trascinano dalla propria parte i molti con l’inganno. E come?  Ecco il  paradosso:  agitando ipocritamente la  falsa bandiera della democrazia diretta e della “ sovranità del popolo”.  Perché  falsa?    In primo luogo,  che cosa sono cinquantamila elettori,  pilotati via internet, rispetto a un processo elettorale che coinvolge milioni di italiani? 
Una minoranza nella minoranza, ripetiamo. Ma, in secondo luogo, a prescindere dal numero,  il quesito posto agli iscritti pentastellati dava per scontato un  presupposto  fasullo, perché impregnato di razzismo:  che Salvini difenda  il “bene degli italiani”. Certo, come Hitler difendeva quello dei tedeschi. Insomma,  la manipolazione di una minoranza furba  a danno di una maggioranza credulona è evidente, a prescindere, ripetiamo, dal numero degli elettori: è qualcosa che fa parte della storia "naturale" della politica. La base si agita? Protesta, in nome degli ideali traditi?  Il fascismo resse  per più di venti anni tenendo a bada i movimentisti. Stalin si regolò in altro modo... La dialettica regime-movimento fa parte del gioco. O per in dirla in  sociologhese, è consustanziale alla dinamica di tutte le  istituzioni sociali, dal partito-partito al partito-stato, dall'associazione di volontariato a quella dei  filodrammatici.
Pertanto la cosiddetta democrazia diretta, non è che un ritrovato rivolto a  facilitare - per usare una terminologia novecentesca -  il controllo delle masse. Basta porre il quesito “giusto”.  E muoversi di conseguenza,  dando  gas alla retorica politica, per tacitare "regimisti" e  "movimentisti".    
Ci si chiederà, come uscirne? In primo luogo,  con la veloce rotazione delle élite politiche, che, in qualche misura, se funziona, sfida, come un aeroplano quando decolla, la forza di gravità politica. Quindi servono buone leggi elettorali, che  favoriscano selezione,  stabilità e ricambio.   In secondo luogo,  ribadendo il valore  delle istituzioni parlamentari, per una semplice ragione, ma, a quanto pare dura da capire.  E' lì in Aula, che  il potere della libera discussione, favorisce, o dovrebbe favorire (perché la perfezione politica non è di questo mondo, come del resto insegna Michels) l’einaudiano conoscere per deliberare, su temi, attenzione (e questa è un'altra cosa che  insegna Michels) che  non possono essere per complessità alla portata di tutti. Senza un'elite cognitiva, il popolo non è in grado di autogovernarsi. Piazze, talk e social accrescono solo la confusione. Che giochino pure. Ma le vere discussioni cognitive sono compito, anzi direi dovere, del Parlamento.  Piaccia o meno, ma le cose stanno così.     

  
Di sicuro non se ne esce con la democrazia diretta, che  -  ironia della politica -  semplificando temi complessi, con il ricorso a slogan e frasi fatte, favorisce la manipolazione  da parte di élite, che a prescindere dal colore politico,  come primo scopo,   hanno quello di conservare il potere  il più a lungo possibile.  Di conseguenza, a parte situazioni eccezionali,  il  potere, da chiunque provenga, dal popolo o da dio,   va sempre limitato, perché gestito da pochi  uomini in carne e ossa, che tendono ad abusarne, mentendo ai molti. Di qui, la necessità di  selezione, stabilità, ricambio. E' la ricetta della democrazia liberale.  
Di regola, i sostenitori della democrazia diretta, sono nemici della democrazia rappresentativa. Attualmente, il  Parlamento sta esaminando  una legge, proposta dal M5S, volta a potenziare la democrazia diretta, eliminando addirittura il quorum.  Sarebbe il trionfo della  stessa idea deviata e demagogica  di democrazia, quella della Piattaforma Rousseau,  idea che ha premiato Salvini come difensore del “bene degli italiani”. 

Carlo Gambescia                          



   
(*) Roberto Michels, La sociologia del partito politico nella democrazia moderna, Il Mulino, Bologna 1966,  introduzione di Juan José Linz. Per una sintesi delle sue idee si veda R. Michels, Studi sulla democrazia e sull’autorità, Edizioni Il Foglio, Piombino (LI) 2015, introduzione di Carlo Gambescia e Jerónimo Molina. 
Che aspetta il Mulino   ristampare, o ancora  meglio  a curare una nuova edizione  del  capolavoro di Michels?  L’opera  è   esaurita in libreria dagli anni Settanta del secolo scorso.