La crisi economica come risorsa
politica:
il ciclo politico del populismo
Prove tecniche di asservimento
Il 2019 sarà bellissimo...
È di oggi, l’Italia è in
recessione. I dati economici sono pessimi.
E, di sicuro, si prepara una manovra correttiva. Che,
contribuirà a rendere la crisi ancora più profonda, perché, di manovra, non sarà la prima
né l’ultima.
In un paese, normale, liberale e
democratico, i governanti si
preoccuperebbero. Da noi invece, stando all’Avvocato di Provincia, Giuseppe
Conte, il 2019 sarà bellissimo. E così confermano il Giostraio Mancato, Matteo
Salvini, e il Trascorso Bibitaro allo Stadio, Luigi Di Maio.
Il ciclo politico populista
Si dirà, bugie, le solite bugie
di tre politicanti da strapazzo. Roba vecchia.
Non propriamente. Il ciclo politico populista, per ora sconosciuto alla
maggioranza dei politologi, se non come prolungamento autoritario-militare,
tipico delle dittature sudamericane, di destra e sinistra, potrebbe riservare
sorprese. Nel senso, e ci spieghiamo subito, della
trasformazione della crisi economica in risorsa politica. Più l’economia
peggiora, più il governo populista, vara misure assistenziali, più rafforza il
suo potere, legando a sé cittadini impauriti e impoveriti.
Ovviamente, come mostra, ma solo per certi aspetti, il modello sudamericano (si pensi al Venezuela di Maduro), per funzionare, il processo ciclico di asservimento politico collettivo, ha bisogno
di un nemico esterno, da indicare al popolo furente, e, comunque sia, di residue risorse
economiche interne da redistribuire al sempre amato popolo.
I limiti della redistribuzione
Si tratta, per ora, di un’ ipotesi da verificare: ma più una nazione, per il passato, parte da condizioni economiche elevate
(come potrebbe essere il caso dell’Italia), più ampi restano, per il futuro, i margini di manovra redistributivi di un governo populista. Tra il benessere e l’indigenza esiste una scala di situazioni intermedie, che rinviano, quanto a
concretizzazione, a tempistiche medie o
lunghe (cinque, dieci, quindici anni), ancora da studiare sul campo. Anche perché il
populismo di governo nei paesi sviluppati e con tradizioni liberal-democratiche è
una novità teorica e pratica assoluta. Ne segue la difficoltà di poter
fare previsioni, partendo da precise definizioni tipologiche e raffronti empirici.
L'esperimento italiano
Però qualcosa si può anticipare. In Italia, in qualche misura, sembra essere in corso un esperimento politologico e storico che, come detto, semplificando,
verte sull’uso della risorsa politica
recessione, e più in generale della
povertà - per ora immaginaria, ma che a breve potrebbe trasformarsi in reale - come
strumento di controllo sociale.
Lo strombazzato reddito di cittadinanza ne è
un esempio, come del resto l’ossessione per il paternalismo di stato e il
disprezzo per un euro, che impedirebbe, come si ripete, di stampare moneta del popolo e per il popolo.
Invece, gli attacchi alla Francia e all’Ue, rinviano al nemico esterno, da
indicare al popolo, al quale si fornisce, come supplemento di odio, la
rappresentazione criminale
dell’immigrato, e l’esaltazione stupida di tutto ciò che sia italiano.
Il sogno di Pulcinella
Ovviamente, una politica del genere, in un paese sviluppato, se per un verso può favorire, come risorsa "immaginaria", l'egoistica coesione difensiva intorno al governo populista, per l’altro può avere un limite nella quantità, inevitabilmente, sempre più ridotta di risorse “vere” da redistribuire, limite tipico di un approccio secessionista e protezionista alle correnti vive del mercato mondiale.
Pertanto, il ciclo politico del populismo, potrebbe risolversi in una catastrofica distruzione di ricchezza e nell’ impoverimento degli italiani, oltre che, ovviamente, nell'emarginazione economica e politica.
La triste fine, di ogni sogno di Pulcinella...
Obiettivo Europa
Di questo pericolo il governo
populista è consapevole. Come prova il
tira e molla sull’euro, che per ora
viene visto come un ombrello, e come del
resto mostra l’importanza che viene attribuita alle prossime elezioni europee, e
non solo per ragioni propagandistiche. E allora perché? Per esportare - certo non in tempi brevi - il modello populista in Europa, e così facilitare la propagazione del ciclo politico populista. Il cui esito però,
dal momento che il nazionalismo, in
ultima istanza, prevarrebbe su ogni
altra ragione, potrebbe essere la guerra
civile europea, di tutti contro tutti. E per una semplice ragione: “tenersi stretti” i rispettivi cittadini,
promettendo di depredare gli sconfitti, destinando il “bottino” ai poveri cittadini, giustamente
ricompensati per il “tributo di sangue”
“donato” alla patria…
I nuovi predoni
La logica del populismo è predatoria. Si basa sul saccheggio delle
risorse, proprie e altrui, ovviamente sotto la copertura ufficiale della
bandiera nazionale, il cui sventolio,
tra gli squilli di tromba, celebra
l’aiuto ai più deboli della nazione. Qui la sua forza, ma anche la sua debolezza. L’Italia, in
particolare, può vantare una tradizione
di "nazionalismo straccione”, non meno pericoloso. Si ricordi il pre-fascista e
pascoliano inno alla “Grande Proletaria”, l'Italia, che
aveva invaso la Libia , poi riciclato dal populismo fascista, come giustificazione del “Posto al Sole” e della grandezza nazionale. Avventura che finì, come tutti sappiamo.
Se il ciclo politico populista,
qui ipotizzato, dovesse estendersi all’
Europa, potrebbe avverarsi quel che abbiamo paventato per l'Italia. In sintesi, la distruzione economica di un continente e l’asservimento di un popolo, quello europeo, che, mai dimenticarlo, della
libertà ha fatto la sua religione. Quindi alla fine del ciclo, potrebbero "arrivare i nostri". Ma solo alla fine.
Carlo Gambescia