La grande parata per i settant’anni della
Repubblica
Oggi
i mass
media si concentrano sulla parata militare di Pechino. E soprattutto sui missili intercontinentali che
possono colpire Stati Uniti e Occidente. La
Cina , si legge, celebra,
mostrando i muscoli, i settant’anni della Repubblica.
In
realtà, non enfatizzeremmo le cose, perché i Romanov, pochi anni prima dello
scoppio della Prima guerra mondiale,
festeggiarono nel 1913 i trecento anni della dinastia. E poi di lì a breve, finì come
tutti sappiamo.
La
storia è ironica. Le autocrazie,
soprattutto quando provano a modernizzarsi, come insegna l’esperienza degli
ultimi tre secoli secoli, rischiano sempre l’implosione politica. Dalla Francia di Luigi XV alla Russia del
Romanov, dall’ ultimo Impero Ottomano al Giappone dopo riforme di fine Ottocento.
In
realtà, l’unica vera rivoluzione che ha
sconvolto dopo millenni di
immobilismo la società cinese si chiama modernizzazione economica, prima ad
opera dello stato, poi del mercato.
Quest’ultima apertura, sviluppatasi più decisamente negli ultimi venti anni, rinvia al 1978: anno in cui Deng Xiaoping, leader del partito unico, annunciò una graduale apertura al mercato, per
favorire preziosi investimenti esteri.
Pertanto,
anche se non se parla, la Cina rischia l’implosione,
perché la modernizzazione economica inevitabilmente porta con sé quella sociale
e politica. Sono cose che l’attuale
dirigenza politica conosce benissimo.
Come pure sa che l’implosione
può essere evitata (certo, sempre fino a un certo punto), puntando su
una politica estera non aggressiva, favorevole al commercio e agli
scambi economici, da cui la Cina ,
con un costo del lavoro relativamente
basso rispetto all’Occidente, ha tutto da guadagnare. Mentre un guerra potrebbe
innescare, come ad esempio insegnano
l’esperienza della Russia e del Giappone, un processo politicamente
disgregativo. Del resto la storia della Cina, e in misura maggiore di altre
unità politiche, anche imperiali, resta storia di ricorrenti conflitti tra pressioni centrifughe e centripete. Toynbee, a suo tempo, estendendo il meccanismo challenge and response alla storia cinese sostenne come tipica di quel mondo la natura ricorrente del conflitto tra poteri centrali e periferici.
Pertanto
saremmo cauti nell’attribuire alla Cina potenziali politiche aggressive di tipo
militare. Del resto nella sua storia, l’unica fase, in cui essa rappresentò un pericolo per una Europa, debilitata
politicamente, risale ai secoli XIII-XIV, quando la Cina fu dominata dalla stirpe mongolica, popolo dalle origini nomadi, divoratore di chilometri, perciò in senso lato
- antropologicamente - espansionista. La Cina del Khanato si spinse, in varie riprese, fino alla Russia
meridionale, non ancora politicamente unificata, tramutandosi in potenza
eurasiatica.
La
“Via della Seta”, di cui oggi si parla tanto, riprende l’idea, però sublimata e pacificata, dell’espansione mongolica. Niente
di militarmente pericoloso: come la Guerra dei Cento Anni, tra
inglesi e francesi, sta alla successiva evoluzione pacifica della
Gran Bretagna, da potenza militare di terra a pacifica potenza commerciale di mare.
Crediamo
che Xi Jinping tema più i pericoli della
disgregazione interna, dovuti alla crescente differenza
di ritmo tra
modernizzazione politica ed economica, rispetto a quelli indotti, e aggiuntivi, da una
politica estera aggressiva fino al punto di sfiorare una guerra con l’Occidente.
Sotto
questo aspetto, la parata militare di
Pechino, ha un valore più interno che
esterno. O comunque, sembra essere un monito rivolto a un' area geopolitica limitata. La
Cina , mettendo in vetrina i suoi soldatini di piombo, dà soddisfazione ai conservatori politici
interni, e soprattutto parla, perché “intendano”, a Hong Kong, Taiwan e allogeni, nonché in via indiretta al Giappone, primo alleato
dell’Occidente, suo nemico storico. E ovviamente alla Russia.
Concludendo,
la Cina è vicina? Si. Ma per ora solo
economicamente. E dalla modernizzazione
interna, vista la crescita
galoppante dei consumi e del reddito pro
capite, potrebbero giungere sorprese. La
forza del libero mercato è superiore a quella di qualsiasi missile
intercontinentale. E vale per tutti: basta
essere economicamente competitivi. E la
difesa del welfare state in Occidente, rilanciando il protezionismo, non aiuta, perché aumenta le tensioni
internazionali e favorisce l’influenza dei falchi cinesi, di coloro che non
vedono di buon occhio l’apertura di
mercato, perché capace di favorire la domanda
di democratizzazione.
Come
si può intuire, le cose sono piuttosto complesse. Il che,
per inciso, la dice lunga, sulla natura
superficiale e controproducente del
protezionismo trumpiano, come dei vari sovranismi. Che non fa bene agli Stati Uniti, non fa bene all’Europa.
E ovviamente non aiuta la Cina
a crescere economicamente e democratizzarsi.
Carlo Gambescia