lunedì 14 ottobre 2019

Riflessioni
Liberalismo, totalitarismo & Co.

Il liberalismo è totalitario? Per i suoi avversari sì. E quali sono i suoi avversari? Fascisti, comunisti, tradizionalisti, religiosi o meno.
Altra domanda, anzi due. Che cosa significa liberalismo? Che cosa significa totalitarismo?
Il liberalismo è una  concezione della realtà che punta alla limitazione del potere politico in ogni campo, confidando nel libertà come forma di regolazione dei rapporti sociali:  libertà di perseguire liberamente i propri interessi: che si badi non sono né buoni né cattivi, sono e basta. Naturalmente,  ciò avviene, come vedremo, non senza limiti “oggettivi” (cioè limiti non fissati dall’uomo, almeno direttamente).
Per contro,  il totalitarismo è la  concezione della realtà che scorge nel  potere politico uno strumento di liberazione dell’individuo. Da che cosa? Dalla falsa libertà  - si dice -  che consiste nel perseguire i propri interessi.   Il totalitarismo, insomma, libererebbe l’uomo, e per sempre, dall’egoismo.
Va però  fatta  una ulteriore precisazione. Il totalitarismo non sta tanto al liberalismo, quanto al suo opposto il  libertarismo. Sono  due forme estreme di pensiero che antepongono lo stato all’individuo (totalitarismo) e l’individuo allo stato (libertarismo). Due ideologie dell’eccesso, contrarie al  “juste milieu”, per dirla con i liberali classici.

Al liberalismo si oppone invece, più naturalmente,  l’autoritarismo: il culto  di una autorità alla quale si attribuisce uno sguardo più lungo dell’individuo.  La sola, si dice,  che in virtù della sua buona vista (attenzione non onniscienza)  può porre limiti e vincoli al perseguimento, quasi sempre pericoloso se non arginato, degli egoistici interessi individuali.
In realtà, sociologicamente parlando, tra stato e individuo si pone la società  con le sue regolarità, ossia con  ciò che è costante o si ripete.
Per fare un esempio,   si pensi a forme  di interazione sociale  come conflitto e cooperazione che si ripetono nel tempo, pur recependo contenuti storici diversi. Tradotto: il politico passa, il metapolitico resta.  
Ora,  il liberalismo accetta, purché  frutto di libera interazione,  sia il conflitto sia  la cooperazione;  l’autoritarismo invece, in nome della pace sociale e di una “vista perfetta”,  respinge il conflitto, imponendo dall'alto la cooperazione; infine il totalitarismo e libertarismo,  nel nome di una ideologia distopica (lo stato etico o razziale, il comunismo, l’individuo assoluto o "l’Unico"), portato cognitivo  di una pretesa onniscienza,  rifiutano  sia  il conflitto che la cooperazione.

Come si può capire,  liberalismo  e totalitarismo  non hanno nulla in comune. Il  pericolo totalitario rinvia invece al  libertarismo assoluto, o meglio all' introduzione dall'alto dei principi libertari per legge, obbligando così  gli individui ad essere liberi. E come? Attraverso l’uso del potere politico in modo esteso, addirittura totalitario. Un fenomeno che  si chiama costruttivismo.                                
Si pensi, per fare qualche esempio,  all’uso indiscriminato della tassazione per favorire  masse sindacalizzate e  inintelligenti,  solleticandone gli istinti più bassi verso ciò che Aristotele definiva il taglio delle spighe più alte. Oppure alla dolciastra  welfarizzzione del suicidio e delle questioni di genere.  
Al fondo di queste scelte politico-sociali c’è l’idea, nonostante l'overdose libertaria, che l’individuo non sappia ciò che è bene per se stesso. Di qui la necessità di legificare, regolamentare,  socializzare coattivamente,  eccetera, eccetera. Insomma di costruire politicamente una realtà a misura dell'ideologia. 
Purtroppo i frutti velenosi del  libertarismo welfarizzato sono usati dai nemici del liberalismo  come argomento, per giunta forte, che ne  spiegherebbe  la natura totalitaria. Si tratta insomma di un equivoco sul quale giocano artatamente i nemici del liberalismo.
Ma c’è un altro aspetto, non meno importante, che concerne la libertà di mercato.  Il liberalismo, in quanto  concezione che punta alla  limitazione del potere di interferenza dello stato in tutti i campi (che non significa la sua soppressione), non può che essere favorevole  alla libertà di mercato. Senza eccessi però.

Il liberalismo,  proprio perché consapevole  della natura di costante o regolarità   del   conflitto come della   cooperazione - insomma dell’esistenza di vincoli sociali oggettivi  di "interdipendenza" per dirla con Geiger  - ,  non può favorire l’estensione della libertà di mercato fino alla distruzione di ogni forma di cooperazione (libertarismo)  o di conflitto (totalitarismo).  Magari tacendo, come sostengono i suoi detrattori,  davanti  all'evocazione di   una società futura  dove la cooperazione  come il conflitto scompariranno per sempre.
Il liberalismo,  ripetiamo,  accetta invece la dinamica oggettiva della costanti  o regolarità  metapolitiche, dinamica che non è liberale, libertaria, fascista, comunista.  Dinamica che più semplicemente “ è“ . In questo senso, politicamente  parlando, il liberalismo   è realista. O se si preferisce  archico, come abbiamo osservato altrove, delineando l'esistenza di una  corrente di pensiero, con importanti effetti di ricaduta politica,  che va da Burke a Berlin  (*).  
Per contro, autoritarismo, libertarismo e totalitarismo si muovono, chi più chi meno, sul piano dell’irrealismo politico:   del rifiuto di accettare, in nome dell’ideologia, la società così come è, con le sue regolarità. Al fondo,  sono fenomeni politici  an-archici. Se si vuole impolitici.  E quindi pericolosissimi perché nemici del senso della realtà.   

Carlo Gambescia