Riflessioni
Liberalismo, totalitarismo & Co.
Il
liberalismo è totalitario? Per i suoi avversari sì. E quali sono i suoi avversari? Fascisti,
comunisti, tradizionalisti, religiosi o meno.
Altra
domanda, anzi due. Che cosa significa liberalismo? Che cosa significa
totalitarismo?
Il
liberalismo è una concezione della
realtà che punta alla limitazione del potere politico in ogni campo, confidando
nel libertà come forma di regolazione dei rapporti sociali: libertà di perseguire liberamente i propri
interessi: che si badi non sono né buoni né cattivi, sono e basta. Naturalmente, ciò avviene, come vedremo, non senza limiti “oggettivi” (cioè limiti non fissati
dall’uomo, almeno direttamente).
Per
contro, il totalitarismo è la concezione della realtà che scorge nel potere politico uno strumento di liberazione
dell’individuo. Da che cosa? Dalla falsa libertà - si dice - che consiste nel perseguire i propri
interessi. Il totalitarismo, insomma, libererebbe l’uomo, e per sempre, dall’egoismo.
Va però fatta una ulteriore precisazione. Il totalitarismo non sta tanto al
liberalismo, quanto al suo opposto il
libertarismo. Sono due forme estreme di pensiero che antepongono lo
stato all’individuo (totalitarismo) e l’individuo allo stato (libertarismo). Due
ideologie dell’eccesso, contrarie al “juste
milieu”, per dirla con i liberali classici.
Al
liberalismo si oppone invece, più
naturalmente, l’autoritarismo: il culto di una autorità alla quale si attribuisce uno
sguardo più lungo dell’individuo. La
sola, si dice, che in virtù della sua
buona vista (attenzione non onniscienza) può porre limiti e vincoli al perseguimento,
quasi sempre pericoloso se non arginato, degli egoistici interessi individuali.
In
realtà, sociologicamente parlando, tra stato e individuo si pone la
società con le sue regolarità, ossia
con ciò che è costante o si ripete.
Per fare un esempio, si pensi a forme di interazione sociale come conflitto e cooperazione che si ripetono nel tempo, pur recependo contenuti storici diversi. Tradotto: il politico passa, il metapolitico resta.
Per fare un esempio, si pensi a forme di interazione sociale come conflitto e cooperazione che si ripetono nel tempo, pur recependo contenuti storici diversi. Tradotto: il politico passa, il metapolitico resta.
Ora, il liberalismo accetta, purché frutto
di libera interazione, sia il conflitto sia la cooperazione; l’autoritarismo invece, in nome della pace sociale e di una “vista
perfetta”, respinge il conflitto, imponendo dall'alto la cooperazione; infine il totalitarismo e libertarismo, nel nome di una ideologia distopica (lo stato etico o razziale, il comunismo, l’individuo
assoluto o "l’Unico"), portato cognitivo di una pretesa onniscienza, rifiutano sia il conflitto che la cooperazione.
Come
si può capire, liberalismo e totalitarismo non hanno nulla in comune. Il pericolo totalitario rinvia invece al libertarismo assoluto, o meglio all' introduzione dall'alto dei principi
libertari per legge, obbligando così gli individui ad essere liberi. E come? Attraverso l’uso del potere politico in modo
esteso, addirittura totalitario. Un fenomeno che si chiama costruttivismo.
Si pensi, per fare qualche esempio, all’uso indiscriminato della tassazione per favorire masse sindacalizzate e inintelligenti, solleticandone gli istinti più bassi verso ciò che Aristotele definiva il taglio delle spighe più alte. Oppure alla dolciastra welfarizzzione del suicidio e delle questioni di genere.
Al fondo di queste scelte politico-sociali c’è l’idea, nonostante l'overdose libertaria, che l’individuo non sappia ciò che è bene per se stesso. Di qui la necessità di legificare, regolamentare, socializzare coattivamente, eccetera, eccetera. Insomma di costruire politicamente una realtà a misura dell'ideologia.
Purtroppo i frutti velenosi del libertarismo welfarizzato sono usati dai nemici del liberalismo come argomento, per giunta forte, che ne spiegherebbe la natura totalitaria. Si tratta insomma di un equivoco sul quale giocano artatamente i nemici del liberalismo.
Ma c’è un altro aspetto, non meno importante, che concerne la libertà di mercato. Il liberalismo, in quanto concezione che punta alla limitazione del potere di interferenza dello stato in tutti i campi (che non significa la sua soppressione), non può che essere favorevole alla libertà di mercato. Senza eccessi però.
Il liberalismo, proprio perché consapevole della natura di costante o regolarità del conflitto come della cooperazione - insomma dell’esistenza di vincoli sociali oggettivi di "interdipendenza" per dirla con Geiger - , non può favorire l’estensione della libertà di mercato fino alla distruzione di ogni forma di cooperazione (libertarismo) o di conflitto (totalitarismo). Magari tacendo, come sostengono i suoi detrattori, davanti all'evocazione di una società futura dove la cooperazione come il conflitto scompariranno per sempre.
Il liberalismo, ripetiamo, accetta invece la dinamica oggettiva della costanti o regolarità metapolitiche, dinamica che non è liberale, libertaria, fascista, comunista. Dinamica che più semplicemente “ è“ . In questo senso, politicamente parlando, il liberalismo è realista. O se si preferisce archico, come abbiamo osservato altrove, delineando l'esistenza di una corrente di pensiero, con importanti effetti di ricaduta politica, che va da Burke a Berlin (*).
Per contro, autoritarismo, libertarismo e totalitarismo si muovono, chi più chi meno, sul piano dell’irrealismo politico: del rifiuto di accettare, in nome dell’ideologia, la società così come è, con le sue regolarità. Al fondo, sono fenomeni politici an-archici. Se si vuole impolitici. E quindi pericolosissimi perché nemici del senso della realtà.
Carlo Gambescia