sabato 12 ottobre 2019

Erdogan sfida l’Europa
Senza nemico non c’’è sovranità

Julien Freund sostiene, andando oltre Carl Schmitt (o continuandolo), che la riprova del possesso da parte di un'unità politica della sovranità  è racchiusa nella capacità di indicare il nemico. 
Per fare un esempio, durante la Guerra Fredda, nel quadro di una competizione mondiale bipolare tra Stati Uniti e  Russia, il nemico all’Europa occidentale fu indicato dagli Usa. Stessa cosa, ma al contrario,  per l’Europa orientale, schierata con Mosca.
Per ridurre all’osso la questione: Italia e Polonia, all’epoca,  non erano sovrane  perché  non potevano indicare un nemico differente  da quello designato dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica.  In  fondo, si trattava e tratta  di una classica questione metapolitica, che risale agli imperi   Egizio  e Sumerico:  quella  delle alleanze con al centro una  potenza egemone, che, per l’appunto, designa  agli alleati  “minori”  il nemico comune.
Ora, e qui viene il bello, l’Europa, o meglio l’Ue, si trova oggi in una specie di limbo,  perché nessuno dall’esterno, le indica più il nemico, ma al tempo stesso, anche dall’interno:  perché  l'Europa sembra non essere capace  di designarlo da sola. 
Si dirà: ma il nemico deve proprio esistere?  Non si può vivere in pace con tutti? Sarebbe bello. Ma purtroppo le cose non vanno così, particolarmente in politica estera. 

Si pensi alla questione turca, alla sfida in corso  di Erdogan. Il problema curdo è un problema interno turco?  O di scenario, non solo mediorientale? Nel senso che riguarda tutti? 
L’Ue, al di là dei proclami pacifisti o economicamente  bellicosi (ma in ordine sparso), pare incapace di rispondere con un sì o con un no.  
L’Europa  sembra vivere in un mondo tutto suo, irreale, incantato,  dove  non  esistono nemici. Insomma, l’Ue  non dipende da nessuno, ma al tempo stesso, risulta incapace di designare il nemico.
Siamo perciò  davanti a un caso  clamoroso  di impotenza politica. Di  sovranità che si autolimita.
Si dirà, come accennavamo,  meglio così, perché  la pace paga sempre. Il che, ripetiamo,  non è vero. O meglio sarebbe vero se lo scacchiere mondiale fosse composto di stati e nazioni tutti dalle stesse dimensioni, appagati della propria condizione e perciò  non bisognosi  di prevalere gli uni su gli altri. 
Invece esistono tuttora  grandi potenze egemoni, scalpitanti,  dagli Stati Uniti, alla Cina alla Russia, altre in ascesa come l’India ad esempio, potenze regionali come l’Iran ad esempio, altre dormienti come il Giappone. Insomma, l’eguaglianza geopolitica  non di questo mondo.  E fino a quando sarà così, l’indicazione del nemico  sarà  sinonimo di sovranità.
In ultima istanza, e paradossalmente, il governo unito del mondo, di cui l'Onu al momento è  una specie di caricatura, per affermare la propria sovranità avrebbe necessità di un nemico proveniente da un altro pianeta. Poi però ne seguirebbero altri da nuovi pianeti e così via.
Per tornare al punto, la Turchia si comporta da potenza regionale, quindi per un consistente blocco geopolitico, dalla caratura mondiale come l’Ue (certo,  se fosse veramente tale), sarebbe un gioco da ragazzi metterla a posto, partendo dalle sanzioni economiche e in via scalare fino a misure politiche (abbattimento, anche dall’interno del regime di Erdogan) e   militari ( guerra, nelle sue varie forme e intensità). E invece,  si permette che un tirannello come Erdogan ricatti  l’Europa, opprima i curdi,  e tradisca la parte moderna, laica e liberale, della Turchia.
Ovviamente, all’altro capo dei filo (del nostro ragionamento) c’è un’Europa spezzettata in stati e staterelli (quella che piace tanto ai sovranisti),  come nel passato, staterelli magari bellicosi, ma incapaci,  se non attraverso alleanze politico-militari, di indicare un nemico e fare paura alla Turchia. Quindi, punto e a capo. 
Storicamente parlando, la  questione d’Oriente, della dissoluzione dell'Impero Ottomano,   fu risolta ai tavoli della pace, prima a  Sevrès (1920) poi a Losanna (1923), dall’accordo  tra le potenze europee  egemoni, perché uscite vincenti dalla Prima guerra mondiale, e da una autoriforma interna  in chiave occidentale, culminata  però  in una reazione militare turca alle clausole di Sèvres.  
Riassumendo, per i distratti,  la ferrea dinamica sovranità-nemico: al tavolo della pace (Sevrès) i vincitori sovrani presentarono  il conto al nemico turco, schieratosi con la Triplice sconfitta, indicando perciò un nemico. La Turchia sconfitta  però si ribellò, designando a sua volta un nemico, la Grecia di Venizelos ( e sullo sfondo Francia,  Regno Unito, Italia),  poi battuta sul campo da Mustafa Kemal.  E  a Losanna (1923) i vincitori di Sèvres (1920) vennero a più miti consigli.    
Concludendo l’Europa  sembra aver dimenticato che senza  nemico non c’è sovranità. E che non c’è sovranità senza  nemico. E che senza guerra non c’è  pace. Come del resto che senza pace non c’è guerra. 
Tertium non datur.   

Carlo Gambescia