Dove va Steve Bannon?
I Protocolli dei Savi di Davos
Chissà, Giano Accame, se fosse ancora tra noi, cosa direbbe di Steve Bannon? Che più che un intellettuale è un organizzatore e un comunicatore. Accame, negli anni Sessanta, unico nella destra
neofascista, invitò in Italia John Dos Passos e James Burnham, intellettuali veri, non aspiranti controfigure del dottor Goebbels…
Diciamo pure che né Passos, romanziere di successo, né Burnham, finissimo politologo, avevano
e hanno nulla in comune con un una specie di
pappagallo, Steve Bannon, che più o meno ripete sempre le
stesse cose, maldestramente racchiuse, nei famigerati Protocolli dei Savi di Sion. Esageriamo? No. L’ex ideologo di Trump (un magnate come Berlusconi,
ma più cattivo e privo di rotelle), ha sostituito il mito del complotto giudaico con quello delle “élite di Davos”: qualcosa
di ancora più indeterminato e dunque gestibile secondo le necessità ideologiche
del momento.
Per
farla breve. Goebbels aveva una precisa ideologia di riferimento, il
nazionalsocialismo, un capo,
Hitler, e un nemico, l’ebreo. Bannon,
per ora ha soltanto un nemico, molto generico. Sull’ideologia sta lavorando. Sul
capo, anzi sui capi, sembra invece indeciso.
Però, proprio
questa genericità, fa di Bannon persona ancora più pericolosa, perché, intanto, stando a quel che dice ai suoi studenti europei (ad esempio: "Non vergognatevi delle accuse di razzismo, anzi siatene fieri"), rinvia a quel mefitico
crogiolo culturale, rappresentato dalla cultura della tentazione fascista degli
anni Venti e Trenta. Nelle sue parole, si ritrovano con facilità, temi come
quelli della decadenza, del nazionalismo, del razzismo, dell’antiliberalismo, del
protezionismo, eccetera, eccetera.
Di
qui, la sua sintonia, con personaggi come Nigel Farage, Marine Le Pen, Matteo Salvini e, ora pare,
Giorgia Meloni.
Giano
Accame, all’epoca venne criticato, in nome del solito antiamericanismo idiota
tipico dei fascisti, per la sua
attenzione verso Dos Passos e Burnham. Pertanto, anche nel partitino della Meloni, per non parlare del microscopico neofascismo a destra di FdI, Bannon potrebbe risultare sgradito. Ad esempio,
i suoi frequenti richiami alle nostre radici giudaico-cristiane, in certi ambienti, dove si venerano ancora i reparti delle SS musulmane, favoriti dai nazisti nei Balcani, potrebbero non essere apprezzati.
Ovviamente, un personaggio culturalmente scialbo come
Giorgia Meloni (un Gianfranco Fini in gonnella), come si dice, "si è buttata" e ha trascinato un Bannon, che, per ora non cerca altro, sul palco dell’Isola
Tiberina, settore, se abbiamo capito bene, "I Trecento delle Termopili"...
Si
discute molto sulle potenzialità o meno
del progetto di Bannon, che ha preso residenza a Bruxelles, di unificare
i movimenti sovranisti europei. “The Movement”,
come ogni altra internazionale nera, può funzionare, come piattaforma
per provocare la dissoluzione dell’Unione Europea, dopo di che però, ogni
membro, inevitabilmente, si schiererà contro tutti gli altri e così via. A meno che, la piattaforma da politica non si
trasformi in bellica. Perché a quel punto,
secondo inevitabili logiche di schieramento geopolitico e militare, il nazionalismo non potrà non
arrivare, che unito, allo scontro finale con il liberalismo.
Se la meta di una conflagrazione generale, sia parte del progetto di Bannon,
è difficile dire. Come è altrettanto complicato prevedere se in Europa, troverà
sponde, realmente disposte ad ascoltarlo, al di là delle apparizioni alle kermesse politiche.
Ciò che invece dovrebbe preoccupare - a
prescindere - è lo stile complottista,
da Protocolli dei Savi di Davos, perfettamente incarnato da Bannon. Capri espiatori e sfruttamento della credulità pubblica, fanno parte di uno stile politico paranoico, molto pericoloso per le libertà di tutti.
È vero, come la storia insegna, che
la biscia alla fine morde il ciarlatano. Ma quando? L’ultima
volta, sono serviti sei anni di guerra.
Carlo Gambescia