lunedì 24 settembre 2018

Dove va Steve Bannon?
 I Protocolli dei Savi  di  Davos



Chissà,  Giano Accame,  se  fosse ancora tra noi, cosa direbbe di Steve Bannon?  Che più che un intellettuale è un organizzatore e un comunicatore.  Accame,  negli anni Sessanta, unico nella destra neofascista,  invitò  in Italia John Dos Passos e James Burnham,  intellettuali  veri, non aspiranti controfigure del dottor Goebbels…
Diciamo pure che né Passos, romanziere  di successo,  né Burnham, finissimo politologo,  avevano e   hanno nulla  in comune con un una specie di pappagallo,  Steve Bannon,  che più o meno ripete sempre  le stesse cose,  maldestramente racchiuse,  nei famigerati Protocolli dei Savi di Sion. Esageriamo? No. L’ex ideologo di Trump (un magnate come Berlusconi, ma più cattivo e privo di rotelle), ha sostituito il mito del   complotto giudaico  con quello  delle  “élite di Davos”: qualcosa di ancora più indeterminato e dunque gestibile  secondo le necessità ideologiche del momento.
Per farla breve.  Goebbels aveva una precisa ideologia di riferimento, il nazionalsocialismo,  un capo, Hitler,  e un nemico, l’ebreo.  Bannon, per ora ha soltanto un  nemico,  molto generico.  Sull’ideologia sta lavorando. Sul capo,  anzi sui capi, sembra  invece  indeciso.
Però, proprio questa genericità,  fa di Bannon persona ancora  più pericolosa,  perché, intanto, stando a quel che dice ai suoi studenti europei (ad esempio: "Non vergognatevi delle accuse di razzismo, anzi siatene fieri"), rinvia a  quel mefitico crogiolo culturale,  rappresentato dalla cultura della tentazione fascista degli anni Venti e Trenta.  Nelle sue parole, si ritrovano con facilità,  temi come quelli della decadenza, del nazionalismo, del razzismo,  dell’antiliberalismo, del protezionismo, eccetera, eccetera.
Di qui, la sua  sintonia,  con personaggi come Nigel Farage,  Marine Le Pen, Matteo Salvini e, ora pare, Giorgia Meloni. 
Giano Accame, all’epoca venne criticato, in nome del solito antiamericanismo idiota tipico dei fascisti,   per la sua attenzione verso  Dos Passos e Burnham.  Pertanto, anche nel partitino della Meloni, per non parlare del  microscopico neofascismo a destra di FdI,   Bannon potrebbe risultare sgradito.   Ad esempio, i suoi frequenti richiami alle nostre radici giudaico-cristiane, in certi  ambienti, dove si venerano ancora i reparti delle SS musulmane, favoriti dai nazisti nei Balcani, potrebbero  non essere apprezzati. 
Ovviamente,  un personaggio culturalmente scialbo come Giorgia Meloni (un Gianfranco Fini in gonnella), come si dice, "si è buttata"  e  ha trascinato un Bannon, che, per ora non cerca  altro,  sul palco dell’Isola Tiberina, settore, se abbiamo capito bene,  "I Trecento delle Termopili"... 
Si discute molto sulle potenzialità o meno  del progetto di Bannon, che ha preso residenza a Bruxelles, di unificare i movimenti sovranisti europei.  “The  Movement”,  come ogni altra internazionale nera, può funzionare, come piattaforma per provocare la dissoluzione dell’Unione Europea, dopo di che però, ogni membro, inevitabilmente, si schiererà contro tutti  gli altri e così via.   A meno che, la piattaforma da politica non si trasformi in bellica.  Perché  a quel punto, secondo inevitabili logiche di schieramento geopolitico e militare,  il nazionalismo non potrà non arrivare, che unito, allo scontro finale con il liberalismo.
Se la meta  di una conflagrazione generale, sia parte del progetto di Bannon, è difficile dire. Come è altrettanto complicato prevedere se in Europa, troverà sponde, realmente disposte ad ascoltarlo, al di là  delle apparizioni  alle  kermesse politiche.
Ciò  che invece dovrebbe preoccupare -  a prescindere -  è lo stile complottista, da Protocolli dei Savi di Davos,  perfettamente incarnato da Bannon.  Capri espiatori  e sfruttamento della  credulità pubblica,  fanno parte di uno stile politico  paranoico,  molto pericoloso per le libertà di tutti. 
È vero, come la storia insegna, che la biscia alla fine morde il ciarlatano.   Ma quando?  L’ultima volta,  sono serviti sei anni di guerra. 
Carlo Gambescia