Da Mussolini a Di Maio e Salvini
Il duro prezzo dell’arroganza e della
falsità
Leggo,
studio, scrivo da tanti anni. Oltre alla
sociologia, mia disciplina elettiva, amo
la storia. La ritengo importante per
capire il presente. Ma fino a ieri sera, a proposito del fascismo, pur avendo letto molti libri, non ero mai riuscito - lo ammetto senza problemi - a calarmi nella mentalità degli
antifascisti. E soprattutto, a spiegarmi la ferocia della guerra
civile. E il suo terribile esito finale. Parlo di Piazzale Loreto.
Perché? Un poco per carattere, un poco perché
preferisco argomentare invece di sferrare pugni: si chiama, come i lettori sanno, retorica della transigenza; un poco perché come
studioso cerco sempre di tenermi al di sopra delle parti, o almeno tento. Quindi, ripeto, non capivo la rabbia, accumulata e poi esplosa, degli
antifascisti.
Ieri
sera, finalmente, davanti a "DiMartedì", all’untuosità del conduttore, che non merita neppure di essere nominato, e alle menzogne sfacciate e al linguaggio da asini presuntuosi di Luigi Di Maio e Matteo Salvini (*), ho capito quel che devono aver sofferto gli antifascisti durante il
Ventennio.
Quante
menzogne... Un’Italia che non è al lumicino, come invece sostengono i due "commissari del popolo". Una flat tax che non è una vera flat tax.
Un reddito di cittadinanza che
non è un vero reddito di cittadinanza, eccetera, eccetera. Menzogne su menzogne. Senza alcun contraddittorio...
Quanta
arroganza verso il Ministro dell’economia… Che “deve trovare i soldi”. O nel parlare di un progetto di legge costituzionale per la
riduzione dei parlamentari,
presentato come fonte di grande risparmio, 100 milioni di euro all’anno contro un debito pubblico che ha
superato da un pezzo i 2000 miliardi… Ridicolo. E, come sopra, nessun contraddittorio.
Quanta rabbia, dentro di me. E Di Maio e Salvini sono al potere neppure da quattro mesi.
Mussolini,
capace anch’egli di monologhi,
altrettanto falsi e arroganti, tenuti per più di vent'anni. con
conseguenze disastrose per l’Italia,
alla fine venne prelevato e
fucilato. E appeso. Senza alcuna pietà.
Ora
capisco.
Carlo Gambescia