giovedì 27 settembre 2018

Conte  dichiara all'Onu  di difendere i poveri…
E invece difende l’Italia peggiore




«Una direzione fondamentale di politica di questo governo è un'attenzione alla giustizia sociale. In questa prospettiva un capitolo importante è il reddito di cittadinanza: non potremmo perseguire una manovra economica con 4,7 milioni di poveri, rimanendo indifferenti e non adottando misure adeguate che possano recuperare le persone "drop out", tagliate fuori, al circuito del lavoro e di una vita economica e sociale piena". Lo dice il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in conferenza stampa all'Onu. »



Le parole di Conte rappresentano la perfetta sintesi di una politica economica populista, basata sulle stupidaggini e sull’Italia dei peggiori.   
Sul piano dei dati  cinque milioni di poveri - ammesso e non concesso  l’uso di metodologie statistiche non compiacenti (*) -  sono un dato fisiologico. Gli studi sulla curva dei redditi provano  che negli ultimi due secoli ( e in particolare nella seconda metà dello scorso) il numero dei poveri è diminuito, la piramide si è trasformata in trottola, sicché, il numero dei poveri, pur essendo superiore a quello dei ricchi e ricchissimi, rimane nettamente inferiore a coloro che dispongono di redditi medi.
Per dirla brutalmente:  Italia, sessanta milioni di abitanti, meno di un milione di ricchi e ricchissimi,  54 milioni  di ceti medi (nelle varie sfumature), 5 milioni di poveri… 
Il numero dei poveri, pur con variazioni al rialzo, dopo la crisi del 2008-2009 (da 4, 4 e mezzo a 5),  è rimasto più o meno  stabile.  La curva storica dei redditi, ci dice che nelle società industrializzate,  il dato del 10 per cento di poveri è fisiologico, legato alle caratteristiche fisiche, mentali e culturali delle persone.  Può apparire crudele per le anime belle, ma purtroppo è così: intelligenza,  forza di volontà e  reddito crescente  procedono  alla pari.      
Naturalmente, un discorso razionale del genere, che   inviterebbe alla calma e alla ragionevolezza,  dal momento che, semplificando,  l’Occidente (Italia compresa)  non ha mai goduto di  una  salute così buona,  non può essere accettato da chi  si  sia imposto il compito di raddrizzare le gambe ai cani.  Il che spiega le stupidaggini di Conte  e  del governo giallo-verde, in particolare della componente  pentastellata.                          
Si dirà, ma hanno preso una montagna di  voti, quindi qualcosa di vero, eccetera, eccetera. Intanto, i poveri  non  votano (a provarlo c’è una letteratura politologica vastissima), votano i ceti medi, il nerbo della nostra società, che  - cosa che al tempo stesso è un pregio e un difetto -  sono da  sempre scontenti del  proprio stato, soprattutto nelle linee di confine, tra i vari strati in cui sono suddivisi (alti, intermedi, inferiori): si invidia sempre chi è subito sopra, e si disprezza chi è subito sotto. Il ceto medio, vuole migliorarsi e distinguersi: il che è un bene,  ma  condivide anche una visione patrimonialista del proprio stato economico (insomma, teme di perdere quel che ha, e si difende):   il che è un male, perché depotenzia  la volontà di ascesa sociale. Esistono, ovviamente delle differenze nazionali, sulle base del migliorarsi o del giocare in difesa, perché si teme il peggio.
Diciamo, per farla breve, che negli Stati Uniti, prevale l’ideologia migliorista, in Italia quella peggiorista. E,  per venire al punto, i pentastellati, ma anche i leghisti (puntando sullo schema comunicativo del razzismo preventivo),  hanno preso i voti, non dei poveri o dei miglioristi, ma della componente peggiorista del ceto medio.  
Il che spiega, il discorso di Conte, che, se ci si  consente la rozza  metafora,  parla a  nuora  (i poveri) perché suocera (il ceto medio peggiorista) intenda.  
Pertanto,  ma quale lotta alla povertà…  Ma quali poveri…   Conte e i suoi alleati di governo rappresentano  l’Italia degli invidiosi, che non fanno però nulla per migliorarsi.  L’Italia  di un ceto medio  peggiorista, che cerca una protezione di cui non ha bisogno.  
In qualche misura, la vera palla al piede dell’Italia non sono i poveri, pochi di numero  e  in qualche misura gestibili,  ma un ceto medio di egoisti, invidiosi  e, per dirla tutta, di  aspiranti nullafacenti,  che ha trovato nel governo giallo-verde il suo punto di riferimento politico e simbolico.            

Carlo Gambescia