Conte dichiara all'Onu di
difendere i poveri…
E invece difende l’Italia peggiore
«Una direzione fondamentale di politica di
questo governo è un'attenzione alla giustizia sociale. In questa prospettiva un
capitolo importante è il reddito di cittadinanza: non potremmo perseguire una
manovra economica con 4,7 milioni di poveri, rimanendo indifferenti e non
adottando misure adeguate che possano recuperare le persone "drop
out", tagliate fuori, al circuito del lavoro e di una vita economica e
sociale piena". Lo dice il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in
conferenza stampa all'Onu. »
Le parole di Conte rappresentano la
perfetta sintesi di una politica economica populista, basata sulle stupidaggini
e sull’Italia dei peggiori.
Sul piano dei dati cinque milioni di
poveri - ammesso e non concesso l’uso di metodologie statistiche non
compiacenti (*) - sono un dato fisiologico. Gli studi sulla curva dei
redditi provano che negli ultimi due secoli ( e in particolare nella seconda metà dello scorso) il numero dei poveri è diminuito, la
piramide si è trasformata in trottola, sicché, il numero dei poveri, pur
essendo superiore a quello dei ricchi e ricchissimi, rimane nettamente
inferiore a coloro che dispongono di redditi medi.
Per dirla brutalmente: Italia, sessanta milioni di abitanti, meno di un milione di ricchi e
ricchissimi, 54 milioni di ceti medi (nelle varie sfumature), 5
milioni di poveri…
Il numero dei poveri, pur con variazioni
al rialzo, dopo la crisi del 2008-2009 (da 4, 4 e mezzo a 5), è rimasto
più o meno stabile. La curva storica dei redditi, ci dice che nelle
società industrializzate, il dato del 10 per cento di poveri è
fisiologico, legato alle caratteristiche fisiche, mentali e culturali delle
persone. Può apparire crudele per le anime belle, ma purtroppo è così:
intelligenza, forza di volontà e reddito crescente procedono alla pari.
Naturalmente, un discorso razionale del
genere, che inviterebbe alla calma e alla ragionevolezza, dal
momento che, semplificando, l’Occidente (Italia compresa) non ha
mai goduto di una salute così buona, non può essere accettato da
chi si sia imposto il compito di raddrizzare le gambe ai cani. Il che spiega le stupidaggini di Conte
e del governo giallo-verde, in particolare della componente
pentastellata.
Si dirà, ma hanno preso una montagna
di voti, quindi qualcosa di vero, eccetera, eccetera. Intanto, i
poveri non votano (a provarlo c’è una letteratura politologica
vastissima), votano i ceti medi, il nerbo della nostra società, che - cosa
che al tempo stesso è un pregio e un difetto - sono da sempre
scontenti del proprio stato, soprattutto nelle linee di confine, tra i
vari strati in cui sono suddivisi (alti, intermedi, inferiori): si invidia
sempre chi è subito sopra, e si disprezza chi è subito sotto. Il ceto medio, vuole
migliorarsi e distinguersi: il che è un bene, ma condivide anche
una visione patrimonialista del proprio stato economico (insomma, teme di
perdere quel che ha, e si difende): il che è un male, perché depotenzia
la volontà di ascesa sociale. Esistono, ovviamente delle differenze
nazionali, sulle base del migliorarsi o del giocare in difesa, perché si teme il
peggio.
Diciamo, per farla breve, che negli
Stati Uniti, prevale l’ideologia migliorista, in Italia quella peggiorista. E,
per venire al punto, i pentastellati, ma anche i leghisti (puntando sullo schema comunicativo del razzismo preventivo), hanno
preso i voti, non dei poveri o dei miglioristi, ma della componente peggiorista
del ceto medio.
Il che spiega, il discorso di Conte, che,
se ci si consente la rozza metafora, parla a nuora (i
poveri) perché suocera (il ceto medio peggiorista) intenda.
Pertanto, ma quale lotta alla
povertà… Ma quali poveri… Conte e i suoi alleati di governo
rappresentano l’Italia degli invidiosi, che non fanno però nulla per
migliorarsi. L’Italia di un ceto medio peggiorista, che cerca
una protezione di cui non ha bisogno.
In qualche misura, la vera palla al piede
dell’Italia non sono i poveri, pochi di numero e in qualche misura
gestibili, ma un ceto medio di egoisti, invidiosi e, per dirla
tutta, di aspiranti nullafacenti, che ha trovato nel governo
giallo-verde il suo punto di riferimento politico e simbolico.
Carlo Gambescia