martedì 18 settembre 2018

Liberali e riformisti divisi davanti al governo giallo-verde
Se anche  Ernesto Galli della Loggia e Giovanni Orsina passano al nemico….





Parliamo di pazienza.  Non sappiamo  quanto gli amici lettori riescano a seguire certe polemiche, che in sé non dicono molto, ma  servono per capire le linee di frattura tra i liberali  italiani.
Di preciso, di che cosa parliamo?  Ad esempio, del  botta risposta con l’amico Teodoro Klitsche de la Grange, che ha visto emergere una profonda divisione  sulla necessità di appoggiare o meno un pericoloso  governo di energumeni e ignoranti presuntuosi.  De la Grange è per un ni, che tende, crediamo,  a   sfumare  in sì.   Invece, chi scrive  è per il no (*). Scelta più volte esplicitata e rappresentata su questo blog.
Proprio oggi Giuliano Ferrara, discute le tesi  di intellettuali liberali  come Giovanni Orsina  e Galli della Loggia,  che però a differenza del fondatore del “Foglio”,  credono, sintetizzando, di poter civilizzate i barbari.  In fondo, si tratta della stessa  tesi sostenuta   anche da altri due   intellettuali: Alessandro Campi, post-fascista pentito e girovago, ma  in cattedra.   E  Marcello Veneziani, fascista mai pentito, cultore del calembour  e spiritosaggini  varie  in stile Bagaglino.  Senza cattedra.
Pertanto,  Campi e Veneziani, per ragioni di Dna,   non fanno testo, ma Orsina e Galli della Loggia, tra l'altro  autori di libri molto  interessanti, sì.
La prima domanda  da porsi è cosa vi sia in comune, intellettualmente,   tra due professori  e due gruppi politici composti  di analfabeti funzionali.  Nulla.  La distanza non può che  essere incolmabile.
Ma, come spesso, si sottolinea, la politica è  “sangue e  merda”, quindi la cultura  resta  questione secondaria.   Sicché  inutile chiedere la conoscenza delle tabelline e della grammatica a chi vinca le elezioni.  Perfetto.
A dire il vero,  Orsina e Galli della Loggia, non ne fanno una questione di cultura, ma più semplicemente di realismo politico.  Il ragionamento è  il seguente: se questa è la realtà politica, inutile fuggirla, bisogna mettere i barbari alla prova, tentare di addomesticarli, per tirarne  fuori il meglio.
Il ragionamento, dispiace dirlo,  è totalmente sbagliato.  Per quale motivo?  Perché  non tiene conto del fatto che i Salvini, i Di Maio eccetera  hanno  vinto  puntando proprio sulla  “diversità  da tutti gli altri”. Proprio sul loro "essere barbari".   E sanno benissimo che quanto più vengono a patti con “il sistema” tanto più rischiano di perdere consensi. Pertanto,  se tatticamente, possono fare qualche concessione,  dal punto di vista strategico puntano a qualificarsi come duri e puri.  Ripetiamo,  la diversità è la loro forza, ne sono consapevoli, e difficilmente cederanno sulle misure che fanno la differenza.
E non è detto, altra questione importante, che l’incivilimento, suggerito da Orsina e Galli della Loggia,   che in pratica non è altro che il tentativo di dividere, all’interno della maggioranza giallo-verde,  i moderati (pochi) dagli estremisti (tanti), se portato a  effetto,  possa  favorire una ricomposizione liberale e riformista del quadro politico. Perché i fuoriusciti, sarebbero comunque portatori sani  del virus  nazionalista, razzista, protezionista e statalista: idee  diluite,  quanto si voglia,  magari all'interno di nuovi raggruppamenti politici,  ma sempre (come dire?) frutto avvelenato  di uno stramaledetto albero: quello della guerra civile europea.
Ciò che non capiscono, o fingono di non capire,  Galli della Loggia e  Orsina, è che fra la tradizione liberale e riformista che ha fatto grande l’Europa  - e l'Italia -   negli ultimi settant’anni,   e i populisti, che vogliono raderla al suolo,  c’è una differenza di specie,  non di grado.  Come con i fascisti, nazisti e comunisti.  
Il populismo, non è altro  che una prosecuzione ( o ritorno, se si vuole)  del totalitarismo  con altri mezzi (per ora). Altro che trattare…  Bisogna opporsi, con tutte le forze  Che non sono molte. Verissimo. Però  le cose nobili e difficili, vanno affrontate proprio perché nobili e difficili.

Carlo Gambescia


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