giovedì 13 settembre 2018

Un saggio di Giovanni Barbieri
Guarda chi si rivede!
La plutocrazia demagogica…

https://www.francoangeli.it/Ricerca/Scheda_Libro.aspx?ID=23290

Il termine  “plutocrazia demagogica”,  molto in voga durante il fascismo per ragioni propagandistiche, dunque oggi screditato, non ha  però perduto  la sua valenza sociologica. Purtroppo, gli accademici sembrano  guardare altrove.
Perciò  il lettore,  immagini la nostra sorpresa, quando preparando uno studio, abbiamo scoperto che un sociologo, Giovanni Barbieri, docente presso l’Università di Perugia,  ha  addirittura prodotto un libro in argomento, e appena due anni fa.  Dal  titolo, tra l’altro, piuttosto battagliero: Democrazia e plutocrazia nell’Italia di Berlusconi (Angeli, Milano 2016, pp.  174, euro 23,00).
Di Barbieri, a dire il vero, avevamo già letto qualche anno fa  Pareto e il fascismo  (Angeli, Milano 2003), eccellente ricostruzione di una liaison dangereuse per antonomasia... In realtà, legame assai casto, politicamente parlando, breve e molto platonico, celebrato o demonizzato dalle solite malelingue dell’ideologia fascista e marxista.
Democrazia e plutocrazia,  si divide in due parti: La prima ("Plutocrazia e plutocrazia demagogica"),  analizza in tre densi capitoli, storia e interpretazione del concetto:  dal pensiero antico al moderno, per poi giungere alla riflessione  di Pareto e altri autori, protagonisti “dell’età della catastrofe” (termine, se non erriamo, che Barbieri riprende dallo storico marxista Hobsbawm) e di quella contemporanea. Nell’ultimo capitolo, della prima parte si dà la definizione di plutocrazia demagogica. Barbieri riconduce il concetto di plutocrazia, legandolo alla modernità capitalistica,  nell’alveo “dell’uso politico del capitale, per la commistione che genera fra sfera politica e quella dell’economia, per la posizione di privilegio che essa concede all’imprenditoria tariffata e assistita” (p. 75). Insomma, se ci si passa l'espressione,  quel territorio, neppure ben delimitato, dell' "arraffa arraffa": le zone grigie tra pubblico e privato,  frutto avvelenato  dell’economiste miste, dove, confermiamo (stando anche alle non poche ricerche in argomento),   dirigenti e amministratori, finanzieri e imprenditori,  usano  passare dall’uno all’altro settore,  stringendo amicizie, rapporti pericolosi e trasversali, sia con le famiglie della politica,  sia con quelle dell’economia. Barbieri, giustamente riprende il termine  di “crony capitalism:" un capitalismo clientelare (crony) che al rischio e al gusto della creazione economica  preferisce lucrare sulle facili concessioni pubbliche o sulle compartecipazioni a peso d'oro. 
Il lato demagogico della plutocrazia è invece rappresentato, dal risultato finale. Di che cosa?   Dell’interazione tra “avvento della società di massa”, “sviluppo  dei mezzi di comunicazione” e “ascesa di plutocrati demagogici che mirano all’acquisizione del consenso servendosi dell’adulazione, della manipolazione e della corruzione” (Ibid.).
Nella seconda parte,  Barbieri, si concentra sull’ analisi sociologica, come recita il suo  titolo, della "Plutocrazia demagogica nell'età berlusconiana". Nel primo capitolo, vengono passate in rassegna  le differenti interpretazioni dell'avventurosa vicenda del Cavaliere.  Tra le principali tesi discusse,  ricordiamo quelle di Ginsborg e  Diamond e Plattner (patrimonialismo, il primo, democrazia elettorale, non liberale i secondi),  di Sartori e Viroli (Sultanato e Sistema di corte),  populismo post-moderno e populismo televisivo (Andrews, Taguieff), peronismo soft, democrazia autoritaria (Flores d’Arcais, Gibelli).
Barbieri, sulla scia di Pareto, coniugato euristicamente con gli  studi politologici sulle democrazie in transizione (non è una critica, ma  avremmo prestato più attenzione, non un semplice richiamo, pur ampio, in nota,  all’ottimo lavoro di Orsina),  introduce il concetto di democrazia -  plutocratica o meno -   come un fenomeno  in continua trasformazione, anzi “in continua evoluzione”. Quindi qualcosa,  concettualmente parlando,  di inafferrabile, o se si preferisce di provvisorio: di qui, a suo avviso,   l’utilità del concetto di plutocrazia demagogica, formula giudicata come “la più appropriata” per sintetizzare “adeguatamente i caratteri delle trasformazioni che stanno emergendo sotto i nostri occhi” (p. 104).
Nel secondo capitolo della parte seconda, l’ultimo prima delle conclusioni,  Barbieri  passa ai riscontri di tipo  empirico, analizzando tre casi “cruciali” (nel senso metodologico della verifica determinante ai fini del giudizio complessivo)  del  IV Governo Berlusconi, l'ultimo (2008-2011): il salvataggio dell’Alitalia, l’estensione dei poteri della Protezione  Civile ai grandi eventi,  lo Scudo fiscale.  In tutti e tre i casi emerge, senza alcuna ombra dubbio, il micidiale  intreccio tra captazione  degli interessi clientelari e  presentazione pubblica, a livello retorico,  delle misure come  forme di tutela dell’interesse nazionale, della sicurezza dei cittadini e dell’antifiscalismo.  Si fa abilmente leva, crediamo,  per dirla con Pareto, su due residui:  persistenza degli aggregati (nazionalismo e bisogno di protezione) e  istinto delle combinazioni (individualismo, o egoismo,  fiscale).
Ciò significa che,  se esiste  un plutocrate  demagogo,  esistono anche cittadini non immuni  al fascino della demagogia.  Quindi sotto c’è una questione di sociologia, non tanto delle comunicazioni di massa e degli oligopoli informativi, quanto di  analisi della modalità comportamentali della cultura collettiva. E qui pensiamo all'ambiziosa, per certi aspetti ingenua, ma ineludibile, sociologia della conoscenza sorokiniana. Nonché, a livello, ancora più profondo del mare sociologico, pensiamo  agli strumenti, magari per ora imperfetti,  di un’antropologia sociale delle emozioni umane.  
Un compito certamente difficile, che però crediamo meriti  un  libro.  Un altro libro, ovviamente. Ci auguriamo sia Barbieri a scriverlo.

Carlo Gambescia