Un saggio di Giovanni Barbieri
Guarda chi si rivede!
La plutocrazia demagogica…
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Il termine “plutocrazia
demagogica”, molto in voga durante il fascismo per ragioni
propagandistiche, dunque oggi screditato, non ha però perduto la
sua valenza sociologica. Purtroppo, gli accademici sembrano guardare
altrove.
Perciò il lettore, immagini la
nostra sorpresa, quando preparando uno studio, abbiamo scoperto che un
sociologo, Giovanni Barbieri, docente presso l’Università di Perugia,
ha addirittura prodotto un libro in argomento, e appena due anni fa.
Dal titolo, tra l’altro, piuttosto battagliero: Democrazia e plutocrazia
nell’Italia di Berlusconi (Angeli,
Milano 2016, pp. 174, euro 23,00).
Di Barbieri, a dire il vero, avevamo già
letto qualche anno fa Pareto e il fascismo (Angeli, Milano
2003), eccellente ricostruzione di una liaison
dangereuse per antonomasia...
In realtà, legame assai casto, politicamente parlando, breve e molto platonico,
celebrato o demonizzato dalle
solite malelingue dell’ideologia fascista e marxista.
Democrazia e plutocrazia, si divide in due parti: La prima ("Plutocrazia e plutocrazia demagogica"), analizza in tre densi capitoli, storia e interpretazione del concetto: dal pensiero antico al moderno, per poi giungere alla riflessione di Pareto e altri autori, protagonisti “dell’età della catastrofe” (termine, se non erriamo, che Barbieri riprende dallo storico marxista Hobsbawm) e di quella contemporanea. Nell’ultimo capitolo, della prima parte si dà la definizione di plutocrazia demagogica. Barbieri riconduce il concetto di plutocrazia, legandolo alla modernità capitalistica, nell’alveo “dell’uso politico del capitale, per la commistione che genera fra sfera politica e quella dell’economia, per la posizione di privilegio che essa concede all’imprenditoria tariffata e assistita” (p. 75). Insomma, se ci si passa l'espressione, quel territorio, neppure ben delimitato, dell' "arraffa arraffa": le zone grigie tra pubblico e privato, frutto avvelenato dell’economiste miste, dove, confermiamo (stando anche alle non poche ricerche in argomento), dirigenti e amministratori, finanzieri e imprenditori, usano passare dall’uno all’altro settore, stringendo amicizie, rapporti pericolosi e trasversali, sia con le famiglie della politica, sia con quelle dell’economia. Barbieri, giustamente riprende il termine di “crony capitalism:" un capitalismo clientelare (crony) che al rischio e al gusto della creazione economica preferisce lucrare sulle facili concessioni pubbliche o sulle compartecipazioni a peso d'oro.
Democrazia e plutocrazia, si divide in due parti: La prima ("Plutocrazia e plutocrazia demagogica"), analizza in tre densi capitoli, storia e interpretazione del concetto: dal pensiero antico al moderno, per poi giungere alla riflessione di Pareto e altri autori, protagonisti “dell’età della catastrofe” (termine, se non erriamo, che Barbieri riprende dallo storico marxista Hobsbawm) e di quella contemporanea. Nell’ultimo capitolo, della prima parte si dà la definizione di plutocrazia demagogica. Barbieri riconduce il concetto di plutocrazia, legandolo alla modernità capitalistica, nell’alveo “dell’uso politico del capitale, per la commistione che genera fra sfera politica e quella dell’economia, per la posizione di privilegio che essa concede all’imprenditoria tariffata e assistita” (p. 75). Insomma, se ci si passa l'espressione, quel territorio, neppure ben delimitato, dell' "arraffa arraffa": le zone grigie tra pubblico e privato, frutto avvelenato dell’economiste miste, dove, confermiamo (stando anche alle non poche ricerche in argomento), dirigenti e amministratori, finanzieri e imprenditori, usano passare dall’uno all’altro settore, stringendo amicizie, rapporti pericolosi e trasversali, sia con le famiglie della politica, sia con quelle dell’economia. Barbieri, giustamente riprende il termine di “crony capitalism:" un capitalismo clientelare (crony) che al rischio e al gusto della creazione economica preferisce lucrare sulle facili concessioni pubbliche o sulle compartecipazioni a peso d'oro.
Il
lato demagogico della plutocrazia è invece rappresentato, dal risultato
finale. Di che cosa? Dell’interazione tra “avvento
della società di massa”, “sviluppo dei
mezzi di comunicazione” e “ascesa di plutocrati demagogici che mirano
all’acquisizione del consenso servendosi dell’adulazione, della manipolazione e
della corruzione” (Ibid.).
Nella
seconda parte, Barbieri, si
concentra sull’ analisi sociologica, come recita il suo titolo, della "Plutocrazia demagogica nell'età berlusconiana". Nel
primo capitolo, vengono passate in rassegna
le differenti interpretazioni dell'avventurosa vicenda del Cavaliere. Tra le principali
tesi discusse, ricordiamo quelle di Ginsborg e
Diamond e Plattner (patrimonialismo, il primo, democrazia elettorale,
non liberale i secondi), di Sartori e
Viroli (Sultanato e Sistema di corte), populismo post-moderno e populismo
televisivo (Andrews, Taguieff), peronismo soft, democrazia autoritaria (Flores
d’Arcais, Gibelli).
Barbieri,
sulla scia di Pareto, coniugato euristicamente con gli
studi politologici sulle democrazie in transizione (non è una critica,
ma avremmo prestato più attenzione, non
un semplice richiamo, pur ampio, in nota,
all’ottimo lavoro di Orsina), introduce il concetto di democrazia - plutocratica o meno - come un fenomeno in continua trasformazione, anzi “in continua
evoluzione”. Quindi qualcosa,
concettualmente parlando, di
inafferrabile, o se si preferisce di provvisorio: di qui, a suo avviso, l’utilità del concetto di plutocrazia
demagogica, formula giudicata come “la più appropriata” per sintetizzare
“adeguatamente i caratteri delle trasformazioni che stanno emergendo sotto i
nostri occhi” (p. 104).
Nel
secondo capitolo della parte seconda, l’ultimo prima delle conclusioni, Barbieri passa ai riscontri di tipo empirico, analizzando tre casi “cruciali”
(nel senso metodologico della verifica determinante ai fini del giudizio
complessivo) del IV Governo Berlusconi, l'ultimo (2008-2011): il salvataggio
dell’Alitalia, l’estensione dei poteri della Protezione Civile ai grandi eventi, lo Scudo fiscale. In tutti e tre i casi emerge, senza alcuna ombra
dubbio, il micidiale intreccio tra captazione degli interessi clientelari
e presentazione pubblica, a livello retorico, delle misure
come forme di tutela dell’interesse
nazionale, della sicurezza dei cittadini e dell’antifiscalismo. Si fa abilmente leva, crediamo, per
dirla con Pareto, su due residui: persistenza degli aggregati (nazionalismo e
bisogno di protezione) e istinto delle
combinazioni (individualismo, o egoismo,
fiscale).
Ciò
significa che, se esiste un
plutocrate demagogo, esistono anche
cittadini non immuni al fascino della
demagogia. Quindi sotto c’è una questione di sociologia, non tanto delle
comunicazioni di massa e degli oligopoli informativi, quanto di analisi della modalità comportamentali della cultura collettiva. E qui pensiamo all'ambiziosa, per certi aspetti ingenua, ma ineludibile, sociologia della conoscenza sorokiniana. Nonché, a livello, ancora più profondo del mare sociologico, pensiamo agli strumenti, magari per ora imperfetti, di un’antropologia sociale delle emozioni umane.
Un compito certamente difficile, che però crediamo meriti un libro. Un altro libro, ovviamente. Ci auguriamo sia Barbieri a scriverlo.
Carlo Gambescia