La replica di Teodoro Klitsche de la Grange e la controreplica di Carlo Gambescia
Che c’entrano
Marx, Schmitt e Pareto con la crisi
della sinistra?
Caro Carlo, la tua stimolante e dotta risposta
al mio articolo, da te titolato “La crisi della sinistra” mi dà il diritto
“forense” alla replica (*)
Tu inizi col criticare “questa tua idea che la dicotomia destra-sinistra rinvii alla dicotomia borghesi-proletari e che di conseguenza, venuta meno questa sia venuta meno quella, scusami, non sta in piedi” e continui poi col contrapporre la tesi di Pareto (sui residui) per cui “Potranno mai cadere i due principali residui psico-sociologici da lui individuati? L’istinto delle combinazioni e la persistenza degli aggregati? Il primo rimanda alla psicologia e pratica progressiste, il secondo a quelle conservatrici” mentre le analisi di Marx e Schmitt sarebbero “limitate al mondo moderno e comunque ripiegate su una visione della realtà sociale panpolitica (Schmitt) e paneconomica (Marx): da un lato le depoliticizzazioni (Schmitt), dall’altro il conflitto tra borghesi e proletari (Marx). Non scorgono altro. Semplificando, Pareto parla a tutti. Schmitt e Marx al proprio pubblico”.
Tu inizi col criticare “questa tua idea che la dicotomia destra-sinistra rinvii alla dicotomia borghesi-proletari e che di conseguenza, venuta meno questa sia venuta meno quella, scusami, non sta in piedi” e continui poi col contrapporre la tesi di Pareto (sui residui) per cui “Potranno mai cadere i due principali residui psico-sociologici da lui individuati? L’istinto delle combinazioni e la persistenza degli aggregati? Il primo rimanda alla psicologia e pratica progressiste, il secondo a quelle conservatrici” mentre le analisi di Marx e Schmitt sarebbero “limitate al mondo moderno e comunque ripiegate su una visione della realtà sociale panpolitica (Schmitt) e paneconomica (Marx): da un lato le depoliticizzazioni (Schmitt), dall’altro il conflitto tra borghesi e proletari (Marx). Non scorgono altro. Semplificando, Pareto parla a tutti. Schmitt e Marx al proprio pubblico”.
Ma non è così: le analisi di Marx e Schmitt
hanno carattere universale (o almeno pretendono di averlo). La lotta di classe
è secondo Marx, una costante storica;
l’amico-nemico di Schmitt una regolarità
(Miglio) e presupposto (Freund) del
politico, come tu ben sai.
Quello che fa la differenza tra le varie
opposizioni è il contenuto della distinzione: per quella borghese/proletario è
la proprietà dei mezzi di produzione, mentre per le altre ricordate nel Manifesto del partito comunista la
scriminante è la libertà personale (liberi e schiavi), l’appartenenza
gentilizia (patrizi e plebei), il ruolo politico (baroni e servi della gleba) e
così via. Ancor più vario il contenuto della distinzione schmittiana che, non
essendo economicista, è aperta ad ogni dicotomia (a fondamento religioso,
economico, sociale) che sia in grado di contrapporre i gruppi sociali secondo
il “criterio del politico”. Per cui proprio non le vedo le tesi di Schmitt e
Marx limitate alla storia europea moderna. Quanto alla distinzione
destra/sinistra, notoriamente risalente alla divisione tra partiti nel
Parlamento francese all’epoca della restaurazione, tra liberali e ultras – conservatori, mi pare:
a) che sia generica al punto di equivocare sul
dato fondamentale: quel’è il fondamentum
distinctionis della
contrapposizione? Per i liberali e gli ultras era il potere del Parlamento o del Re; per i borghesi e i proletari la proprietà dei mezzi di produzione.
b) Riportarla ai residui paretiani da te citati,
è anch’esso generico e facilmente contestabile. Oggi appartiene alla
“persistenza degli aggregati” sia considerare decisiva per la distinzione suddetta la proprietà dei mezzi di
produzione (lascito del “secolo breve”), sia il querulo richiamo allo Stato
sociale e ancor più l’implementazione di questo con una fiscalità rapace e la
compressione di prestazioni e garanzie giuridiche, ampiamente praticate nella
“seconda repubblica”, sia i peana alla “Costituzione più bella del mondo” che
tale non era, ma, ancor più, è stata ampiamente disapplicata (in peggio) –
dalla “seconda repubblica”, ancor più che dalla prima.
Peraltro, in politica si giudica in base ai
risultati più che all’intenzione. E tutti i dati – da ultimo quelli pubblicati
sul numero dell’ “Espresso” ora in edicola, mostrano che la “seconda
repubblica” ha avuto i peggiori risultati economici tra tutti i paesi dell’UE,
che il rapporto debito pubblico/PIL è aumentato negli ultimi dieci anni, e così
via. Pensare che di fronte a un tale sfascio non vi sia una incapacità di comprensione
(e una responsabilità) della sinistra, magna
pars del potere e del governo, è un giudizio troppo benevolo.
In realtà, ma occorrerebbe molto spazio per
argomentare è che, gli ultimi decenni al criterio borghese proletario se ne sia
sostituito un altro. Proprio come è sotteso al successo populista. Prenderne
atto, e agire di conseguenza, è urgente. Pretendere di valutare la nuova
situazione con lo sviluppo concreto e lo strumentario concettuale del secolo
breve, come fa l’establishment della
sinistra di regime, è imitare donna Prassede, come ho scritto. O, più paretianamente, si può considerare un
caso-limite di persistenza degli aggregati.
Con la concreta stima ed amicizia.
Teodoro Klitsche de la Grange
***
Grazie Teodoro della gentile e, come tuo stile, forbita replica.
Vengo subito al punto, anzi ai punti.
Marx, Schmitt, Pareto (P.S. Su Freund, da te introdotto, va fatto un discorso a parte e in altra sede). È vero che il conflitto di
classe e il conflitto amico-nemico sono
considerati, rispettivamente da Marx e Schmitt, regolarità e costanti, ma
d’altra parte Marx e Schmitt, non le riconducono al concetto sociologico,
realmente universale, di conflitto, che,
come vedremo non sta in piedi da solo. Mi spiego. Marx universalizza la sottospecie (sociologicamente parlando) lotta
di classe. Schmitt, addirittura, parla, in chiave quasi metafisica, del conflitto amico-nemico, come di un criterio assoluto di distinzione, alla stregua del bello, del buono, eccetera, eccetera. Ciò significa, che di conseguenza, Marx e
Schmitt, sminuiscono il concetto
sociologico di cooperazione, che è un’altra
regolarità e costante che affianca quella di conflitto. Per Schmitt e Marx la cooperazione è un sottoprodotto del conflitto, non è data come
esistente in sé. In realtà, ecco la lezione di Pareto fin dai Sistemi Socialisti, la dicotomia principale non è fra le classi e tra l' amico e il nemico, ma tra conflitto e
cooperazione. Non per nulla nel Trattato (ma non solo), Pareto sottolinea la perenne ricerca, volontaria e involontaria da parte degli uomini, di un punto di equilibrio storico tra i due fattori della cooperazione e del conflitto. Insomma, in Pareto, conflitto e cooperazione sussistono alla pari, pur in un quadro storico e sociale, dunque reale, di non sempre facile ricomposizione. In questo senso, rispetto alle sociologie parziali di Schmitt e Marx, Pareto parla al mondo. Inoltre,
l’età antica, per la maggioranza degli storici non ha conosciuto la lotta di classe nel senso
marxiano. Quanto a Schmitt, i suoi "processi di neutralizzazione" rinviano, a grandi linee, al
mondo post-vestfaliano. Di ben altro respiro, come tu ben sai, risulta essere l’approccio
storico e sociologico di Pareto (direttore, rispettatissimo, tra l'altro, delle celebre Biblioteca di Storia Economica della Società Editrice Libraria). Pareto, insisto, che proprio per questo continua a parlare al
mondo e non ai soli devoti della lotta di classe e del conflitto per il conflitto. In questa chiave, come per la filosofia di Nietzsche, la sociologia di Pareto è per tutti e per nessuno. Insomma, per chi voglia porsi in ascolto...
Quanto ai contenuti, di cui tu dibatti, ritengo ben più profondi quelli individuati
da Pareto nella sua classificazione dei residui e delle derivazioni. Vi si
parla di forme di mentalità e modelli di
razionalizzazione, semplificando, di destra e sinistra, che assumono valore trans-storico, cioè che
ritroviamo in tutte le epoche. Pareto
ci spiega, e con una forza argomentativa inaudita, che la persistenza degli
aggregati ( alla base del pensiero e del comportamento di tipo conservatore) e
l’ istinto delle combinazioni ( alla base del pensiero progressista)
praticamente, sono eterni, se preferisci, ripeto, trans-storici. Ne consegue, che destra e sinistra vivono e lottano tuttora insieme a
noi. Altro che le sociologie parziali di Schmitt e Marx, i parlamenti della Restaurazione, i rapporti di
proprietà, eccetera, eccetera. Sul piano sociologico, per usare un termine dell’amico
Fabio Brotto, siamo davanti, caro Teodoro, a una distinzione ontologica, non in senso
metafisico, mi permetto di specificare, ma sociologico.
I numeri riportati dall’ “Espresso” - che nemesi per un collaboratore e lettore del “Borghese”
come tu sei… - sulle performance non entusiasmanti della Seconda
Repubblica sono la classica scoperta dell’acqua calda. In una situazione di semi-guerra civile (belusconiani vs antiberlusconiani ) e di
crisi economica mondiale (nell’ultima parte, dal 2008), in realtà, ci siamo abbastanza difesi, in particolare grazie ai governi di
centrosinistra, soprattutto negli ultimi due anni (2016-2017). In argomento, ti rinvio
all’ottimo articolo dell’economista
Marco Fortis, corredato di cifre e grafici, apparso sul “Foglio” venerdì 31
agosto (**) .
Ciò che
invece dovrebbe preoccuparti, caro Teodoro, non è la sinistra, che pure ha i suoi problemi, che però
consistono, non nel rifiuto del populismo, ma nel rischio di una sua accettazione, elevata al quadrato: una specie terzomondismo pauperista con sessant'anni di ritardo. Dicevo,
ciò che invece dovrebbe preoccuparti sono le future performance della “Terza
Repubblica” pentaleghista (per semplificare). Parlo
di un pittoresco, ma pericoloso, governo di asini ed energumeni, chiaramente orientato a destra, su posizioni (per ora) di fascismo perseguito
con altri mezzi: quelli del populismo. Un
governo pieno zeppo, direi saturo, di persistenza degli aggregati, a cominciare
dal nazionalismo e dal protezionismo economico.
Governo, che tu, liberale a tutto tondo, quindi
“naturalmente” nemico del populismo, continui invece sui Social, se non a difendere, a giustificare, puntando su una euristica debitrice di categorie cognitive
populiste all'insegna del transeunte. Altro che la trans-storicità della
sociologia paretiana.
Con pari stima e
grande amicizia.
Carlo Gambescia