Agli
impiegati pubblici va assicurata una normativa diversa - e migliore - di quelli privati
Elogio della
diversità
di Teodoro
Klitsche de la Grange
Ha destato non poco stupore la sentenza della
Cassazione per cui la disciplina renziana di (soppressione delle garanzie) dei
dipendenti privati non si applica a quelli pubblici. Tale coro ovviamente aveva
per sottofondo il principio di eguaglianza: perché agli impiegati pubblici
dovrebbe essere assicurata una normativa diversa – e migliore – di quelli
privati?
La risposta è semplice: perché il rapporto
d’impiego pubblico è sostanzialmente
diverso da quello privato. Anche se, per lo più, le mansioni sono uguali o
assai simili, a far la differenza è sia il carattere del datore di lavoro, sia
gli interessi e le responsabilità. Mentre infatti per l’impiego privato a
beneficiare della prestazione lavorativa è chi retribuisce e ne sopporta
profitti e costi, in quello pubblico a pagare è Pantalone, mentre ad
amministrare il personale sono politici e (super)burocrati. Per cui il giudizio
sulla “quantità e qualità” del lavoro prestato è se non più equanime almeno più
responsabile: è la responsabilità di
chi decide (e paga) a costituire (gran parte della) diversità tra pubblico e privato e far si
che, in genere, il secondo sia più economico ed efficiente del primo. Si è
tentato di surrogarla, incrementando altri tipi di responsabilità – penale,
contabile, amministrativa – in capo ai “decisori” pubblici; ma con risultati
modesti rispetto alla prospettiva concreta di pagare gli errori di tasca propria.
Al punto che nella Costituzione “più bella del mondo” fu enunciato – come
principio generale, ma solo per lesione dei diritti – l’obbligo del funzionario
di pagare personalmente (art. 28). Ma tale norma costituzionale è stata
sostanzialmente disapplicata sia dal legislatore che in sede giudiziaria.
D’altra parte e per la stessa ragione, l’amministratore,
che non provvede come il privato, in vista di un proprio interesse, ma per
quello di tutti e cioè generale; ma, come scriveva – tra i molti – Marx tende a
confondere (nel migliore dei casi) quello pubblico con quello proprio (o della
casta) per cui occorre porre al riparo gli stessi impiegati da misure che sono
prese per esigenze estranee al bene pubblico, ma conformi a quello di partito, corporazione
e così via.
Per questo la Costituzione dispone
per le PP.AA. i principi di “buon andamento” e “imparzialità” che, se fossero
previsti per privati sarebbero inutili se non bizzarri. Da parecchi decenni è
tuttavia opinione condivisa da molti che, per rendere più efficienti (e meno fancazzisti) gli impiegati pubblici sia
sufficiente mutare il regime giuridico
rendendolo se non uguale molto simile a quello dei dipendenti privati.
Ma il tutto, oltre che con diverse disposizioni
costituzionali, urta ancor di più con la diversità sostanziale del rapporto e del correlato assetto degli interessi;
oltre che con la peculiarità dell’organizzazione pubblica. Per cui la
unitarietà della normazione finisce per confliggere con le diversità
dell’assetto; e quindi per suscitare inconvenienti superiori a quelli che –
forse – potrebbe risolvere.
Si può adattare, al riguardo, quanto scriveva
Engels in relazione all’inversa
pubblicizzazione del privato: che la sostanza dei rapporti prevale: “né la
trasformazione in società anonima, né la trasformazione in proprietà statale,
sopprime il carattere di capitale delle forze produttive”; analogamente, né il
diritto privato, né l’autonomia negoziale sono la bacchetta magica per
trasformare in impresa ciò che, per funzione, mezzi ed appartenenza, è
pubblico.
Teodoro
Klitsche de la Grange
Teodoro
Klitsche de la Grange è avvocato,
giurista, direttore del trimestrale di cultura politica “Behemoth" (
http://www.behemoth.it/ ).
Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il
salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia
della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va
lo Stato? (2009), Funzionarismo (2013).
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