Il libro
della settimana (recensione a cura di Teodoro Klitsche de la Grange): Giancristiano Desiderio, Lo
scandalo Croce. Quel vizio insopportabile della libertà, Liberilibri, Macerata 2016, pp. 104, Euro 15.00.
http://www.liberilibri.it/giancristiano-desiderio/244-lo-scandalo-croce.-quel-vizio-insopportabile-della-liberta.html |
Benedetto Croce è stato l’intellettuale atipico
per eccellenza nell’Italia moderna. In una cultura dominata dal conformismo, dall’ossequio
al potere e dalla caccia alla prebenda – soprattutto nella forma dell’impiego
(pubblico) - don Benedetto è stato l’anti-tipo. Non conformista culturalmente:
non positivista allorquando il positivismo era in auge. Antifascista quando il
fascismo era al governo e anticomunista quando allo stesso andarono i comunisti.
Mai “strutturato” in un impiego, neppure in una cattedra universitaria dove
avrebbe fatto onore (all’Università).
Questa (rara) particolarità di Croce è così
spiegata dall’autore “eccolo qui l’autentico scandalo crociano: la coscienza e
la cultura della libertà. È sempre stata questa concezione libera della cultura
e della vita umana il cuore nel cuore del pensiero di Croce”; per cui “Ciò che
fa la differenza tra Croce e gli altri intellettuali e filosofi e uomini
politici è che Croce non solo teorizzò e predicò la libertà, ma la praticò
anche. È la differenza centrale – lo scandalo – che non si tollerava né a
destra, né a sinistra, né al centro”.
Dopo la morte l’esempio morale e politico di
Croce fu pertanto svalutato artatamente.
Una congrega di intellettuali organici e di conformisti “a stipendio e
con l’inquadramento”, non poteva fare altrimenti. Ma non era facile da
realizzare, data la statura e la considerazione anche internazionale di Croce:
“siccome non si sapeva come prenderla la si buttò in politica o lo si accusò
addirittura di provincialismo (sic!)
o si sostenne che non capì la psicanalisi o che svalutò la sociologia e le
scienze e via di questo passo con panzane che non mette conto di ripetere
perché mi scappa da ridere e piangere insieme”, scrive l’autore. Era ben
compreso dai suoi critici – postumi e irreggimentati – che “lo storicismo
crociano è per sua natura avverso al totalitarismo e non si lascia ricondurre
alle tessere di partito, alle cattedre universitarie, al conformismo e al
servilismo intellettuale”. Anche l’Università non era il luogo del pensiero
libero, a giudizio di Croce: “nell’università viene meno l’elemento del pensare
perché in luogo della vita e dei problemi della storia e dell’esistenza ad essa
legati a doppio filo ci sono la carriera e l’interesse pratico. L’università è
una macchina che sforna professori mentre il pensiero risolve o prova a
risolvere problemi e crea uomini. Il figlio del professore è il saccente,
mentre il figlio del filosofo è l’uomo”.
Come è scritto nel sottotitolo del libro, Croce
aveva “quel vizio insopportabile della libertà”, che è proprio ciò che
conformisti, intellettuali organici, funzionari e carrieristi in genere più
aborriscono (e forse taluno lo invidia,
pure).
Anche – e forse soprattutto – perché intrupparsi
ed aggregarsi (nel senso di gregge) evita di pensare; e di pensare originale.
Cosa difficile, mentre è più alla portata dei mediocri – e più redditizio – copiare e in ogni caso, cantare nel
coro.
La considerazione di Croce nel secondo
dopoguerra è così stata largamente influenzato dal duplice conformismo:
politico e scientifico-culturale, talvolta riferibile ad ambienti diversi, tal
altra allo stesso. In particolare l’atteggiamento del PCI, tutto teso alla
conquista dell’egemonia, fu condizionato da Croce. Anche se spesso fu la stessa
intelligenza politica dei suoi dirigenti (Togliatti in testa) a concepire
tattiche – allo scopo – più di aggiramento che di attacco frontale.
Scrive Desiderio che Spadolini onestamente
parlava di “debito con Croce” della cultura italiana: “Infatti, il “problema
Croce” non è speculativo ma civile e così tutti, non solo i crociani ma anche
gli anti, gli ex e i post-crociani hanno un debito con Croce che seppe
schiarire e custodire la libertà mettendola al centro non solo del pensiero e
dell’azione ma della stessa storia d’Italia”; diversamente da altri filosofi
che nel XX secolo operarono al contrario, Croce distinse filosofi e potere “il
matrimonio tra filosofia e potere non fu solo il tragico errore di Gentile ma
anche di Heidegger che vide in Hitler il Führer che voleva consigliare Stalin,
di Sartre che adulò Castro”. Per cui, come scrive l’autore “È curioso, ma vale
la pena notarlo: proprio Croce che fece di Machiavelli e dell’autonomia della
politica addirittura una «categoria dello spirito» – l’Utile – proprio Croce
non fu mai consigliere del principe e, al contrario, la sua filosofia è tutta
pensata come una critica dei poteri per mettere in risalto la coscienza della
libertà e le singole libertà civili e morali di uomini e donne. Il debito con
Croce è quello di riconoscere che ci ha consegnato una cultura non solo
antifascista ma anche anticomunista ossia antitotalitaria”.
Ossia, per un paese come l’Italia, eretica.
Teodoro Klitsche de la Grange
Teodoro Klitsche
de la Grange è avvocato,
giurista, direttore del trimestrale di cultura politica “Behemoth" (
http://www.behemoth.it/ ). Tra
i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di
Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia
della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va
lo Stato? (2009), Funzionarismo (2013).
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