La soglia della guerra civile
Quando si raggiunge?
I
danni del pacifismo
Pacifismo,
socialismo e umanitarismo non possono capire il concetto di guerra,
figurasi quello di soglia della guerra civile. Per quale ragione? Perché se non comprendono l’idea di guerra esterna, tra
cittadini di stati diversi, ridotta a momento patologico della socialità come possono, i pacifisti di qualsiasi colore, capire quello di guerra
civile interna? Tra cittadini dello stesso stato, di regola liquidata come una specie patologia collettiva al quadrato?
Ciò
significa che, nei casi pratici, le guerre esterne sono considerate come
operazioni di polizia dai risvolti giudiziari e psichiatrici, mentre le guerre
interne, nel manuale del buon pacifista, non sono neppure indicizzate. Siamo dinanzi a una visione dell’uomo come essere plasmabile grazie alla quasi miracolosa e crescente modificazione delle
sue condizioni materiali e culturali: istruzione, educazione, lavoro sarebbero le tre chiavi per costruire un mondo privo di guerre interne ed
esterne. Il possesso di una cultura e di un
reddito preserverebbero il mondo dai conflitti. Che ci vuole?
Le
costanti del politico
Inutile
dire, come tale posizione sia estranea
alla realtà politica, contraddistinta dalle costanti del politico, secondo le quali - regolarità numero 1 - è il nemico a indicarti come tale. E per
una serie di ragioni materiali e immateriali, sempre risorgenti, dal momento
che le risorse sono scarse e la
socialità umana conflittuale. Due dati immodificabili. E' così difficile capirlo? Sembra di sì, perché pacifisti, socialisti, umanitaristi invece li ritengono - i dati - manipolabili a loro piacimento.
Il
che però spiega perché l’Occidente irenista - "buonista", per dirla giornalisticamente - finora non sia riuscito a difendersi
adeguatamente dall’attacco jihadista. E soprattutto perché in Europa si continui
a ignorare il rischio di una guerra civile tra fanatici religiosi dei due
schieramenti. Si spera nelle operazioni di polizia, nelle "conquiste" della psichiatria, della pedagogia eccetera, e nel fatto che prima o poi
l’avversario si stanchi e finalmente capisca la nostra buona disposizione alla pace. Insomma, e vissero tutti felici e contenti.
La
soglia della guerra civile
Esiste
una soglia sociologica della guerra civile? Sul piano quantitativo non esiste una
soglia precisa. Per fare alcuni esempi novecenteschi (Spagna 1936, Russia
1917), la soglia era nell’ordine delle
decine di omicidi politici giornalieri,
affiancati dal collasso e dalla divisione in opposte fazioni di polizia ed esercito; dalla diffusione delle armi
tra i civili (mitragliatrici, bombe a mano, fucili, pistole, esplosivi); dalla
violenza delle campagne giornalistiche, i cui titoli evocavano l’eliminazione
fisica di questo o quell’avversario politico.
Probabilmente,
in Francia (e in Europa), nonostante al presenza di numerose comunità
islamiche e di gruppi razzisti, la
soglia non è stata ancora raggiunta. Una parte è in armi, ma limitatamente ("sorvolando" sulla ferocia degli atti terroristici compiuti...). E l'altra, parliamo sempre dei civili, per reazione, non si è ancora armata. Per ora lo stato, seppure imperfettamente, veglia. Pertanto, si
potrebbe ancora intervenire, per evitare che la situazione degeneri, con
drastiche misure repressive, dove e quando necessario. Come abbiamo scritto ieri, suggeriamo il passaggio dei poteri alle autorità
militari, costringendo - e questo sarebbe uno degli effetti di ricaduta - le varie correnti (moderate ed estremiste), interne alle
comunità islamiche, a uscire allo scoperto. Come dire, o con noi o contro di noi...
Il
mito della prevenzione culturale ed economica
Ciò
che va assolutamente evitato è lo sperare che le cose si risolvano da sole persuadendo il nemico jihadista delle
nostre buone intenzioni. E soprattutto confidare nella "socialdemocratizzazione" del problema, ossia nel fatto che
la radicalizzazione possa essere contrastata attraverso crescenti investimenti culturali ed economici.
Ora,
per il primo punto, è fatto acclarato, che il nemico ci odia solo perché esistiamo. Quindi
possiamo porgere l’altra guancia quanto vogliamo, ma il nemico jihadista
continuerà a colpire duro e seminare terrore, soprattutto nel breve periodo.
Quanto
al secondo punto, ammesso e non concesso che la vulgata socialdemocratica abbia ragione, gli investimenti
educativi e lavorativi richiedono cifre colossali, subito, mentre gli eventuali esiti degli investimenti economico-sociali andrebbero a spalmarsi sul lungo periodo, se non lunghissimo. Perciò
esiste una frattura temporale che non può essere ignorata tra la necessità di reprimere militarmente (oggi) il terrorismo e la prevenzione economico-sociale (domani).
Un'ultima notazione. L’opera di
prevenzione, comunque sia, influirebbe
sulle condizioni di partenza, come del resto già avviene, e non su quelle di arrivo. Ciò significa
che una minoranza di scontenti e falliti capace di
arruolare deboli e invidiosi in nome di
una ideologia anti-sistemica ( di tipo religioso o altro) esisterà sempre.
Compito del buon governante, come afferma Jerónimo Molina, è quello di "immaginare il disastro" e contrastare, quando si presenta, la pericolosità dei politicamente devianti, evitando soprattutto che il fuoco possa estendersi ad altre frange sociali e infine all’intera società. Parliamo di un incendio, dalle proporzioni colossali, che si chiama guerra civile.
Carlo Gambescia
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