mercoledì 27 luglio 2016

La soglia della guerra civile
Quando si raggiunge?



I danni del pacifismo
Pacifismo, socialismo e umanitarismo non possono capire il concetto di guerra, figurasi quello di soglia della guerra civile.  Per quale ragione?  Perché se  non comprendono l’idea di guerra esterna, tra cittadini di stati diversi, ridotta a momento patologico della socialità  come possono, i pacifisti  di qualsiasi colore,  capire   quello  di  guerra civile  interna?   Tra cittadini dello stesso stato,  di regola liquidata come  una specie  patologia collettiva al quadrato?
Ciò significa che, nei casi pratici, le guerre esterne sono considerate come operazioni di polizia dai risvolti giudiziari e psichiatrici, mentre le guerre interne, nel manuale del buon pacifista, non sono neppure indicizzate.  Siamo dinanzi a una visione dell’uomo come essere plasmabile  grazie alla quasi miracolosa e crescente modificazione delle sue condizioni materiali e culturali: istruzione, educazione, lavoro sarebbero le tre  chiavi per costruire  un mondo privo di guerre interne ed esterne.  Il possesso di una   cultura  e di  un reddito  preserverebbero il mondo dai conflitti.  Che ci vuole?  

Le costanti del politico
Inutile dire, come tale  posizione sia estranea alla realtà politica, contraddistinta dalle costanti del politico,  secondo le quali   -  regolarità numero 1 -    è il nemico a indicarti come tale. E  per una serie di ragioni materiali e immateriali, sempre risorgenti, dal momento che le risorse  sono scarse e la socialità umana conflittuale.  Due dati immodificabili. E' così difficile capirlo? Sembra di sì,  perché pacifisti,  socialisti, umanitaristi invece li ritengono - i dati -  manipolabili a loro piacimento.
Il che però  spiega perché  l’Occidente irenista -  "buonista", per dirla giornalisticamente -    finora non sia riuscito a difendersi adeguatamente dall’attacco jihadista.  E soprattutto perché in Europa si continui a ignorare il rischio di una guerra civile tra fanatici religiosi dei due schieramenti. Si spera nelle operazioni di polizia, nelle "conquiste" della psichiatria, della pedagogia eccetera,  e nel fatto che prima o poi l’avversario si stanchi e finalmente capisca la nostra buona disposizione alla pace. Insomma, e vissero tutti felici e contenti.

La soglia della guerra civile
Esiste una soglia sociologica della guerra civile? Sul piano quantitativo non esiste una soglia precisa. Per fare alcuni esempi novecenteschi (Spagna 1936, Russia 1917), la soglia era  nell’ordine delle decine di omicidi politici  giornalieri, affiancati dal collasso e dalla  divisione in opposte  fazioni  di polizia ed esercito; dalla diffusione delle armi tra i civili (mitragliatrici, bombe a mano, fucili, pistole, esplosivi);  dalla violenza delle campagne giornalistiche, i cui titoli evocavano l’eliminazione fisica di questo o quell’avversario politico.
Probabilmente, in Francia (e in Europa), nonostante al presenza di numerose  comunità  islamiche e di gruppi razzisti,  la soglia non è stata ancora raggiunta.  Una parte è in armi, ma limitatamente ("sorvolando" sulla ferocia degli atti terroristici compiuti...).  E l'altra, parliamo sempre dei civili, per reazione, non si è ancora armata. Per ora lo  stato, seppure imperfettamente, veglia.  Pertanto,  si potrebbe  ancora intervenire, per evitare che la situazione degeneri, con drastiche misure repressive, dove e quando necessario. Come abbiamo scritto ieri, suggeriamo  il passaggio dei poteri alle autorità militari, costringendo - e questo sarebbe uno degli effetti di ricaduta - le varie correnti (moderate ed estremiste), interne alle comunità islamiche,  a uscire allo scoperto. Come dire, o con noi o contro di noi...

Il mito della prevenzione culturale ed economica
Ciò che va assolutamente evitato è lo sperare che le cose si risolvano da sole  persuadendo  il nemico jihadista delle nostre buone intenzioni. E soprattutto confidare nella "socialdemocratizzazione" del problema,  ossia  nel fatto  che la radicalizzazione possa essere contrastata  attraverso crescenti investimenti culturali ed economici.
Ora, per il primo punto, è fatto acclarato,  che il nemico ci odia solo perché esistiamo. Quindi possiamo porgere l’altra guancia quanto vogliamo, ma il nemico jihadista continuerà a colpire duro e seminare terrore, soprattutto nel breve periodo.  
Quanto al secondo punto, ammesso e non concesso che la vulgata socialdemocratica abbia ragione, gli investimenti educativi e lavorativi richiedono cifre colossali, subito, mentre  gli eventuali esiti degli investimenti economico-sociali  andrebbero a spalmarsi  sul lungo periodo, se non lunghissimo. Perciò esiste una frattura temporale che non può essere ignorata  tra la necessità di reprimere militarmente (oggi) il terrorismo  e la prevenzione  economico-sociale (domani). 
Un'ultima  notazione.  L’opera di prevenzione, comunque sia,  influirebbe sulle condizioni di partenza, come del resto già avviene,  e non su quelle di arrivo.  Ciò  significa che una minoranza di scontenti e falliti  capace di arruolare deboli e invidiosi  in nome di una ideologia anti-sistemica ( di tipo religioso o altro) esisterà sempre.  
Compito del buon governante, come afferma Jerónimo Molina,   è quello di "immaginare il disastro" e contrastare, quando si presenta,  la pericolosità dei politicamente devianti, evitando soprattutto che il fuoco possa estendersi ad altre frange sociali  e infine all’intera società.  Parliamo di un incendio, dalle proporzioni colossali,  che si chiama guerra civile.

Carlo Gambescia


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