Stati Uniti, Europa, Italia, razzismo, immigrati e altre cose…
Grandi valori, risorse scarse
Il
colore della pelle divide? In sé, no. E
per quale ragione? Perché è vero
che individua e differenzia ( i "bianchi",
i "neri", i "gialli", i "rossi"), ma è altrettanto vero che al
tempo stesso rinvia a un’identità/ dis-identità superficiali. Di fondo, l’individuazione del colore e di
certi tratti fisici, in sé non
significa nulla, può piacere o meno,
oppure lasciare indifferenti. Nell'immediato, ovviamente (più avanti, spiegheremo perché).
Gli
antropologi insegnano che le ragioni dell’aggressività tra gruppi e individui non sono legate al colore della pelle ma alla
contesa di risorse materiali, contesa che però implica nei suoi sviluppi temporali l'inevitabile attribuzione di un valore simbolico al
colore della pelle. Pertanto, per ipotesi, in un mondo ideale privo di contrasti economici il colore della pelle non avrebbe alcun peso. In un mondo ideale, ovviamente...
Il
che però spiega anche un’altra cosa, sociologica. La
simbolizzazione del colore della pelle assume nel tempo, forza propria. Il dato "colore della pelle", da immediato, si fa strutturale. Ecco allora, dopo lo
specifico antropologico (il conflitto per le risorse), lo specifico sociologico
(la rappresentazione sociale che assume forza propria, istituzionale, travalicando e trascinando, volenti o nolenti, gli
uomini). Ciò significa che, sempre per ipotesi, in un mondo ideale privo di processi simbolici, il
colore della pelle non avrebbe alcun peso. In un mondo ideale, ovviamente...
Pertanto gli utopisti sono avvisati ( i signori che nel "per ipotesi" credono sul serio...): dal momento che viviamo su questa terra non si può prescindere dai processi appena ricordati. Riassumendo: 1) l’uomo è al tempo stesso un animale economico (dato antropologico) e simbolico (dato sociologico) che 2) inevitabilmente trasforma - ecco la politica basata sul conflitto amico-nemico (dato politologico) - le risorse in simboli e viceversa. Con le conseguenze razziste, come dire, del caso. Insomma, piaccia o meno le cose, sociologicamente parlando, stanno così.
Che
fare allora? Si pensi, ad esempio, a quel che sta succedendo negli Usa e a quel
che è accaduto a Fermo. Che fare,
dicevamo? Si dovrebbe lavorare sul piano
delle risorse e su quello dei simboli:
redistribuendo risorse e provando a correggere la
mentalità. Il problema però concerne la sfasatura materiale (le risorse economiche sono
limitate e hanno un prezzo) e simbolica (la rappresentazione razzista è sedimentata): problema che
rende complicato modificare lo stato delle cose. Inoltre, aspetto che non va
dimenticato, si tratta di processi che provocano - anche e forse soprattutto quando si interviene per modificarli - polarizzazioni sociali e forme di autoritarismo, se non totalitarismo, strisciante, di regola presentato a fin di bene, in termini di illuminismo applicato. Ci spieghiamo meglio.
Negli
Stati Uniti, ad esempio, lo sforzo sul piano delle risorse materiali e
simboliche è tuttora notevole: il potere federale si è
impegnato in prima persona con
fondi, strutture assistenziali, quote
per l’inserimento, eccetera, eppure ciclicamente la violenza
interrazziale si polarizza, torna ad esplodere e il welfare si trasforma in warfare con
inquietanti risvolti autoritari. E l’
Italia, pur se in microscala (per ora),
sembra avviarsi sulla stessa strada (per così dire, "stop and go"). E disponendo di risorse decisamente inferiori.
Che
fare? Intanto, sul piano delle rappresentazioni sociali - stiamo parlando dell’Italia,
ovviamente - andrebbe contrastata la
sedimentazione, già in atto (il passaggio dall' immediatezza alla strutturazione), di rappresentazioni
sociali razziste. Puntando sulla repressione, dove necessario, e sulla
prevenzione (soprattutto scolastica e sociale). Tenendo però presente che ai processi correttivi della mentalità vanno affiancati
meccanismi redistributivi. In entrambi i casi occorrono risorse, che allo stato attuale non ci sono. Il che,
inevitabilmente, potrebbe innescare processi di polarizzazione sociale.
Tradotto: guerra civile, semplificando, tra "bianchi poveri" e "neri poveri". Oltre che estendere pericolosamente - quando è in corso una "guerra" il potere politico tende a concentarsi-dilatarsi sulla società - il ruolo dei poteri pubblici sia sul piano del pronto soccorso sociale, sia su quello della repressione manu militari.
C’è
chi sostiene che andrebbero subito controllati i flussi migratori,
clandestini o meno, per ridurre la pressione economica e simbolica sulla
società italiana. Il che non è sbagliato. Ma come? Se il fiore all’occhiello
costituzionale dell’ Italia (e dell’
Europa) è l’accoglienza verso i diseredati della terra...
Concludendo, grandi valori, risorse scarse. Il rischio di finire male, esiste. E come.
Concludendo, grandi valori, risorse scarse. Il rischio di finire male, esiste. E come.
Carlo Gambescia
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