domenica 10 luglio 2016

Stati Uniti, Europa, Italia,  razzismo, immigrati  e altre cose…
Grandi valori, risorse scarse



Il colore della pelle divide? In sé, no.  E per quale ragione?  Perché è vero che   individua e differenzia ( i "bianchi", i "neri", i "gialli", i "rossi"),  ma è altrettanto vero  che  al tempo stesso  rinvia a un’identità/ dis-identità  superficiali.  Di fondo, l’individuazione del colore e di certi tratti fisici,  in sé non significa nulla,  può piacere o meno, oppure lasciare indifferenti. Nell'immediato, ovviamente (più avanti, spiegheremo perché).
Gli antropologi insegnano che le ragioni dell’aggressività  tra gruppi e individui  non sono legate al colore della pelle ma alla contesa di risorse materiali, contesa che però implica  nei suoi sviluppi temporali l'inevitabile attribuzione di un valore simbolico al colore della pelle. Pertanto, per ipotesi, in un mondo ideale  privo di  contrasti economici  il colore della pelle non avrebbe alcun peso.  In un mondo ideale, ovviamente...  
Il che però spiega  anche un’altra cosa, sociologica.  La simbolizzazione  del colore della pelle assume nel tempo, forza propria. Il dato "colore della pelle",  da immediato, si fa strutturale.  Ecco allora, dopo lo specifico antropologico (il conflitto per le risorse), lo specifico sociologico (la rappresentazione sociale che assume  forza propria, istituzionale,  travalicando e trascinando, volenti o nolenti,  gli uomini).  Ciò significa che, sempre per ipotesi, in un mondo ideale privo di processi simbolici, il colore della pelle non avrebbe alcun peso. In un mondo ideale, ovviamente...
Pertanto gli utopisti sono avvisati ( i signori che nel "per ipotesi"  credono sul serio...):  dal momento che viviamo su questa terra  non si può prescindere dai processi appena ricordati.  Riassumendo:  1) l’uomo è al tempo stesso un animale economico (dato antropologico) e simbolico (dato sociologico) che 2) inevitabilmente  trasforma - ecco la politica basata sul conflitto  amico-nemico (dato politologico) - le risorse in simboli e viceversa.  Con le conseguenze razziste, come dire,  del caso.  Insomma, piaccia o meno le cose, sociologicamente parlando, stanno così. 
Che fare allora? Si pensi, ad esempio, a quel che sta succedendo negli Usa e a quel che è accaduto a Fermo.  Che fare, dicevamo?  Si dovrebbe lavorare sul piano delle risorse  e su quello dei simboli: redistribuendo risorse  e provando a correggere la mentalità.  Il problema però concerne la sfasatura materiale (le risorse economiche sono limitate e hanno un prezzo) e simbolica (la rappresentazione razzista è  sedimentata): problema che rende complicato modificare lo stato delle cose. Inoltre, aspetto che non va dimenticato, si tratta di processi che provocano - anche e forse soprattutto quando si interviene per modificarli -  polarizzazioni sociali e forme di autoritarismo, se non totalitarismo, strisciante, di regola  presentato  a fin di bene, in termini di illuminismo applicato. Ci spieghiamo meglio.
Negli Stati Uniti, ad esempio, lo sforzo sul piano delle risorse materiali e simboliche  è  tuttora notevole:  il potere federale  si è   impegnato  in prima persona con fondi, strutture assistenziali, quote  per l’inserimento, eccetera, eppure ciclicamente la violenza  interrazziale si polarizza, torna ad esplodere e  il welfare si trasforma in warfare con inquietanti risvolti autoritari.   E l’ Italia, pur se in microscala (per ora),  sembra avviarsi sulla stessa strada (per così dire,  "stop and go"). E disponendo di risorse decisamente inferiori.
Che fare? Intanto, sul piano delle rappresentazioni sociali - stiamo parlando dell’Italia, ovviamente -  andrebbe contrastata la sedimentazione, già in atto (il passaggio dall' immediatezza alla strutturazione), di rappresentazioni sociali razziste. Puntando sulla repressione, dove necessario, e sulla prevenzione (soprattutto scolastica e sociale). Tenendo però  presente che ai processi  correttivi della mentalità vanno affiancati meccanismi redistributivi.  In entrambi  i casi occorrono risorse, che allo stato attuale non ci sono. Il che, inevitabilmente, potrebbe innescare processi di polarizzazione sociale. Tradotto: guerra civile, semplificando,  tra "bianchi poveri" e "neri poveri". Oltre che estendere pericolosamente - quando è in corso  una "guerra"  il potere politico tende a concentarsi-dilatarsi sulla società   -   il ruolo dei poteri pubblici sia sul piano del pronto soccorso sociale,  sia su quello della repressione manu militari.
C’è chi sostiene  che  andrebbero  subito controllati i flussi migratori, clandestini o meno, per ridurre la pressione economica e simbolica sulla società italiana. Il che non è sbagliato. Ma come? Se il fiore all’occhiello costituzionale  dell’ Italia (e dell’ Europa) è l’accoglienza verso i diseredati  della terra...
Concludendo, grandi valori,  risorse scarse.  Il rischio di finire  male,   esiste. E come.    

Carlo Gambescia      

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