martedì 12 luglio 2016

                                              Il  M5S e il reclutamento e la selezione delle élites 
Di virtuismo (e senza una classe politica) si può morire



I pentastellati sono in difficoltà.  Hanno un problema non facilmente superabile. Quale? Di selezione e reclutamento della classe politica, in particolare degli amministratori locali. Si pensi a Roma, che rappresenta la realtà, anche simbolicamente, più importante: per  la sindaca  Raggi, e non solo per questioni interne, non è stato affatto semplice  mettere insieme una  giunta comunale di qualità: quella presentata, come dire, è così così.  Infatti, se si scorrono le biografie si scopre che profilo  degli assessori non è molto elevato: siamo davanti a  figure, con titoli accademici per carità,  ma di secondo piano (*).  Prive perciò di quei saldi legami istituzionali, in alto,  verso l’establishment (imprese, banche, sindacati, chiesa, amministrazione dello stato, magistratura, polizia, forze armate).  Ciò significa che sindaca e giunta, piaccia o meno,  solo per farsi prendere sul serio  dovranno impegnarsi più dei predecessori. E non è detto che vi riescano.  Di più, questa marginalità, implica,  in basso, di non  poter  contare su  una rete di persone (dallo staff degli assessori ai  collaboratori esterni fino ai funzionari  comunali), a sua volta in grado, sempre per prestigio e preparazione, di implementare, sostenere, integrare, veicolare verso l’indotto politico-amministrativo, le decisioni dell’amministrazione comunale.  
Il reclutamento del personale politico -  questione sociologica per eccellenza -  non è uno scherzo.  Si fa presto a dire “ cambieremo tutto”.  La politica, anzi la policy,  ha un lato tecnico-organizzativo che richiede, diremmo impone,  prestigio, relazioni e competenze.  Sicché  tutto diviene più difficile, quando nei criteri di scelta degli attori politici entrano in conflitto fedeltà politica e capacità relazionali e  organizzative.  Insomma,  quando si deve scegliere chi mettere dove e perché. Soprattutto, come nel caso del M5S, dove  la fedeltà politica si nutre  di un controproducente virtuismo, di regola, fonte del peggiore immobilismo decisionale.
Ci spieghiamo meglio: si può essere fedeli politicamente,  ma privi di  competenze e relazioni, insomma, politicamente inutili se non pericolosi.  Pertanto  una élite  politica non può selezionare e reclutare  il suo personale  solo sulle basi della fedeltà  e  per giunta a un’ ideologia antipolitica (il virtuismo di cui sopra). E', una battuta, ma fino a un certo punto:   perfino Lenin - e in Russia c'era stata una rivoluzione con guerra civile al seguito -  dovette ricorrere per mandare avanti  l'economia ai tecnici borghesi di cui non si fidava. Tecnici, per così dire,  altrettanto necessari,  anzi molto di più,  in una democrazia complessa, come quella odierna, dove si riceve un  mandato elettorale revocabile.     
Tutto ciò, per il M5S, la cui leadership, ripetiamo,  si basa  su rigidi criteri di  fedeltà politica  a quella che Croce, definì giustamente, l’utopia degli imbecilli (il moralismo politico), può trasformarsi  in boomerang. Per ora sul piano locale. Figurarsi,  domani,  su quello nazionale…  
La quantità dei consensi ricevuti e il repentino passaggio dall’opposizione al governo, possono rappresentare, sotto il lato organizzativo, un ostacolo insormontabile alla cosiddetta transizione, attiva e positiva,  dalla politics alla policy, ossia, semplificando,  dal dire al fare.  
Si pensi al mix esplosivo costituito dalle spinte dal basso ( dell’elettore conquistato dalle “grandi promesse di cambiamento”  che quindi  “vuole”  tutto e subito ) e dalle spinte dall’alto ( da un lato opposizioni ed establishment inevitabilmente  ostili, dall’altro una élite incapace di scegliere tra fedeltà e competenza, o comunque, considerata la tempistica, piuttosto veloce,  di ripiegare sulla fedeltà).
Il M5S, insomma, rischia di restare vittima del proprio successo, nonché,  a voler essere rigorosi,  della sua stessa ideologia.

Carlo Gambescia


2 commenti:

  1. Di Maio, untuosetto leader, ha fatto già il giro delle sette chiese, quelle che contano oggi, come trilateral e city (minuscola per disprezzo)per accreditarsi. O i pentastellati si prostrano al sistema o il sistema li spelliccia. Il dilettantismo alla fine non paga. Il potere logora chi crede di averlo per vittoria elettorale (vedi Berlusconi) per scoprire poi di non contare nulla. Giustissime le tue considerazioni. Ottimo pezzo.

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