sabato 16 luglio 2016

Il tentativo di golpe in Turchia e il  ruolo dei militari in Occidente
Ci salveranno  i pretoriani?



Il golpe in Turchia è fallito. Peccato. Non tutti infatti sanno che l’esercito turco, sia sul piano costituzionale (ovviamente, fino alla sciagurata riforma di Erdoğan), sia su quello politico e   sociale   rappresenta, anche simbolicamente, la difesa  della modernizzazione e laicizzazione della Turchia: i  due pilastri ideali  di una  tradizione rivoluzionaria che risale  a  Mustafa Kemal Atatürk.  Insomma, i generali turchi (non tutti, naturalmente) continuano a  guardare a Occidente, mentre Erdoğan non si sa bene dove.
Come si usa dire,  le cancellerie occidentali hanno condannato il tentativo golpe, con tedeschi e americani in prima fila.  Probabilmente,  se fosse riuscito, l’atteggiamento sarebbe stato  diverso (soprattutto degli statunitensi). O comunque avremmo avuto una fase di attesa diplomatica.  Benché, oggi,  - e  questo è il punto debole delle democrazie occidentali, da sottolineare -   nel mondo occidentale i pretoriani non siano  proprio ben visti.  In Occidente,  esiste una preferenza per la pace e per la contrattazione politica a ogni costo,  inaugurata, per ovvie ragioni,  durante  la Guerra Fredda e consolidatasi, senza alcuna vera necessità,  dopo  la caduta dell’Unione Sovietica. Alla forza, come regolatrice degli interessi,  per dirla con Kissinger, si preferisce un approccio terapeutico-culturale fondato  sulle buone intenzioni proprie e  del nemico.Ridicolo.   
Si tratta di una scelta  che  ha penalizzato, al di là della qualità e quantità delle dotazioni, le forze armate,  relegandole nell’ angolo.  Per giunta,  ogni volta che  i militari conquistavano  il potere,  in questo o quel paese, l’Occidente storceva  il naso, anche a costo di  prescindere dai propri  interessi (nel senso di un golpe filo-occidentale). Un atteggiamento -  non privo di accordi sottobanco, sempre negati ufficialmente - che rinvia esemplarmente  a  quello tenuto  dall’Occidente  negli  ultimi anni del regime franchista e verso la dittatura di Pinochet, addirittura demonizzata, nonché di  altri generali e colonnelli sparsi qui e là nel mondo.    
Così sul piano  esterno. Su quello interno, sempre in Occidente,   i pretoriani, per parafrasare  Samuel Finer, autore di un classico studio sul ruolo dei militari in politica,  sono ormai  reputati alla stregua di modestissimi  vigili urbani,  chiamati di tanto in tanto a regolare qualche improvviso ingorgo. Se si potesse tracciare il grafico dell’onore militare - e del conseguente  status sociale delle forze armate  nella società occidentale -  il risultato sarebbe una curva a campana, che dopo aver  toccato  il picco nel 1945 scende in modo inarrestabile fino a toccare l’asse delle ascisse, per un valore pari a zero.
Come ogni fenomeno sociale, soggetto a  numerose variabili esterne,  anche le istituzioni militari, quanto a importanza e ruolo, hanno un andamento ciclico. Di regola, quando l’orizzonte della politica sta per trasformarsi in polemico, le azioni  dei militari ricominciano a salire.  Benché -  fattore  non secondario -  il punto di partenza non sia mai lo stesso,  perché  correlato al livello di inclinazione verso il basso della curva discendente.   In Occidente, di questi tempi, i militari stanno risalendo alcune posizioni.  Ma il grado  di demoralizzazione (e conseguente sfiducia sociale)  raggiunto in precedenza -  si pensi all’Italia, ad esempio - è talmente basso, da mettere in dubbio  la qualità stessa dell’intervento.   Dal momento che la questione militare  non può non risentire  della sua parziale riduzione a  pura questione di ammodernamento tecnologico (e in Italia, a dire il vero,  neppure questo, perché  la  modernizzazione è mancata).  
Detto altrimenti:  professionalismo a gogò, frutto di una vulgata economico-democraticista,  e  pacifismo socialistoide diffuso collettivamente a piene mani, hanno totalmente  debellicizzato la popolazione e  minato  il morale delle  stesse forze armate,  le quali ormai  ragionano  e si comportano come una forza di polizia municipale. 
Chi scrive, non è assolutamente un militarista.  Ama la pace, ma sicuramente   non è   un pacifista.  I Romani dicevano si vis pacem,  para bellum.  Monito importantissimo, ma completamente dimenticato dalle democrazie occidentali, soprattutto dopo la caduta dell’Unione Sovietica,  in nome di una irrealistica visione della politica internazionale.  Certo, siamo intervenuti qui e là, in particolare gli Stati Uniti,  ma, come si dice, tirati per i capelli e con il desiderio di tornare subito casa e dimenticare tutto.   
Ora però la situazione sta precipitando. E inevitabilmente si tornerà  a chiedere aiuto ai pretoriani.  Riusciranno a salvarci? 
Carlo  Gambescia                                  

Nessun commento:

Posta un commento