giovedì 30 giugno 2016

Dopo la strage di Istanbul
L’aria degli aeroporti rende liberi ( ma nessuno   sa  più perché...)



Ci si chiederà, dopo  la strage di Istanbul, perché  gli aeroporti?  Al di là delle questioni tecniche (di tecnica terroristica), l’aeroporto, dal più piccolo al più grande,   rappresenta il viaggio nella  versione più rapida, scintillante,  cromaticamente moderna,  individualistica, quale scelta di libertà.  Si potrebbe dire, che l’aria dell’aeroporto rende liberi, come si diceva un tempo delle allegre  città  che faticosamente si ergevano, attraverso fiere e mercati, contro il fosco  castello feudale.  Pertanto, colpendo un aeroporto si colpisce il simbolo, forse più rappresentativo e concreto della libertà e del progresso occidentali.
E noi siano consapevoli di tutto questo?  E soprattutto siamo coscienti del fatto che il nemico  ci odia, perché, in ultima istanza, alla mobilità e all’apertura al mondo, privilegia (e ci oppone)  fissità e chiusura? Insomma, alle luci della città, la jihad continua a preferire  le ombre del castello... Ecco l'amara verità.
Si dirà,  ma allora, se siamo così aperti, moderni e  liberali, perché non apriamo le nostre frontiere agli immigrati ? Non è cultura del viaggio, anche quella ?  Rispondiamo subito.  Innanzitutto, anche negli aeroporti, simbolicamente parlando, si sono sempre fatti controlli e implementate misure di sicurezza.  Inoltre, l’Europa del dopoguerra  non mai  hai negato asilo politico a nessuno. E ha accolto e accoglie quante più persone  ha potuto e può.  Infine, a proposito di  coloro che si battono per la chiusura  ermetica della frontiere,  si tratta di una posizione intransigente sposata dai settori politicamente più retrivi della nostra società: il contraltare collettivo, psicologico e culturale, quanto a fissità, di chi si fa esplodere negli aeroporti, seminando il terrore.
Come difendere allora la  cultura (liberale) del viaggio?  C’è chi sostiene che dovremmo far finta di nulla.  Insomma, di  continuare a viaggiare come nulla fosse. In verità  è  ciò che  continua ad accadere, nonostante qualche piccola oscillazione dopo ogni attentato.  Il che però paradossalmente incoraggia l’inazione militare.  Solo se gli attentati dovessero ripetersi a scadenza sempre più ravvicinata, mettendo in crisi il consenso e il business,  allora forse i governi  interverrebbero con la decisione necessaria. Altra amara verità.     
Il che deve  far riflettere -  lezione di metodo n. 1 -  sul reale  rapporto  sociologico tra i  valori (la cultura liberale del viaggio) e le questioni elettorali ed economiche (consenso e business), ossia sulla reale influenza dei primi (i valori) sulle seconde ( gli interessi concreti). Influenza, che per ora non c’è.  Ciò significa che di regola -  lezione di metodo n. 2 -    ci si muove ( e nel caso ci si muoverà)  solo quando gli interessi sono (e saranno)  seriamente minacciati.   
In modo paradossale,  il valore simbolico della cultura liberale del viaggio è perfettamente compreso (e perciò disprezzato) proprio dai nostri nemici, che temendola si impongono di distruggerla nel nome di una cultura dell’immobilismo.   Noi invece, diamo tutto  per scontato, al punto di aver dimenticato l’immenso valore simbolico  di salire  su un aeroplano… Sicché in Occidente  si continua a viaggiare, ma, come dire, in chiave inerziale.  Si è mobili, come prima, forse più di prima,  ma senza capire perché e dove stiamo andando.    

Carlo Gambescia            
               

Nessun commento:

Posta un commento