Gli italiani e il terrorismo jihadista, un recente sondaggio
La propensione alla normalità, basterà?
Secondo
un recente sondaggio (*) per il 66,5 % degli intervistati l’Italia è
a medio rischio attentati, mentre per il 27,2 % ad alto (solo per il 6,3 % invece il rischio invece è zero). Il 54,3 ha paura di attentati, il 45,7% no. Sulle
motivazioni del terrorismo, il 32 % degli intervistati individua la causa
nell’intervento dei paesi occidentali in Siria e Iraq, il 30,3 % ritiene invece
che le cause siano religiose, per il 23,6 % i terroristi sono semplicemente dei
folli, per il 10,2 % la mancanza di integrazione, per il 3,9 % la povertà. Infine, nonostante il pericolo di attentati l’82,9
% degli intervistati non muterà il piano vacanze.
Come
interpretare questi dati? Il sociologo dispone di una scala delle reazioni comportamentali ai pericoli sociali. Vediamola insieme.
Fase 1: si tende a rimuovere il pericolo (“Inutile allarmismo”), gli attori sociali, come è noto in letteratura, sono "affamati" di normalità; Fase 2: prevale la logica dei grandi numeri ( “Massì, bastano maggiori misure di prevenzione e poi non è detto che tocchi a me”); Fase 3: ci si comincia a dividere in “fatalisti” (“Accada quel che deve accadere”) e timorosi (“Oggi potrei non tornare a casa…”); Fase 4: i timorosi, sempre più vittime della paura si fanno maggioranza, e chiedono misure, anche drastiche, pur di tornare alla normalità (“Basta! Abbiamo paura! Difendeteci, a ogni costo!”); Fase 5: la paura dilaga, e nascono gruppi di autodifesa (“Lo Stato non ci difende faremo da soli”): il grido più diffuso, sintetizzando il concetto, diviene "Normalità! Normalità!"; Fase 6: in base agli sviluppi, o si torna la normalità, quindi all'inizio del ciclo, o si vive nell'annichilimento sociale, inebetiti, aggirandosi tra le macerie, come dopo un bombardamento aereo.
Fase 1: si tende a rimuovere il pericolo (“Inutile allarmismo”), gli attori sociali, come è noto in letteratura, sono "affamati" di normalità; Fase 2: prevale la logica dei grandi numeri ( “Massì, bastano maggiori misure di prevenzione e poi non è detto che tocchi a me”); Fase 3: ci si comincia a dividere in “fatalisti” (“Accada quel che deve accadere”) e timorosi (“Oggi potrei non tornare a casa…”); Fase 4: i timorosi, sempre più vittime della paura si fanno maggioranza, e chiedono misure, anche drastiche, pur di tornare alla normalità (“Basta! Abbiamo paura! Difendeteci, a ogni costo!”); Fase 5: la paura dilaga, e nascono gruppi di autodifesa (“Lo Stato non ci difende faremo da soli”): il grido più diffuso, sintetizzando il concetto, diviene "Normalità! Normalità!"; Fase 6: in base agli sviluppi, o si torna la normalità, quindi all'inizio del ciclo, o si vive nell'annichilimento sociale, inebetiti, aggirandosi tra le macerie, come dopo un bombardamento aereo.
Come
ben evidenziano le risposte sulle vacanze e sul
medio rischio, l’Italia è nelle fasi 2-3,
con punte sommerse addirittura nella fase 1:
diciamo che ci si divide tra “
calma ostentata, grandi numeri e fatalismo”, cui però va ad aggiungersi, qualificando meglio il
tutto, il “mea culpa”. Come prova la visione auto-colpevolizzante degli intervistati sulle cause del
terrorismo: per quasi per il 70 % i
terroristi sono folli o vittime dell’Occidente - sintetizzando - invasore, razzista e capitalista. Inoltre, l’accento
sulla pazzia, indica l' incapacità collettiva di “pensare la guerra” in modo realistico. Che invece viene “pensata” come un fenomeno patologico, secondo canoni psichiatrici dalle fortissime inflessioni etiche. E non per ciò che realmente è: un fenomeno di natura sociologica e polemologica. Si tratta di un atteggiamento irenico (addirittura "irenologico"), purtroppo, non solo italiano.
Naturalmente, sono reazioni che possono mutare in relazione all’intensità scalare dei possibili attentati e alla capacità reattive delle istituzioni. Diciamo che per ora, probabilmente perché l’Italia non ha ancora subito attentati sul suo territorio, si continua a vivere come sempre, o quasi.
Naturalmente, sono reazioni che possono mutare in relazione all’intensità scalare dei possibili attentati e alla capacità reattive delle istituzioni. Diciamo che per ora, probabilmente perché l’Italia non ha ancora subito attentati sul suo territorio, si continua a vivere come sempre, o quasi.
Su
questa “propensione alla normalità”, ovviamente si possono dare giudizi, anche
politici, diversi. Il punto è, se potrà
bastare da sola a contrastare il terrorismo. E, soprattutto, se resisterà a una
sua escalation.
Carlo Gambescia
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