giovedì 14 luglio 2016

Lo scontro fra treni in Puglia
È tutta colpa del Meridionalismo (piagnone)


Ogni  volta che il Sud viene sconvolto da una catastrofe  di qualsiasi tipo, ultima quella ferroviaria dell’altro giorno, si scatena l’orchestra dei piagnoni, che intona la marcia funebre del Mezzogiorno abbandonato e tradito dalle istituzioni. Si veda ad esempio l’editoriale su “Repubblica”  di un  virtuoso della materia come Roberto Saviano.
Ora, se esiste un esempio da manuale, di ciò che potremmo chiamare il  fallimento dello stato (di troppo stato, altro che assenza...), dunque delle istituzioni, esso è rappresentato dal Mezzogiorno d’Italia.  Per i dati (catastrofici) di ciò  che è stato investito nel Sud, soprattutto durante la Prima Repubblica (ma anche prima negli anni  del fascismo), si vedano i bei libri di Emanuele Felice, giovane studioso, al di sopra di ogni sospetto (*). 
Quale doveva essere l’obiettivo dei  finanziamenti pubblici? Lo sviluppo di un’economia di mercato, libera e capace di crescere da sola.  Il che non è stato. E per quale ragione?  Perché il finanziamento pubblico a pioggia,   al di là delle scontate distorsioni clientelari di tipo politico-economico (bretelle inutili, cattedrali nel deserto, cementificazioni), ha favorito il consolidamento dell’assistenzialismo e del  protezionismo sociale.  Le uniche imprese private che si sono  sviluppate  nel secondo dopoguerra, prendendo vigore dai "traffici" intorno finanziamenti pubblici, sono le organizzazione criminali.   
In pratica, le mafie (al plurale, per inglobarle concettualmente) hanno tratto  vantaggio sia dalla distorsione dei  finanziamenti pubblici, sia dal conseguente mancato sviluppo di una vera economia di mercato.  Pertanto senza finanziamenti, niente corruzione, niente peculato, niente commistione mafie-politica.  Semplificando:   senza Meridionalismo, o comunque senza un certo tipo di Meridionalismo piagnone,  probabilmente il Sud si sarebbe liberamente sviluppato da solo. Oppure no. Di sicuro però, non saremmo qui a ragionare di sprechi pubblici, ossia di un danno collettivo, per tutti,  Nord e Sud.
Si dirà: ma i finanziamenti andavano erogati, altrimenti il dislivello  iniziale tra Italia Settentrionale e Meridionale  oggi sarebbe ancora più ampio.  Il che in parte  è vero. Qui, certa vulgata meridionalista non ha torto.  Ma quale doveva essere lo scopo principale dei finanziamenti pubblici in  una moderna società liberale (ammessa e  non concessa la bontà della politica economica keynesiana)?   Favorire la nascita di una società di mercato?   Oppure favorire la nascita di una società protetta?  Come invece è avvenuto.  Sicché,  il dislivello denunciato nel 1861, che comunque permane, nulla toglie nulla aggiunge alla questione -  vera, la ciccia, se ci passa l'espressione -  della modernizzazione liberale. Mancata.    
Società protetta,  significa alcune cose, tutte socialmente pericolose:  vittimismo,  individualismo assistito, familismo e corporativismo, corruzione, peculato, mafie.  E soprattutto, un sistema mentale, diffuso a livello collettivo,  che addossa agli altri, allo stato in particolare, la propria, e colpevole, facilità di adattamento culturale a un’economia della mano tesa a fondo (economico) perduto.  Pensiamo a una vera e propria voragine morale ed  economica, alimentata da un insensato vittimismo,  a sua volta auto-alimentato dal meridionalismo istituzionale "della lacrimuccia": un piangersi addosso, che sul piano delle politiche economiche ha  influito,  in termini di cortocircuito tra causa ed effetto, sulla dispersione di quei finanziamenti pubblici, gli unici veramente utili, come nel caso dell’ammodernamento tecnologico della rete ferroviaria periferica.
Il lettore, non  si meravigli, non siamo improvvisamente diventati difensori dell’intervento pubblico. Ma un altro dei problemi  causati dalla società protetta, una volta storicamente strutturatasi,  è   rappresentato dall' occultamento delle aree economiche  dove effettivamente occorre l’intervento pubblico.  Dal momento che esiste il fallimento dello stato, ma c’è  anche quello  del mercato. In alcuni settori, pochi per la verità,  tuttavia esiste.
I  liberali, tra i quali Giolitti (per non dire di Cavour), compresero perfettamente, l’importanza delle ferrovie e del  ruolo determinante dello stato nella costruzione e gestione delle stesse in un paese oblungo, dalle mille città,  tagliato in due dagli Appennini e isolato dal resto dell' Europa dall'arco alpino. E in quel senso operarono. E bene ( o quasi). Il che però non doveva ( e non poteva) significare, finanziamenti a pioggia estesi a tutti i settori dell’economia meridionale. Come invece è andata.   
Ovviamente, la  nostra “narrazione”, come oggi si dice,  non può piacere ai teorici del vittimismo sudista: il Meridionalismo piagnone. Coloro  che hanno alimentato e alimentano quella  mentalità “di attesa della manna pubblica dal cielo” ,  “perché non è colpa nostra” e "perciò ci spetta"; atteggiamento che tuttora contraddistingue i meridionali (magari non di tutti) al  punto di farne una bandiera.
Che dire?   Purtroppo, e addolora scriverlo, chi di denaro pubblico ferisce, di denaro pubblico perisce. Senza rendersene conto,  perché alla mentalità non si comanda.  È così, e basta.  Anche quando accade su un treno.   

Carlo Gambescia


(*) E. Felice, Perché il Sud è rimasto indietro, il Mulino 2014 ( https://www.mulino.it/isbn/9788815247926 )  ; Id., Ascesa e declino. Storia  economica d’Italia, il Mulino 2015                                                ( https://www.mulino.it/isbn/9788815257857 ).  

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