Ieri i funerali di Angelo D’Agostino e
Gianna Muset
I pensionati
di Voghera, caduti o vittime?
C’era una volta la casalinga di Voghera, come esempio di un pensiero popolato di luoghi comuni, banale, del tutto normale. Perché la gente è così, non arzigogola, come professori e giornalisti, dice cose scontate,
prevedibili, in fondo rassicuranti. Si chiama, ripetiamo, normalità.
Oggi
invece abbiamo, i pensionati di Voghera,
morti (o caduti? c’è una
differenza, come il lettore capirà) a Nizza, di cui ieri si sono celebrati i funerali nel Duomo
cittadino. Uno strazio: figli, nipoti, parenti, amici, gente comune, persone
inebetite dal dolore, travolte dalla storia di nuovo in marcia; persone che
però, e giustamente, vorrebbero continuare a vivere un'esistenza fatta di lavoro, tempo
libero, impegni, talvolta problemi, insomma
tutto quelle cose che innervano la vita normale: quella, appunto,
della casalinga di Voghera, un tempo irrisa dagli intellettuali rive gauche.
Tutta
questa gente sembra però presagire, stretta intorno alle bare cinte con il tricolore, che qualcosa,
purtroppo, impedisce il ritorno alla ( e
della) normalità. Intuisce vagamente, per ora. Anche perché, a partire proprio dalle istituzioni,
nessuno sembra preoccuparsi di dare un senso alle morti. Anzi peggio si mistifica. Quel tricolore, invece, rappresenta una forte domanda di senso. Ecco il vero problema. Più si sottolinea la "follia del terrorista” più la gente non comprende le ragioni. Perché? Sono morti, vittime non caduti: è questo il messaggio mistificatorio che circola, incoraggiato, come
si dice, dal circuito politico-mediatico. Si cade in guerra, sul campo di battaglia,
magari in modo eroico, invece si muore per tante altre ragioni: una disgrazia, una rapina finita male,
un tradimento amoroso o, appunto, per mano di un pazzo. Si è vittime di
qualcosa o qualcuno, mentre chi cade in battaglia sa
perfettamente per quale causa muore e che a uccidere è un nemico con tanto di nome e cognome. E non la casuale mano del folle.
A
nostro avviso, i morti della catena di
attentati che sta sconvolgendo l’Occidente sono i nuovi caduti di una nuova guerra. E così andrebbero ricordati
e celebrati. Il che però non accade. Perché? Secondo le categorie del pacifismo dominante, parlare di caduti e non di morti o vittime del terrorismo jihadista, significa
cedere al bieco militarismo. Inoltre,
come si legge, non siamo in guerra con nessuno: non c'è il nemico (come impone la vulgata dell'irenismo socialdemocratico) Oppure, se proprio si vuole parlare di guerra, si tratta di un “non
guerra”: una “guerra atipica” contro pazzi e criminali, sbucati dal nulla, quindi una guerra che non somiglia alla guerra, e che va
combattuta con la polizia, l’intelligence, la psichiatria, senza mai allarmare i cittadini ( peggio ancora motivarli...). E poi,
come pure si sostiene, i civili, da che mondo e mondo e con vocabolario (pacifista)
alla mano, “non combattono” e quindi non
possono “cadere” (combattendo) su nessun campo di battaglia.
Peccato
che i britannici celebrino tuttora i civili eroicamente caduti sotto le bombe tedesche, durante l’ “assedio aereo” tedesco dell’estate-autunno del 1940. In qualche misura, anche quello era
terrorismo. Dal cielo. Accenniamo, sia detto per inciso, a una
differenza di mentalità, tra il Regno Unito e l’ Europa continentale che potrebbe
spiegare la Brexit, unitamente alle altre ragioni addotte. Forse però osiamo
troppo.
Comunque
stiano le cose, fino a quando non si spiegherà al pensionato di Voghera che siamo in guerra - guerra-guerra
che si vince facendo la guerra-guerra contro un nemico-nemico - e che di conseguenza, piaccia o meno, siamo tutti arruolati e combattenti e che quindi tutti rischiamo di cadere, le persone comuni continueranno a non capire
le ragioni e il senso del conflitto in atto. Parliamo di una guerra che, come quella contro Hitler e il
nazifascismo, ha assunto il carattere di una battaglia per la difesa della civiltà.
Chi
scrive, per dirla francamente, non credeva che un giorno si sarebbe rivolto ai
lettori usando una terminologia apocalittica. Ma così stanno le cose.
Purtroppo. Gli unici a non capirlo sono i politici E come abbiamo visto, anche i pensionati di
Voghera. Ma non è colpa loro.
Carlo Gambescia
Carissimo Carlo, con la tua pacatezza socratica riesci a dire ciò che io col lanciafiamme grido da tempo. L'Occidente ha già perso una guerra, quella contro le proprie radici, le identità nazionali, il comun sentire. L'Occidente calabraghe che rinuncia a tutto tranne che all'edonismo, al relativismo etico, alle battaglie digitali contro i pokemon, alla playstation, alle vacanze (per Severgnini sono sacre, dimenticando che pochi ormai possono permettersele) ed altri "forti" valori sbandierati da Mattarella ma mai elencati, forse per pudicizia. Abbiamo già perso. Potremo mai vincere in una guerra asimmetrica che ci siamo portati a casa? Qualche tuo collega della Luiss (non ti offendere) va raccontando nei salotti tv che l'Isis è con l'acqua alla gola, rassicurante fesseria per addormentare le coscienze. Non è così che si affrontano i grandi problemi, credo. Dicono: non dobbiamo rinunciare alla nostra quotidianità. Ma se le Istituzioni non garantiscono la sicurezza (e ormai chi lo potrebbe?) come facciamo a campare sereni? Perché, caro Carlo, le alte sfere (si fa per dire) recitano la parte dei pompieri quando l'Europa brucia?
RispondiEliminaGrazie Angelo. Si chiama "negazione della realtà", al suo fondo ci sono ragioni sociologiche (conservazione del consenso), politiche (mantenimento del potere), culturali (difesa dei principi e valori sui quali ci si regge). Tuttavia la realtà, finisce sempre per vendicarsi. Un abbraccio.
RispondiElimina