Islam. Le
parole di Papa Francesco durante il volo verso Cracovia
“Non è una guerra di religione”
Prima
di tentare qualsiasi analisi riteniamo corretto, anche per favorire la
comprensione del nostro scritto, riportare le parole di Francesco:
«Il
Papa è atterrato a Cracovia per l'incontro con i giovani di tutto il mondo per
la trentunesima giornata mondiale della gioventù. Durante il volo ha parlato
con i cronisti e ha sottolineato che quella in corso con i terroristi "non è una guerra di religione", ma è piuttosto una
"guerra di interessi, per i soldi, per le risorse naturali, per il dominio
dei popoli. Tutte le religioni vogliono la pace, capito?". Nella prima
parte del suo discorso, interpellato su come viva l'assassinio di ieri di padre
Hamal intraprendendo questo viaggio, il Papa aveva precisato: "(…) La vera
parola è guerra. Il
mondo è in guerra a pezzi: c'è stata la guerra del 1914 con i suoi
metodi, poi la guerra del '39-'45, l 'altra
grande guerra nel mondo, e adesso c'è questa. Non è tanto organica forse,
organizzata sì non organica, dico, ma è guerra. Questo santo sacerdote è morto
proprio nel momento in cui offriva la preghiera per la chiesa, ma quanti,
quanti cristiani, quanti di questi innocenti, quanti bambini vengono uccisi.
Pensiamo alla Nigeria - ha esortato - 'ma quella è l'Africa', ma è guerra, non
abbiamo paura di dire questa verità: il mondo è in guerra perché ha perso la pace". »
Che
dire? Per un
verso, non è male che il Papa non prenda posizione in
favore di una “Crociata”, ossia
di una guerra religiosa contro l’Islam nel suo complesso, per
l’altro, negare che il conflitto in atto non sia una guerra di
religione (quantomeno di
una parte dell’Islam) contro il cristianesimo è falso. Infine aggiungere che quella in
corso è una “guerra a pezzi” e
per le risorse eccetera, significa strizzare l’occhio: 1) a quei teorici
(dell' impotenza politica) che si sono inventati l’idea di guerra asimmetrica
("guerra a pezzi" ne è sinonimo...) per rinviare all’infinito la
guerra simmetrica; 2) agli anticapitalisti, agli antioccidentali,
agli antiamericani di tutti
i colori politici e seguaci
di un pacifismo teso a disarmare l’Occidente.
Le parole
di Francesco hanno scontentato i tradizionalisti cattolici che vorrebbero
una crociata subito e quei laici, pensiamo al “Foglio”, che
continuano a scorgere nella religione un instrumentum regni in grado di cementare masse
cattoliche che, in realtà, non esistono se non in veste ludico-religiosa,
del tutto inoffensiva. Mentre sono sicuramente piaciute ai nemici
dell’Occidente che scorgono nel Papa un compagno di strada. Quanto
all’impatto sull’Islam, difficile dire: di sicuro però, sono parole che
non fermeranno l' offensiva jidhaista.
Dicevamo
che non è male che il Papa non evochi mirabolanti Crociate.
E per almeno una ragione fondamentale: perché al grido di
“Dio lo vuole” si rischia di alimentare quella spirale dell’odio sociale,
che anche se raccolta da sparuti gruppi di estremisti cristiani,
può condurre alla guerra civile. Come? Grazie a una
crescente emulazione sociale, dettata dall’insicurezza.
Soprattutto, come sta accadendo, quando i tempi della
reazione militare dell’Occidente (e in particolare
dell’Europa) non collimano con i ritmi più rapidi della paura sociale. Di
conseguenza, se ci passa l’espressione, “pompare” odio nella “macchina
sociale”, senza essere in grado di garantire, all’interno, la
sicurezza dei cittadini e di
conferire uno sbocco militare esterno alla crisi interna,
significa creare un vuoto temporale, semplificando, tra il dire e
il fare. Un vuoto che rischia di essere presto colmato da forme
armate di auto-organizzazione e autodifesa sociale: il "cittadino
(hobbesiano) fai da te" ( e non è una battuta). Detto altrimenti: parlare
a vanvera di Crociate significa favorire la guerra civile. A rigore,
ammessa e non concessa la bontà del fanatismo religioso, i tempi
interni ed esterni della "Crociata", una volta evocata,
dovrebbero collimare.
Concludendo, l’Occidente avrebbe la tecnologia, il
freddo acciaio della ragione, gli
armamenti, anche non
convenzionali, e le forze militari professionali più che
sufficienti, per intervenire, dove possibile, e imporsi con una grande
vittoria. Impartendo al nemico una di quelle lezioni che non si
dimenticano facilmente. Per poi rivalersi della vittoria -
“signori avete perso non c’è più scampo, non cresce più un filo d’erba…”
- sul piano interno, grazie all' orgoglio
ritrovato, praticando, dopo la repressione, la classica politica del bastone e della
carota. Parole dure? Certo, ma le guerre non si combattono e vincono con
le infiorate e le processioni.
Ovviamente,
il tutto non può essere indolore. Ma questo è ciò che va fatto. Ci si
chiederà: dov’è la classe politica degna di questo compito?
Vero, per ora, all’orizzonte non si scorge. Però talvolta la
paura di perdere potere può provocare miracoli... Infine,
ribadiamo, introdurre motivazioni religiose può allontanare e non facilitare la
“soluzione” del problema. Il popolo, i cittadini, li si chiami come si
preferisce - semplificando - vanno rassicurati e messi nelle
condizioni di continuare la vita di sempre. Gli uomini sono
pericolosi, guai a scatenarne la natura animale. Quindi l'idea della normalità diffusa è giusta, ma senza misure militari immediate rischia di
trasformarsi in boomerang per cittadini e politici.
Servono
però alcune cose: la spietata lucidità degli alti comandi, la tenacia e
la perizia di militari professionisti e la lama d’ acciaio della
tecnologia occidentale. Ripetiamo, questo è ciò che deve essere fatto. Quanto
più si aspetta a intervenire, tanto più crescono le divisioni interne e tanto più il disimpegno del Papa rischia di trasformarsi in atout per il
nemico.
Servono però alcune cose: la spietata lucidità degli alti comandi, la tenacia e la perizia di militari professionisti e la lama d’ acciaio della tecnologia occidentale. Ripetiamo, questo è ciò che deve essere fatto. Quanto più si aspetta a intervenire, tanto più crescono le divisioni interne e tanto più il disimpegno del Papa rischia di trasformarsi in atout per il nemico.
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